Quando Macron ha chiesto conto a Xi Jinping del suo sostegno alla guerra di Putin in Ucraina, il presidente cinese ha risposto piccato: “la Cina non è all’origine di questa crisi, né una parte in essa, né un partecipante”. I dati però dimostrano il contrario. L’industria bellica della Russia, in barba alle sanzioni, sta producendo a un ritmo che ha sorpreso tutti gli analisti. Si stima ad esempio che dall’inizio dell’anno la capacità di produrre missili lungo raggio sia raddoppiata. Questa crescita è stata possibile grazie a nuovi fornitori, e la Cina è di gran lunga il più importante. Non vende direttamente le armi, fa arrivare i pezzi per produrle. Microchip, attrezzature per la navigazione, parti per jet e prodotti più generici come cuscinetti a sfera, usati nei pezzi di artiglieria.
La Cina ha fornito alla Russia anche i cosiddetti sistemi CNC, cioè macchine per il “controllo numerico computerizzato” che usano computer per modellare materiali rapidamente e con grande precisione. Un dato per capire la portata di quest’aiuto. L’anno scorso, circa l’89% delle importazioni “ad alta priorità” necessarie per la produzione di armi russe provenivano dalla Cina, secondo un’analisi condotta dal Carnegie Endowment for International Peace, un think tank di Washington.
La cosa interessante, spiega un report del CSIS, un altro think tank di Washington, è che il vero boom delle forniture è cominciato dopo che Xi è andato a trovare Putin a Mosca nel marzo 2023. Una tempistica che sottolinea quanto sia importante il rapporto personale tra i due leader. “Oggi ci sono cambiamenti che non accadevano da un secolo. E siamo noi a guidarli”, aveva detto Xi Jinping. “Sono d’accordo con te mio caro amico, fai buon viaggio di ritorno”, gli aveva risposto Putin.
Questa settimana Putin ha ricambiato la visita. Vuole mostrare che la cooperazione con la Cina è più salda che mai. La Russia continua ad aver bisogno del sostegno cinese in Ucraina. E la Cina continua ad aver bisogno della Russia come contrappeso nella rivalità con gli Stati Uniti e come alleato nel tentativo di ribaltare l’ordine a guida americana. Xi Jinping però deve anche evitare che i rapporti con l’Occidente arrivino a un punto di rottura. L’economia cinese sta rallentando e dipende ancora moltissimo dalle esportazioni in America come in Europa. A differenza della Russia, la Cina non trae vantaggio dal caos: ha bisogno di stabilità.
Nel frattempo l’America sta colpendo con sanzioni secondarie banche e aziende cinesi che favoriscono la produzione di armi russe. Così le banche sono diventate estremamente caute fermando o rallentando le transazioni che coinvolgono entità russe. Questo ha avuto un effetto sul commercio: le esportazioni cinesi verso la Russia sono diminuite negli ultimi due mesi, del 16% a marzo e del 14% ad aprile. Anche la diplomazia cinese non è tutta a senso unico. Xi Jinping non riconosce le regioni annesse illegalmente da Putin come parte del territorio russo. Xi ha anche dissuaso il suo amico dall’usare armi nucleari in Ucraina – un’idea che Putin sembrava invece stesse accarezzando, secondo le intelligence occidentali.
È la politica del piede in due staffe. Questo significa che probabilmente Xi Jinping non vuole una vittoria totale della Russia in Ucraina. Attirerebbe troppa ostilità sulla Cina, soprattutto da parte dell’Europa che vede la guerra in Ucraina come una minaccia diretta alla sua sicurezza. Ma ovviamente Xi Jinping non vuole nemmeno che Putin perda.
In questo equilibrio si inseriscono i nuovi dazi di Biden contro l’export cinese, tra cui tariffe del 100% sulle macchine elettriche. Un protezionismo forse eccessivo pure tenendo conto dei sussidi statali di cui godono i produttori di auto in Cina. Queste macchine poi si riverseranno in Europa e altri mercati che a loro volta aumenteranno i dazi (difficilmente a livello di quelli americani).
C’è un sodalizio di fondo tra Putin e Xi Jinping. Una politica statunitense troppo anti-cinese, anche se giustificata, rafforza quest’alleanza.
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