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La fuga di cervelli è costata all’Italia circa 134 miliardi negli ultimi 13 anni

Per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati.

Si stima che al capitale umano uscito corrisponda un valore di 134 miliardi. “Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, ha spiegato  Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est. “Nel movimento di giovani persone tra i Paesi europei l’Italia partecipa da grande fornitrice di persone ed è quindi fuori dalla circolazione di talenti perché è ultima per attrattività. È pericoloso continuare a cullarsi nella favola bella che facciamo parte di quella circolazione, perché vuol dire fingere che la bassa attrattività non esista. L’emigrazione dei giovani italiani non solo rende più difficile per le imprese la ricerca di persone da assumere ma accentua enormemente il mis-match tra domanda e offerta di competenze”.

L’Italia all’ultimo posto per capacità di attrarre giovani in Europa

Rispetto al resto d’Europa, l’Italia è all’ultimo posto per capacità di attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di europei, contro il 43% della Svizzera e il 32% della Spagna. Molti vanno via per ricercare migliori opportunità lavorative (25%), ma anche per studio e formazione (19,2%) e per cercare una qualità di vita più alta (17,1%). Il 10% invece è alla ricerca di un salario più alto. E accade soprattutto al Nord Italia, dove il 35% dei giovani residenti è pronto a trasferirsi all’estero. Secondo il rapporto, quasi l’80% dei expat è occupato, contro il 64% di chi è rimasto.

“La scarsa attrattività dell’Italia per i giovani è una vera e propria emergenza nazionale, economica e sociale. Siamo entrati in una fase critica di carenza e fuga di giovani dal Paese. I giovani scarseggiano per le imprese, mancano nel sistema della Pa e mancheranno sempre di più in ogni ganglio vitale della vita civile ed economica dell’Italia. Insensibilità e immobilismo sono scandalosamente inaccettabili”. Così ha commentato il presidente del Cnel Renato Brunetta.

I motivi della fuga dei cervelli

L’Italia affronta una forte carenza di profili tecnici. Eppure, il 58,2% di chi è andato a lavorare all’estero svolge ruoli che nel nostro Paese le aziende faticano a ricoprire: professioni qualificate nei servizi, operai specializzati e semi-specializzati, personale senza qualifica.

Il benessere percepito, la visione del futuro e la condizione professionale sono i fattori che spiegano perché il 33% degli expat intende rimanere all’estero, a fronte del 16% che prevede di tornare in Italia, principalmente per motivi familiari. Inoltre, il 51% dei professionisti all’estero è aperto a trasferirsi dove si presenteranno le migliori opportunità lavorative. È significativo che l’87% degli expat giudichi positivamente la propria esperienza all’estero. La ragione principale per cui decidono di non tornare in Italia è la mancanza di opportunità lavorative simili nel paese. A questa si aggiungono opinioni diffuse sulla scarsa apertura culturale e internazionale dell’Italia, oltre alla percezione di una qualità della vita superiore negli altri paesi.

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