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Ognuno è sovranista a modo suo: gli affari d’oro del trumpiano Orban con la Cina

Pensiamo al sovranismo di destra come a un movimento uniforme, ma forse sono più le differenze che le cose in comune. L’ungherese Viktor Orbán si sente col vento in poppa, convinto che il ciclone Trump gli porterà grandi vantaggi. Innanzitutto una distensione con la Russia, poi un clima molto più favorevole a politici reazionari con tendenze illiberali. Trump cercherà anche di disunire l’Unione Europea, cosa gradita a tipi come Orban che si lamentano di continuo delle ingerenze di Bruxelles. Ma dietro alcuni punti fermi – l’ostilità all’immigrazione, la guerra contro il “globalismo” e l’odiata cultura “woke” – ognuno, in fin dei conti, è sovranista a modo suo.

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Per esempio, si scopre che il trumpiano Orban fa ricchi affari con la Cina, il grande avversario dell’America First di Donald Trump. L’Ungheria si è trasformata nel primo avamposto di business cinese in Europa, attirando oltre un quarto dei capitali provenienti da Pechino dal 2022 a oggi. Un equilibrismo di cui alla fine si noteranno le incongruenze: corteggiare Trump e allo stesso tempo posizionarsi come il miglior amico di Xi Jinping nell’Unione Europea. Ma Orban, appunto, fa il sovranista: sta dando respiro a un’economia in difficoltà, un Pil in calo dello 0,7% nel terzo trimestre e un deficit del 4,5%, ben oltre i limiti imposti da Bruxelles – la quale ha congelato circa 20 miliardi di euro di fondi di coesione per una diatriba sullo stato di diritto.

Gran parte di questi investimenti cinesi sono destinati all’industria automobilistica. E siccome c’è di mezzo la Cina si tratta di investimenti in auto elettriche. Quelle stesse auto contro le quali l’Unione Europea ha alzato dazi fino al 45 per cento.  “Una mossa stupida (i dazi), facilmente aggirabile”, ha commentato il ministro dell’economia ungherese, Martion Nagy. Nel suo ufficio ci sono tracce inequivocabili di questa alleanza: dragoni rossi e targhe di proverbi cinesi. L’Ungheria è il partner ideale, non solo per la diplomazia amica di Orban; produrre lì costa significativamente meno che in altre parti d’Europa.

Tra le aziende cinesi più importanti ad aver investito ci sono Byd e Catl, leader in auto elettriche e batterie. Byd vuole aprire in Ungheria la sua più grande fabbrica europea, mentre Catl ha speso in un nuovo impianto 7,6 miliardi di euro. Ecco il gioco di prestigio di Orban, tenere i piedi in almeno tre staffe, trattare con Cina e Stati Uniti, provando a non alienare troppo Bruxelles. È un gioco rischioso. L’Ungheria riceveva circa 5 miliardi di euro l’anno dall’Ue, il 2,5% del Pil, mentre la Cina, dopo l’annuncio dell’investimento di Byd a febbraio, non ha fatto altre promesse significative.

Trump cercherà di spingere i leader europei a negoziare con lui a livello bilaterale, questo gli permetterebbe di sfruttare al massimo la forza americana. Ci sono altri sovranismi in conflitto con il suo. La richiesta di aprire le porte ai prodotti agricoli statunitensi, come la carne bovina nutrita con ormoni, non piacerà agli allevatori europei. Allo stesso tempo Trump minaccia dazi del 10-20% su tutte le importazioni dall’Europa. Invece che andare in ordine sparso, i paesi europei devono restare uniti. Dovrebbero anche potenziare il commercio con altre regioni. Una buona idea sarebbe riaprire l’accordo di scambio con Mercosur (il mercato comune sudamericano), superando le resistenze di alcuni paesi, tra cui Francia e Italia.

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