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Come cambieranno i rapporti commerciali tra Usa e Italia con la nuova amministrazione Trump

Articolo apparso sul numero di gennaio 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

In dieci anni, secondo i dati Promos Camera di Commercio, gli interscambi commerciali fra l’Italia e gli Stati Uniti sono triplicati: da 30 a 92 miliardi di euro. E il 2024 ha registrato i numeri migliori di sempre. Se si considera poi che il nostro Paese ha la maggiore quantità di insediamenti accademici americani in Europa, si definisce un vero e proprio idillio. Di cui Trump non potrà che prendere atto. È quello che pensa anche Simone Crolla, consigliere delegato e direttore generale dell’American Chamber of Commerce in Italy.

L’interscambio commerciale tra Italia e Stati Uniti è cresciuto negli ultimi anni: alla fine del 2024 eravamo a oltre 110 miliardi tra beni e servizi. Testimonianza della vitalità di una relazione che premia i prodotti dell’Italia, che ha un surplus nella bilancia commerciale di oltre 50 miliardi. La relazione è salda, beni e servizi made in Italy viaggiano senza problemi. Non solo nei settori più noti, come moda, turismo, arredamento o cibo, ma anche, per esempio, nel mondo dei farmaci o dello sport (basta guardare alla Juventus).

È un rapporto simbiotico che viaggia alla pari: le ricadute dell’investimento americano in Italia non sono solo quelle sul prodotto o del servizio che viene venduto, ma anche sulla formazione dei dipendenti dell’azienda italiana con investimenti di capitale americano o che partecipa in joint venture con un’azienda americana. Ricadute positive anche sulla carriera dei dipendenti di queste aziende, perché entrano in un contesto più internazionale, dove il merito è fondamentale. Poi ci sono le ricadute sociali sulle comunità nelle quali l’investimento viene effettuato. Durante il Covid le aziende americane in Italia, coordinate dall’American Chamber, hanno contribuito a lenire i problemi della pandemia, donando circa 50 milioni in attrezzature mediche alla Croce Rossa a sostegno delle comunità locali.

La nuova amministrazione Trump potrebbe, in qualche modo, modificare questo stato di fatto?

Abbiamo già sperimentato quattro anni di presidenza Trump. Dalla guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa l’Italia è uscita comunque bene: i dazi non hanno intaccato più di tanto le esportazioni, che, anzi, sono cresciute tanto quanto gli investimenti diretti italiani negli Stati Uniti. La relazione supera anche questi problemi, più politici che reali, e quindi non credo che la nuova amministrazione Trump possa in qualche modo incidere negativamente in una relazione di cui noi godiamo da tantissimo tempo. In ogni caso sono manovre già sperimentate, per le quali ci sono soluzioni, e ritengo che questo governo, con l’ecosistema istituzionale che abbiamo in Italia e in Europa, sia in grado di gestire un dialogo con l’amministrazione Trump che sarà positivo per entrambi i paesi.

Quale sarà il ruolo di AmCham in questa relazione nel prossimo futuro?

Noi possiamo definirci la sede della Confindustria americana. In questi 110 anni di storia in Italia abbiamo contribuito a facilitare il dialogo tra Stati Uniti e Italia da ogni punto di vista, aiutando i primi investitori americani a leggere il Paese, a capire dove, come e quando investire. Cerchiamo di rendere il nostro Paese sempre più attrattivo per gli americani, che naturalmente – ormai da decenni – non guardano più solo all’alleato europeo, ma investono secondo parametri ben specifici in tutto il mondo: ecco la Camera è un punto di riferimento, una sorta di ambasciata economica per tutti gli investitori americani che guardano con attenzione all’Italia. Ricordo che gli Stati Uniti sono – anche grazie al lavoro che ha fatto la Camera nei decenni – il primo investitore straniero nel nostro Paese. Come in passato, la Camera ci sarà ancora nel futuro a sostenere sia le istituzioni che gli imprenditori italiani, anche per capire quali saranno le opportunità sotto la presidenza Trump. Continueremo a essere un punto di riferimento per tutti gli investitori americani che guardano al nostro Paese con interesse. E sono tanti.

Storicamente le università italiane non hanno intrattenuto relazioni stabili con le imprese. Ma adesso la situazione sta cambiando. Il ruolo delle aziende americane, attraverso AmCham, potrebbe essere rilevante nei processi di innovazione?

AmCham ha intuito questa necessità e qualche anno fa ha fatto nascere, all’interno del portfolio dei propri comitati, gruppi di lavoro specifici sull’istruzione. Il sistema coinvolge le principali università italiane che hanno programmi con gli Stati Uniti e sono tantissime le università americane nel nostro Paese: escludendo la Gran Bretagna, l’Italia è il primo paese fuori dagli Stati Uniti per numero di programmi universitari americani. Da Firenze a Venezia, Roma e Torino ci sono decine e decine di sedi di università americane che contribuiscono anche al miglioramento delle relazioni economiche, perché tantissimi studenti americani richiamano le famiglie e alimentano il turismo. Anche questa è un’opportunità economica. In ogni caso la relazione tra le università italiane e quelle americane è crescente e la relazione tra l’educazione di eccellenza e le aziende diventa sempre più centrale. Al di là del percorso universitario, è imperativo avere esperienze, anche pre-laurea, di collaborazione con università sotto forma di internship e di programmi di stage. Questo la Camera lo fa, le aziende americane lo vogliono e sono gettonatissime per questo tipo di opportunità. Per le aziende americane è importante che, oltre al profilo universitario, ci sia anche un profilo pratico di affinamento prima della laurea o del master. È una relazione virtuosa che aiutiamo a coltivare e a cui teniamo molto.

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