Paolo Martini The Next Bank Azimut
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“Tecnologia e una squadra motivata”: Paolo Martini racconta Tnb, la nuova fintech di Azimut

Articolo tratto dal numero di febbraio 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

Paolo Martini, classe 1973, genovese di nascita e milanese d’adozione, ha ben impresso nella memoria l’anno dei suoi esordi di carriera. Era il 1997 e una grande compagnia assicurativa, in cui lavorava come addetto al marketing, lo spedì a farsi le ossa agli antipodi della Penisola, prima a Taranto e poi in Trentino. Lì conobbe l’Italia profonda che lavorava, risparmiava e investiva i propri soldi per lo più in polizze e titoli di stato. Esisteva già la rete di internet, ma quasi nessuno la usava ancora, almeno nel nostro Paese. Ed esisteva pure l’intelligenza artificiale, ma serviva soprattutto per rimpiazzare il lavoro fisico dell’uomo nelle fabbriche e non certo per sostituire alcuni lavori intellettuali, come fa oggi ChatGpt. In quell’Italia senza internet e senza ChatGpt, meno aperta al mondo rispetto a oggi, non esisteva neppure l’idea di creare una banca come quella che Martini si appresta a guidare come amministratore delegato.

A dire il vero, per adesso non è ancora una vera e propria banca, ma un progetto di banca che si chiama Tnb (acronimo di The Next Bank, questo è il nome scelto). Ha però già solide radici perché nasce da una costola del gruppo Azimut, una delle maggiori società italiane del risparmio gestito, l’unica che ha una presenza internazionale che va dalle Americhe fino all’Australia, passando per il Medio Oriente e la Cina. Ma Tnb ha già anche un investitore istituzionale disponibile a sostenere il progetto. Si tratta di Fsi, l’ex Fondo strategico italiano, che da dicembre ha avviato le trattative in esclusiva per rilevare la maggioranza di questa nascente realtà. Tnb è nello specifico il progetto per creare una banca fintech, neologismo nato negli ultimi anni per indicare il connubio sempre più stretto tra il mondo finanziario e l’innovazione tecnologica. 

Tante banche oggi si proclamano società del fintech. Quali saranno i tratti distintivi della vostra? 
Innanzitutto la nuova realtà, secondo il disegno che sarà sottoposto alle autorizzazioni delle competenti autorità di vigilanza, avrà le spalle belle larghe e robuste. Partiamo infatti con una dotazione che ci arriva dalle attività ereditate dal gruppo Azimut: circa 25 miliardi di euro di masse in gestione, una rete di quasi 1.000 consulenti finanziari e circa 110mila clienti. Poi ci sono altri quattro vantaggi competitivi su cui faremo leva. 

Quali sono? 
Il primo è naturalmente la tecnologia. Costruire una banca nel 2025, dopo che l’innovazione ha già raggiunto livelli avanzati, ci consente di avere una marcia in più nel creare la nostra piattaforma. In primo luogo perché possiamo evitare molti errori che altri hanno fatto in passato, poi perché possiamo far tesoro dell’esperienza accumulata negli ultimi anni da altri player di mercato, come Revolut e N26, che hanno permesso al settore bancario di compiere un grande salto di qualità in termini di semplicità, trasparenza e user experience, cioè nell’esperienza dell’utente che usufruisce dei servizi finanziari. Faremo un ampio utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA), che sarà alla base in maniera pervasiva di tutti i nostri processi. La tecnologia non farà però venir meno il fattore umano. Anzi, le persone saranno il nostro secondo vantaggio competitivo.

In che senso? 
Stiamo portando avanti un progetto di una realtà tutta nuova che parte da zero come banca e per questo abbiamo l’opportunità straordinaria di costruire una squadra di persone motivate, pronte a imbarcarsi in una nuova sfida senza vincoli con il passato. Il nostro punto di partenza sarà un insieme di valori comuni e di caratteristiche condivise: velocità, trasparenza, capacità di innovazione e focus sui clienti. Tutti fattori che ci portiamo dietro dal gruppo Azimut. L’essere figli di quella realtà e di quella storia è il nostro terzo vantaggio competitivo, non soltanto per la dotazione iniziale di risorse che abbiamo, ma anche per aver già sviluppato una piattaforma innovativa di wealth management con focus su private market e advisory che ha permesso al gruppo di crescere in questi decenni e che ora portiamo anche all’interno di una banca. Proprio su quest’ultimo punto ruota il nostro quarto vantaggio competitivo. Abbiamo l’intenzione di creare una banca consulente-centrica. I financial advisor che arrivano dal gruppo Azimut saranno anche azionisti della società con una quota del 10%. Per questo io la chiamo anche la casa del consulente. 

Chi saranno i vostri clienti di riferimento? 
I principali target sono tre. Per la gestione dei patrimoni guardiamo agli investitori privati di fascia alta, classificati come high net worth individual (hnwi) e ultra high net worth individual (uhnwi), e alla clientela affluent e saranno seguite da due diverse strutture commerciali. Inoltre guardiamo con grandissimo interesse all’universo delle piccole e medie imprese. Il legame tra il mondo del wealth management e il mondo delle aziende ha incontrato qualche difficoltà sulla propria strada, ma è destinato a diventare sempre più stretto e solido. Già con Azimut ci siamo mossi in questa direzione negli ultimi anni, con iniziative come la creazione di un marketplace con servizi finanziari specificamente dedicati alle pmi. Adesso vogliamo completare il percorso offrendo alle imprese anche servizi bancari partendo dal conto corrente. Infine, la terza categoria di clienti a cui ci rivolgeremo sarà quello degli investitori istituzionali, come le casse di previdenza, i fondi pensione e le fondazioni.

Come saranno, secondo lei, le banche del futuro?
Saranno banche snelle, veloci e trasparenti che, grazie alla tecnologia e in particolare grazie all’intelligenza artificiale, ridurranno la burocrazia consentendo al personale, soprattutto ai consulenti finanziari, di concentrarsi sulle attività che creano maggior valore. Oggi, purtroppo, tanti bancari, consulenti e private banker dedicano ancora una bella fetta del loro tempo ad adempimenti burocratici, con quindi maggiori difficoltà nel capire come sono cambiate le abitudini dei consumatori e degli utenti negli ultimi dieci o 20 anni. 

In che modo sono cambiate? 
Io credo che l’avvento dei giganti della tecnologia, da Amazon a Netflix, abbia trasformato nel profondo la user experience, alzando l’asticella delle aspettative. I clienti vogliono servizi efficientissimi, veloci, semplici. Proprio la semplicità e la semplificazione, grazie alla tecnologia, sarà dunque uno dei tratti distintivi delle banche del futuro. Un altro aspetto caratterizzante sarà la maggiore specializzazione, la tendenza a concentrarsi di più su alcune attività, senza voler offrire e fare tutto. Le attività di wealth management e di gestione patrimoniale saranno uno dei business che continueranno ad attrarre interesse da parte del mondo bancario. E qui resta fondamentale la figura del consulente finanziario, che sa guidare la clientela nel compiere le scelte giuste. Oggi le filiali bancarie chiudono in tutta Italia, ma la prossimità e il presidio del territorio restano fattori irrinunciabili. Prima il territorio veniva presidiato per lo più con gli sportelli, in futuro il compito spetterà sempre più alle reti di consulenti finanziari, che potranno attuarlo con una struttura di costi più snella e contenuta. Come ho già sottolineato, per certe attività il fattore umano sopravviverà. Per prendere decisioni importanti sulle loro finanze, i clienti privati, ma anche e soprattutto gli imprenditori, vorranno sempre confrontarsi di persona con qualcuno, stringergli la mano, guardarlo negli occhi. 

Come sono mutate e come cambieranno ancora, invece, le abitudini e le aspettative dei risparmiatori? 
Sicuramente è cresciuta la cultura finanziaria, anche se c’è ancora tantissimo lavoro da fare su questo fronte. Purtroppo in Italia manca ancora una cultura dell’investimento e, soprattutto, di quell’investimento orientato al lungo termine che c’è invece in molti paesi esteri, soprattutto nel mondo anglosassone. Su questo gli operatori dell’industria del risparmio devono fare un po’ di autocritica per non essere riusciti a comunicare in maniera adeguata certi messaggi e a parlare con un linguaggio più semplice ed efficace. Poi c’è un altro tema da considerare: lo scorso anno, un’indagine di Acri e Ipsos ha rilevato che ben il 33% degli italiani ha la percezione di avere una capacità di risparmio inferiore rispetto alle generazioni precedenti. C’è dunque la necessità di salvaguardare anche la cultura del risparmio e non soltanto quella dell’investimento. Quando ho iniziato la carriera, agli albori dell’era di internet, c’era una maggiore tendenza a seguire le mode, anche per quel che riguarda i servizi e i prodotti di investimento. Oggi c’è maggiore maturità e il merito va senza dubbio riconosciuto anche ai consulenti finanziari. Venti o 30 anni fa molti erano per lo più venditori di prodotti, ora fanno vera consulenza e hanno visto via via riconosciuto sempre più il loro ruolo. Ma ripeto: il lavoro da fare è ancora molto. 

A proposito di consulenti finanziari, lei ha scritto un saggio che si intitola Corporate Fintech Consultant che delinea il futuro di questa professione. Quali scenari vede all’orizzonte?
La figura del consulente è cresciuta molto e lo testimoniano i numeri. Nel settore del private banking, per esempio, in 15 anni la loro quota di mercato si è decuplicata, passando dal 4% al 40% e il trend è in continua crescita perché le reti dei financial advisor hanno dimostrato velocità nel capire i trend del mercato, molta adattabilità e capacità di attrarre tanti professionisti dal mondo del private banking. Come ho scritto nel libro, ora occorre giocare la stessa partita in un campo diverso e compiere un ulteriore salto di qualità che in Azimut abbiamo già iniziato da tempo e vedo adesso andare di moda. Dobbiamo servire cioè la platea delle piccole e medie imprese, quelle con un fatturato compreso tra 250mila e 250 milioni di euro, diventare i loro maggiori interlocutori, soddisfacendo i loro bisogni, come la gestione del passaggio generazionale della ricchezza o aiutare l’azienda a crescere. Un altro trend che vedo nel mondo dei consulenti finanziari, assieme alla crescita delle competenze e alla maggiore specializzazione, è la crescente tendenza a lavorare in squadra. Sono convinto che fra non molto, nell’arco di un quinquennio, il 90% dei professionisti non sarà più un battitore libero, ma opererà all’interno di un team. 

Dopo tanti anni in Azimut lei ora cambia casacca, seppur nel segno della continuità. Che cosa significa per lei questo passaggio? 
In Azimut ho trascorso 18 anni, dopo un’altra esperienza importante in Banca Esperia. Posso dire che sto per lasciare una società che rappresenta ancora il grande amore professionale della mia vita, dove ci sono tantissimi amici e ottimi professionisti. Ora, assieme ai manager e ai colleghi che seguono il progetto Tnb, iniziamo una nuova avventura pieni di entusiasmo e con le idee molto chiare, partendo però da una considerazione: poiché la nuova banca nascerà proprio da una scissione delle attività di Azimut, questa esperienza significherà anche mettere a frutto il lavoro fatto sinora ed essere attrattivi per consulenti finanziari e professionisti che vogliono accettare la sfida che un progetto innovativo come il nostro richiede, con un grande valore dell’azionariato diffuso che ci accompagna.

Di cambiamenti professionali tratta anche il suo ultimo saggio, Oltre il posto fisso. Di che cosa parla nello specifico? 
È un lavoro frutto di circa quattromila colloqui e interviste che ho realizzato in tutta la mia carriera. Ci sono molte storie, inclusa la mia, di persone che hanno saputo abbandonare la loro comfort zone per mettersi in gioco. Sono persone che hanno lasciato il posto fisso per sposare la libera professione. Nel libro uso una metodologia che si chiama Aspire per riassumere tutti i passaggi che devono essere compiuti per portare a termine con successo questo percorso. È un saggio dedicato ai bancari che decidono di fare il grande salto e intraprendere la carriera di consulente finanziario in autonomia. Spesso ci sono molti ostacoli psicologici che impediscono questo passaggio ed è dimostrato che i professionisti più bravi tendono sempre a sottostimare le proprie capacità. 

A fine febbraio parte un vostro roadshow. Come si articolerà? 
Si chiama NextEra e farà tappa in diverse città italiane. Toccherà due sfere sempre più sovrapposte, quella del benessere economico e quella del benessere psicofisico. È ciò che noi chiamiamo biohacking e che riguarda anche il tema della longevità. L’allungamento della vita, per esempio, farà sì che molte persone stiano in pensione molto più a lungo di un tempo. Bisogna dunque affrontare questa prospettiva con le risorse economiche adeguate e una corretta pianificazione finanziaria per garantirsi anche il giusto benessere psicofisico. Nei nostri appuntamenti avremo diverse personalità che si occupano di questi temi, esperti di diverse discipline come la finanza comportamentale, l’agronomia o la psicologia.

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