L’illusione di Trump di restaurare un’identità unica nella vita degli americani bianchi, enfatizzata con lo slogan Maga (Make America Great Again), attraverso una pluralità di ordini esecutivi, è una componente fondamentale di un’azione militaresca che fomenta conflitti nazionali e internazionali. Trump, per combattere il multiculturalismo, si è affidato a una sorta di egemonia di stampo fondamentalista, che per sua natura genera sia una radicata fedeltà che una profonda avversione. Una simile impostazione comporta una nuova strategia nelle alleanze mondiali e una politica economica che, attraverso i dazi all’importazione, regolerebbe il pareggio di bilancio delle partite correnti tra le transazioni internazionali dei beni e di servizi.
L’esaltazione dell’individuo, rivolta essenzialmente ad assicurare il benessere dei bianchi benestanti a dispetto della socialità, penalizzata da una scriteriata riduzione della spesa pubblica e dal disprezzo verso gli immigrati, non solo quelli di nuova generazione, sono la faccia del fondamentalismo nazionale negazionista che non consente a determinate comunità di individui di scegliere liberamente uno stile di vita tradizionale.
Tale strategia sta sviluppando effetti destabilizzanti sia sul fronte interno che su quello internazionale. La conclamata fine della guerra in Ucraina, senza sapere come e quando, e la soluzione rivierasca per Gaza con la deportazione di massa dei palestinesi sono gli emblemi più significativi del trumpismo.
Gli effetti del trumpismo in America
Gli effetti di questa politica sul fronte interno sono i seguenti:
- La lotta all’inflazione sta diventando in un vero e proprio boomerang per il trumpismo. Aumenta il costo del paniere della spesa, che sta superando il 10% delle retribuzioni del ceto medio, soglia che allarma da sempre i consumatori, una delle principali cause nella disfatta elettorale dei democratici;
- L’occupazione, diversamente da quanto accadeva con la precedente amministrazione, ha subito una brusca frenata, passando dai più di 200mila occupati al mese a poco più di 50 mila. Wall Street per di più sta navigando al ribasso, con perdite di miliardi di dollari, contrariamente a quello che avviene nelle borse del resto del mondo, che, se pur in modo differenziato, aumentano.
Meraviglia che Trump e il suo entourage stiano mostrando tanta inadeguatezza nell’aver assunto i dazi all’import quale discrimine della politica economica per combattere l’inflazione. Dato che dalla fine della produzione di massa le merci vendute sui mercati nazionali sono frutto dell’assemblaggio di pezzi intermedi provenienti da diversi paesi assoggettati ai dazi, ne deriva l’aumento del prezzo per i consumatori.
È noto, inoltre, che i dazi sui prodotti agricoli, sia che riguardino la totalità delle merci importate, sia una percentuale più o meno elevata, concorrono ad aumentare il prezzo di quelli prodotti internamente in base al principio del tornaconto. È altresì illusorio pensare che nel breve periodo una scelta di politica industriale e agricola fondata su alti dazi all’import sui prodotti finiti e sui beni intermedi importati possa indurre la crescita spontanea di attività produttive sostitutive. La divisione internazionale del lavoro, unitamente all’organizzazione del commercio mondiale, è così diffusa e radicata che è impensabile, anche nel lungo periodo, si possa dar luogo a produzioni nazionali sostitutive dei beni importati.
Verso le elezioni di medio termine
Nelle elezioni di medio termine del novembre 2026, alla luce dell’attuale andamento dell’economia e della possibilità che gli effetti negativi continuino a incidere sulla vita degli americani, senza un radicale cambio di marcia potrebbe verificarsi una brusca frenata del sogno identitario unico, così da rifare l’America grande per i bianchi benestanti. È sufficiente la perdita della maggioranza in uno dei rami del Parlamento per buttare all’aria i sogni di qualsiasi presidente degli Stati Uniti.
Sul terreno delle alleanze internazionali, invece, la destabilizzazione dell’ordine mondiale contraddistinta dal disimpegno americano sui vari teatri di guerra o sensibili, indipendentemente dal risultato delle prossime elezioni di medio termine, non muterà il segno delle scelte che l’Unione europea e l’Inghilterra hanno deciso di adottare e altri paesi adotteranno.
Il riarmo dell’Ue, unitamente a quello dell’Inghilterra, causa il disimpegno dell’America dalla Nato. In assenza di una politica estera e di difesa comune dell’Ue, porterà al riarmo differenziato degli stati nazionali, condizionato dalla capacità di spesa del bilancio pubblico di ognuno di essi, penalizzando comunque la spesa sociale.
Il ruolo degli Usa nel mondo
Trump ha fatto capire, non solo agli americani, ma al resto del mondo, che gli Stati Uniti non sono più disponibili a fungere da gendarmi dell’ordine mondiale. La dimensione del bilancio statale, con un deficit del 7%, un debito pubblico di 36mila miliardi di dollari, pari al 120% del Pil, non è più in grado di sostenere la spesa per gli armamenti (900 miliardi di dollari nel 2024) per lo svolgimento di questa funzione.
Il dollaro, inoltre, sta perdendo la sua centralità come valuta di riserva e dei pagamenti nel sistema finanziario internazionale. Il peso della Cina e dell’India sulla produzione e sui movimenti valutari mondiali richiede agli Usa, indipendentemente da chi avrà il governo di Capitol Hill, una nuova strategia di politica estera che fa ai cozzi con quella di gendarme del mondo.
La ricerca dell’identità unica rivolta a favorire il benessere dei bianchi benestanti che contraddistingue la strategia di Trump è destinata, si voglia o no, a mutare l’ordine mondiale. Riporta d’attualità la questione dell’equilibrio internazionale, quale rapporto e confronto tra le grandi potenze mondiali.
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