New York è da sempre una delle culle politiche del socialismo democratico americano. Agli inizi del Novecento la Grande Mela era una calamita per milioni di poveri provenienti dall’Europa in cerca di una vita migliore, il principale porto d’entrata del Paese. E anche a un secolo di distanza, nel 2018 – prima con la vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez a giugno, poi con quella più recente di Alessandra Biaggi il 14 settembre – le minoranze hanno contribuito a dismettere papaveri di partito non più in linea con le richieste degli elettori democratici della città, ormai orientati su una piattaforma che prevede una linea morbida sull’immigrazione, una sanità pubblica e gratuita per tutti e la riduzione delle tasse universitarie.
Alessandra Biaggi, a ben vedere, è il legame tra queste due New York: quella degli anni ’10, dove il melting pot europeo aveva fatto nascere e crescere una forma di socialismo legato alle lotte sindacali dei dipendenti delle fabbriche, e quella odierna, dove socialismo vuol dire protezione dalle avversità economiche e inclusione nella comunità sociale. A differenza della Ocasio-Cortez, Biaggi non è una persona che viene dal basso, anzi. I suoi bisnonni, Salvatore Biaggi e Maria Campari, erano originari della provincia di Piacenza, per la precisione venivano rispettivamente da due villaggi sull’Appennino, Travo e Bettola (quest’ultimo è anche il paese dove nel 1951 nacque il politico ed ex ministro Pierluigi Bersani). Sbarcarono negli Stati Uniti nel 1910, lui 24enne e lei 17enne. Si sarebbero sposati nel 1916 e il loro primogenito, Mario, venne al mondo nel 1917. I coniugi avrebbero avuto altri tre figli maschi, che mantenevano con i loro lavori di piastrellista e addetta alle pulizie.
Secondo il censimento del 1940, il giovane Mario comincia a lavorare molto presto come postino, per diventare nel 1943 detective della polizia di New York e nel 1968 deputato federale del Partito democratico, prima di dimettersi nel 1988, accusato di corruzione da un ambizioso procuratore distrettuale, l’allora sconosciuto Rudy Giuliani. La fine politica di Mario Biaggi è stata in seguito riletta alla luce dell’ambizione politica del futuro sindaco di New York. Fino ad allora, Biaggi era stato un popolarissimo deputato del Bronx, amato da due comunità solitamente in antitesi come quella irlandese e quella italoamericana; era diventato avvocato all’età di 45 anni grazie allo studio serale, si interessava poco alle questioni nazionali e molto di più a quelle del suo distretto elettorale.
Oggi però la situazione è cambiata. La nipote Alessandra, che ha cominciato sin da piccola a interessarsi di politica, ha raccontato in un’intervista al magazine New York che la sua agnizione è venuta quando il senatore statale Jeff Klein – eletto nelle liste dei democratici ma capogruppo di una scissione di centrodestra che sostiene i repubblicani al Senato – lo scorso dicembre ha bloccato una legge per facilitare il diritto all’aborto nello stato di New York. In quel momento ha capito, così dice, che era il momento di correre contro Klein, che aveva annunciato la sua intenzione di farsi rieleggere come democratico.
E la Biaggi, andrebbe notato, non veniva da una storia vicina alla sinistra, quanto piuttosto prossima all’establishment, con le venature di conservatorismo sociale tipiche della comunità italoamericana. Di recente era stata nello staff della campagna di Hillary Clinton, diventando anche vicedirettrice delle operazioni nazionali (in un profilo, spiega che le sue mansioni e responsabilità erano “praticamente qualunque cosa”). Poi, dopo l’amarissima sconfitta del 2016 – “una macchia scura”, come la ricorda lei – non si era data per vinta, organizzando e mettendosi in contatto con network di attivisti progressisti. Cita l’importanza che un verso del poeta persiano Rumi ha avuto sulla sua formazione personale e politica: “La ferita è il luogo da cui entra la luce”.
In ogni caso oggi, nel 2018, l’importante per lei era riprendere il controllo di un distretto – il trentaquattresimo – tipicamente suburbano, vicino a Manhattan e al Bronx ma non pienamente integrato con la città. Quella zona di confine dove negli anni ’80 i repubblicani riuscivano a vincere giocando sulle paure degli ex immigrati, ormai pienamente parte della comunità: paure che riguardavano i nuovi arrivi, come i portoricani (la comunità di cui facevano parte i genitori della Ocasio-Cortez). La miniserie del 2015 Show Me a Hero ha mostrato in modo efficace quali fossero le tensioni che attraversavano queste aree urbane a quei tempi.
Oggi le cose sono cambiate, almeno in quest’area, ma la Biaggi ha ottenuto il sostegno di una vasta coalizione di minoranze, stufe del sostegno di Klein ai repubblicani: a poco sono serviti i 2 milioni di dollari raccolti dal senatore (con l’aiuto dei suoi avversari). Così Alessandra Biaggi, nipote di un ex deputato e bisnipote di due immigrati piacentini, sposterà quasi sicuramente il Senato di New York a sinistra. Forse non arriverà dove è arrivato il nonno (e dove quasi sicuramente arriverà la Ocasio-Cortez). Ma di sicuro la sua vittoria si inserisce in un momentum favorevole alle forze di sinistra americane, che si dimostrano capaci di vincere non solo nei centri urbani delle èlite “globaliste” ma anche in quei sobborghi impoveriti dove a far breccia, prima che il socialismo, è un messaggio di speranza.
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