Nel 2007 Universal McCann intervistò circa diecimila persone per conoscere la loro opinione su fotocamere digitali, telefoni cellulari, lettori MP3 e cose simili. Uno dei temi più caldi di quel periodo era rappresentato dall’iPhone, annunciato nel gennaio di quell’anno ma ancora non rilasciato. Quando i ricercatori presentarono i risultati dell’indagine, riportarono questa conclusione: un prodotto “convergente” come l’iPhone – cioè un unico dispositivo portatile per soddisfare differenti tipi di bisogni – era desiderato dai consumatori di nazioni quali il Messico e l’India, ma non dai consumatori dei paesi più ricchi. “Non c’è un reale bisogno di un prodotto convergente in Usa, Germania e Giappone”, affermava il report di ricerca.
Come riportato dal Guardian in un articolo del 29 giugno 2007 – il giorno in cui Steve Jobs presentò l’iPhone – “Universal McCann concluded that Apple’s goal of selling 10mln iPhones by the end of 2008 is too ambitious”.
Nell’ottobre del 2007 Apple annunciò di avere venduto – fino alla fine di settembre – 1,19 milioni di device, e alla fine del 2008 Apple aveva già venduto 17 milioni di device.
I consumatori acquistarono l’iPhone poiché ne lessero sui media, videro report alla TV e persone in coda per una notte intera per avere nelle proprie mani il primo iPhone. Iniziarono poi a leggere blog e recensioni. Quando l’iPhone cominciò a diffondersi, l’idea – prima astratta – di un prodotto convergente, fu sostituita dalle recensioni scritte da coloro che lo utilizzavano. Iniziarono a condividere sul web la loro esperienza, i vantaggi che derivavano dall’avere accesso ad una fotocamera ovunque e a qualsiasi ora del giorno e della notte, come pure il fatto che non era necessario portarsi appresso un iPod per ascoltare la musica.
Il resto della storia dell’iPhone lo conoscete.
Oggi è molto facile dire che l’agenzia di ricerche di mercato fece un errore, e infatti questo non è il punto che voglio affrontare. Il punto che invece voglio affrontare qui è che, per le aziende che operano nei consumer markets, riuscire a creare clienti fedeli oggi, è totalmente diverso rispetto al passato – anche solo quello di 10 anni fa.
I consumatori hanno sempre avuto la possibilità di “votare” per un certo brand, muovendo le loro gambe e spendendo i soldi altrove. Se da un lato la rivoluzione digitale ha dato ancora più potere ai consumatori, ha anche aumentato la complessità del processo di acquisto. Essi utilizzano i social media, i siti di comparazione e le recensioni online, per finalizzare le proprie scelte e influenzare quelle di altri.
La mia attività di ricerca e la mia esperienza professionale mostrano che circa l’80% dei consumatori legge le recensioni online prima di un acquisto. Quasi il 35% contribuisce ai forum o scrive commenti nei blog. Le recensioni online sono la seconda fonte di informazioni per la scelta di un brand, e quasi il 70% dei consumatori si fida di queste informazioni. L’unica fonte di cui si fida maggiormente è rappresentata dalle raccomandazioni ricevute da amici o familiari.
Quando i consumatori sono in grado di prevedere l’esperienza che avranno nell’uso di un prodotto o di un servizio senza doversi più basare sul brand name o sui messaggi pubblicitari, allora significa che tutto è cambiato. Il marketing – per come noi lo conoscevamo – non funziona più. Quei marketers che rimarranno focalizzati sulla costruzione del brand equity, piuttosto che sulla realizzazione di messaggi pubblicitari “persuasivi”, probabilmente perderanno il loro tempo. Cercare di influenzare persone che possono accedere ad ogni genere di informazione, è come cercare di vendere una bicicletta ad uno scalatore mentre sta scalando una parete verticale.
Cosa devono fare allora le aziende che operano nei consumer markets per trattenere i loro clienti?
La risposta sta nel creare non una customer-base, bensì una fan-base, cioè una comunità di clienti fanatici. I fan non sono mai soddisfatti dei contenuti che essi “consumano”. Ne parlano tra loro e ne scrivono in rete. Arrivano persino ad adorarli.
Sfortunatamente però, solo poche aziende riescono a guidare le proprie persone ed organizzare i processi e la tecnologia per stimolare quelle emozioni positive che sono necessarie per la creazione di una comunità di clienti fanatici del brand.
Ma come si fa a stimolare le emozioni che rendono i clienti super-fedeli, fanatici del brand?
Ecco le 3 principali linee guida.
- Mettere il brand al secondo posto e il senso di appartenenza al primo
I chief marketing officers spesso dimenticano che i consumatori sono delle persone – o meglio – esseri umani con forti bisogni emozionali. I brand potranno creare fedeltà non basandosi sulle relazioni di acquisto piuttosto che sui dati da esse generate, bensì aiutando le persone a soddisfare i propri bisogni emozionali. Contrariamente a quanto pensano molti marketers, i bisogni che devono essere soddisfatti da una brand community non si riferiscono allo status o all’identità del consumatore. Al contrario, le aziende devono fare leva su di un bisogno emozionale di base che tutte le persone hanno, cioè il bisogno di legarsi con altre persone. Nella piramide di Maslow, il bisogno di appartenenza rappresenta uno dei bisogni che maggiormente motiva il comportamento degli umani. Esso non si riferisce solamente al bisogno di conoscere altre persone, bensì si riferisce al bisogno di ricevere accettazione, attenzione e supporto dai membri di un gruppo come pure dare attenzione agli stessi membri. Attraverso l’appartenenza a un gruppo, ci sentiamo parte di qualcosa di più grande e più importante di noi. Il bisogno di appartenenza costituisce così una motivazione intrinseca che spinge a cambiamenti nel comportamento e nelle credenze dei consumatori, i quali cercano di conformarsi agli standard del gruppo.
Questa è la motivazione che spiega perché migliaia di persone nel mondo sono disponibili a rimanere in coda per un’intera notte – anche se piove – per acquistare un telefono cellulare. Oh, pardon, un iPhone!
- Realizzare comunità con connessioni interpersonali di tipo fisico
Decenni di teoria di brand management hanno instillato nella testa dei chief marketing officers l’idea che per creare una connessione emozionale tra un brand e i consumatori sia necessario identificare e comunicare in modo coerente un insieme di valori. Sfortunatamente, una comunità che si basa solamente su alcuni principi astratti fornisce ai propri membri pochi benefici se paragonata ad una comunità dove sono presenti relazioni interpersonali di tipo fisico.
Se l’appartenenza alla comunità non prevede anche delle connessioni umane, la probabilità che i membri fuoriescano è elevata. Il senso di appartenenza ad un gruppo è solitamente molto forte quando è basato su connessioni fisiche uno-a-uno o, meglio, uno-a-molti.
L’Harley-Davidson Museum, ad esempio, favorisce la creazione di una rete di connessioni interpersonali attraverso vari meccanismi, quali ad esempio i muri distribuiti nel campus che vengono decorati con rivetti in acciao inox sui quali sono incise scritte realizzate dai membri della comunità. Quando un visitatore legge le incisioni sui rivetti, pensa alle storie e alle persone che ci sono dietro. Gli “Harley riders” che si incontrano vicino ai muri, iniziano a discutere delle varie incisioni, e in breve tempo sono coinvolti in una conversazione che li porta spesso a decidere di farsi un giro in moto assieme. Attraverso questi semplici rivetti, assieme ad altri mezzi che stimolano le connessioni interpersonali, il museo riesce a rafforzare la fedeltà al brand.
- Costruire comunità che favoriscono il conflitto
Molti leader aziendali preferiscono evitare il conflitto. Tuttavia le brand community sono intrinsecamente generatrici di conflitto. “Stare nel gruppo”, implica necessariamente il concetto di “essere fuori dal gruppo”.
Steve Jobs ha utilizzato il conflitto in modo molto efficace. Come riportato nella biografia scritta da Walter Isaacson, nella sua carriera e nella sua vita, egli ha rappresentato sè stesso come un guerriero contrapposto alle forze del male, rappresentate ovviamente dai concorrenti. Quando IBM lanciò il suo personal computer nel 1981, Apple fece pubblicare sui quotidiani un annuncio che diceva: “Welcome, IBM. Seriously.”
Jobs posizionò Apple contro IBM quando c’erano molte altre aziende concorrenti. Egli arrivò anche a dire, “If for some reason we make some giant mistakes and IBM wins, my personal feeling is that we are going to enter sort of a computer Dark Ages for about 20 years”.
I leader intelligenti sanno che cantare in modo gioioso in un campo di battaglia non stimola i propri “soldati a combattere contro il nemico”. Le brand community diventano più forti se si riesce a illuminare i confini piuttosto che cancellarli.
Le brand community – se correttamente implementate – possono portare a risultati straordinari. Nella mia esperienza ho misurato aumenti di fedeltà di oltre 6 volte, con una riduzione dei costi di marketing fino al 40%. La realizzazione richiede però leader che siano autenticamente interessati ai bisogni emozionali dei clienti e che abbiano la capacità di stimolare il conflitto per rafforzare i “confini” del brand.
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