Il governo a Porta a Porta
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Il conto della recessione tra congiuntura sfavorevole e scelte politiche

Il governo a Porta a Porta
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nello studio di Porta a Porta, sullo sfondo Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio (Imagoeconomica)

Quanto previsto nel corso delle ultime settimane da molti istituti bancari, finanziari ed internazionali, è stato oggi certificato dall’Istat: l’economia italiana è entrata ufficialmente in recessione. Dopo aver fatto registrare un dato negativo nel corso del terzo trimestre del 2018 (-0,1%), i dati appena rilasciati dall’istituto nazionale di statistica certificano un ulteriore calo del Pil (-0,2%) nel quarto trimestre.

Andamento economia italiana, Prodotto interno lordo, variazioni percentuali congiunturali e tendenziali. Dati Istat, 31 gennaio 2019.

Nonostante il dato di oggi sia particolarmente negativo, in molti si aspettavano questa notizia. L’11 gennaio lo stesso Istat riportata il crollo della produzione industriale italiana nel mese di novembre, con un calo del 2,6% su base annua e dell’1,6% rispetto al mese precedente. Pochi giorni dopo, il 18 gennaio, Banca d’Italia tagliava le stime del Pil per il 2019 dallo 0,9% allo 0,6%. Il 21 gennaio, dal palco di Davos, il Fondo Monetario Internazionale certificava quanto riportato da Banca d’Italia, riducendo la stima della crescita reale del Pil dall’1% allo 0,6%. Oltre a questi dati, il 3 dicembre 2018, Goldman Sachs comunicava ai propri clienti che, probabilmente, il Pil italiano crescerà solamente dello 0,4% nel 2019. Per Pimco, colosso del risparmio gestito, invece, la crescita del Pil potrebbe addirittura rimanere piatta nel corso dei prossimi 12 mesi.

Tutti questi dati sono in controtendenza con quanto previsto dal governo. Ieri sera, infatti, oltre ad annunciare in anticipo il dato odierno, il premier Conte si è mostrato comunque fiducioso, spiegando (durante il suo intervento ad Assolombarda) come l’economia italiana tornerà a crescere nella seconda metà del 2019 e permetterà al governo di raggiungere i propri obiettivi fiscali. Per dovere di cronaca, il governo prevede attualmente una crescita reale del Pil pari all’1% per il 2019.

Ai dati italiani vanno poi aggiunti quelli degli altri paesi europei. Ad esempio, a novembre la produzione industriale è crollata in tutta Europa, facendo registrare un complessivo -1,7% rispetto al mese precedente. I dati negativi provenienti da paesi come Germania (-1,9% e -4,7% su base annua), Francia (-1,3% e -1,2% su base annua), Spagna (-1,5%) e Regno Unito (-0,4%) lasciano pensare che l’attuale recessione italiana sia principalmente dovuta all’attuale congiuntura macroeconomia internazionale. A livello globale, infatti, le tensioni commerciali tra Usa e Cina, le incertezze legate alla prospettiva di una Brexit senza accordo e la crisi dell’importante settore automobilistico stanno pensando molto sui mercati.

Di conseguenza, se l’economia internazionale (ed in particolare quella europea) rallenta, anche l’economia italiana, che in questi ultimi anni si è aggrappata al settore delle esportazioni per ritrovare la crescita, tende a soffrire. Anche per questo, però, appare davvero fuori luogo la continua retorica della conflittualità economica nei confronti di Germania e Francia, i nostri due primi partner commerciali, promossa da tempo da diversi esponenti del governo.

Se da un lato, dunque, l’attuale congiuntura macroeconomica gioca a nostro sfavore; dall’altro le scelte di politica economica non hanno con tutta probabilità aiutato.

Il governo Conte si è fatto carico di un’eredità economica pesante. Nonostante ciò, anziché cercare di promuovere politiche economiche pro-crescita, l’attuale governo M5S-Lega ha deciso di puntare tutto su reddito di cittadinanza e quota 100, due misure che mettono a rischio la tenuta delle finanze del Paese e che rischiano di non stimolare adeguatamente l’economia. Da maggio ad oggi, inoltre, è quasi inutile ricordarlo, le incertezze politiche hanno causato un netto rialzo dei tassi d’interesse sul nostro già alto debito pubblico. In altre parole, il rischio paese è aumentato.

Oltre a questo, rileggendo il recente documento di economia e finanza, approvato dal parlamento un mese fa, il governo avrebbe deciso di ridurre le risorse destinate agli investimenti in conto capitale, di aumentare la pressione fiscale e di aumentare ulteriormente il peso delle pericolose “clausole di salvaguardia”. Insomma,  tutti cattivi segnali in previsione futura. Infine, misure come il “decreto dignità” ed il recente accordo tra MoVimento 5 Stelle e Lega sulla chiusura domenicale dei negozi rischiano di minare ulteriormente quel poco di buono che era stato fatto nel corso di questi ultimi anni.

Oltre al calo del Pil, gli ultimi dati dell’Istat certificano anche un ulteriore indebolimento del clima di fiducia delle imprese. Nonostante il recente miglioramento della fiducia dei consumatori (che rimane però sotto i livelli fatti registrare ad inizio 2018), l’indice di fiducia delle imprese diminuisce in tutti i settori (nel settore manifatturiero l’indice passa da 103,4 a 102,1, nei servizi da 99,5 a 98,6 e nel commercio al dettaglio va da 105,0 a 102,8) ad eccezione delle costruzioni dove l’indice aumenta in modo marcato passando da 130,3 a 139,2.

In attesa di conoscere quello che ci riserveranno i prossimi mesi (dalle previsioni della Commissione Europea, al giudizio delle agenzie di rating di marzo-aprile; dal nuovo Def di aprile alle prime stime Istat per il 2019 di maggio), occorre prendere atto che altri principali paesi europei, come Francia (+0,3%), Germania (+0,1%) e Spagna  (+0,7%) hanno fatto registrare un andamento positivo del Pil, seppur risicato, nel corso dell’ultimo trimestre del 2018.

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