Dopo il fortunato blitz del Tesoro di ieri si indebolisce il mercato dei titoli di Stato. Il Btp scambia a 2,94% (+3 punti base in più della vigilia), spread a 282 punti dopo la pubblicazione delle stime di crescita del Pil italiano (+0,2% da +1,2% di novembre).
Una doccia fredda che rende ancor meno comprensibile agli occhi dei risparmiatori il collocamento record del nuovo titolo a 30 anni, accolto ieri da richieste per € 41 miliardi. C’è da chiedersi come conciliare la pressione dei mercati sulla finanza pubblica con una performance storica che ha permesso al Tesoro di collocare 8 miliardi di titoli, facendo così salire a € 68 miliardi la cifra raccolta nel 2019, il 17,2% dei € 400 miliardi circa necessari per finanziare il deficit italiano. Un risultato eccezionale che dà ragione alla scelta del ministero di anticipare i tempi e concedere così il bis dopo il successo, poco più di 20 giorni fa, del collocamento record da € 10 miliardi del nuovo Btp a 15 anni.
Di riflesso il rendimento dell’emissione al 2049 si è posizionato sul 3,91%. Mica poco, se si considera che il trentennale tedesco rende oggi circa lo 0,75%, quello francese circa l’1,5%, quello spagnolo il 2,45%. Ma non si può dimenticare che a novembre, nel momento più violento del duello tra il governo e Bruxelles, il Btp Italia raccolse meno di € 2 miliardi, tra retail ed istituzionali, su un titolo a 4 anni offerto al 4% netto (più bonus). Non è primavera, insomma, ma una schiarita c’è stata, in barba al deterioramento della congiuntura. Ma quanto durerà? C’è da fidarsi oppure alla fine il cerino resterà in mano ai più deboli?
Per tentare una risposta si deve partire dalla constatazione che il trend non riguarda solo l’Italia. Dopo le tensioni sui mercati azionari degli ultimi mesi del 2018 si è amplificata la richiesta di prodotti difensivi amplificata dalla frenata della crescita delle economie, che si è tradotta in una corsa alle emissioni del reddito fisso, a partire da quelle che rendono di più. Inoltre, il timore di un’uscita dell’Italia dall’euro si è fortemente ridimensionato, almeno per il futuro prevedibile.
Certo, la tensione sul debito italiano resta molto forte, ma per quanto riguarda il Bel Paese, a differenza di quanto accadde alla Grecia (che pure oggi gode il favore dei mercati) durante la grande crisi, nessuno mette in dubbio la solvibilità. Gli investitori esteri sanno che, se le cose dovessero mettersi male (cioè prendere la piega che è sotto gli occhi di tutti, in questo momento), gli italiani hanno una elevata ricchezza privata per compensare il debito pubblico e restare solvibili. Ovvero, tanto per spegnere l’ottimismo, l’aumento del debito rende meno improbabile una possibile patrimoniale. Anche perché è stato calcolato che il prezzo pagato dal Tesoro per la raccolta di € 8 miliardi è stato ieri più alto di ben € 1,3 miliardi rispetto a quanto chiesto dai mercati nello scorso aprile, prima del ribaltone elettorale. Lo stress da debito, insomma, si fa sempre più inquietante.
Ecco come si spiega l’apparente contraddizione tra il successo delle emissioni del Tesoro e lo spread di nuovo in accelerazione: il mercato non teme il default italiano, ma tratta il Bel Paese alla stregua di un cattivo debitore che, di questo passo, prima o poi dovrà mettere all’incanto l’argenteria (anzi, gli immobili) che verranno rilevati a prezzo di occasione. Che fare, data questa cornice non confortante? È probabile che in futuro lo spread Btp/Bund sia destinato ad allargarsi, perciò potrebbe essere una buona tattica posizionarsi sulla parte a lunghissima scadenza della curva dei rendimenti anche perché per un bel po’ non ci saranno nuove offerte di questo genere, a garanzia della tenuta dei prezzi.
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