C’è terra vergine. Nessuno ci credeva più.
Il tesoro archeologico dell’Arabia Saudita, non potendoci andare, si era preferito dimenticarlo o lasciarlo ai sogni di una fantasia romantica ispirata alle pagine di Lawrence d’Arabia. Eppure parliamo di un’area di bellezza sbalorditiva, grande come il Belgio e abitata appena da 60mila anime.
E’ Alula, la Petra saudita. Una Petra ben più vasta, ma totalmente irraggiungibile prima dell’annuncio della storica apertura di Riyad al turismo.
La notizia è stata celebrata in questi giorni in Francia dalla Royal Commission of Alula, in missione a Parigi per la prima mondiale dell’omonima mostra-evento.
Il nome epico di Alula fa brillare gli occhi a molti. Si aprono al mondo 7.000 anni di storia, la cultura preislamica e quella nabatea, e ancora le carovane dei pellegrini diretti alla Mecca. Eldorado mitico per viaggiatori colti che ameranno ripercorrere il deserto tra Damasco e Medina sulle tracce dell’antica ferrovia; o per quelli facoltosi (molto) che vorranno godere di ospitalità alberghiera all’insegna del lusso assoluto, fino agli investitori di gran calibro. Si parla di 40 alberghi, che sorgeranno nell’area nei prossimi due anni, e i brand sono quelli del prestigio internazionale.
L’Arabia Saudita ha idee chiare: lo sviluppo dell’area sarà sostenibile. La presentazione del progetto ha coinciso con l’inaugurazione della mostra all’Institut du Monde Arabe, auspice il Presidente Jack Lang e i rispettivi ministri della Cultura. Gli ampi mezzi finanziari del Golfo si sono sposati alla perfezione con l’allure parigina e un parterre sceltissimo. Con l’occasione la Royal Commission saudita ha anche presentato il Manifesto Culturale di Alula.
In carta pregiatissima (stampata a rilievo per rendere omaggio alle incisioni rupestri) vi si legge come, per la tutela del più grande museo all’aperto del mondo, sviluppo e sostenibilità ambientale sono ormai considerati inscindibili. Il coinvolgimento delle popolazioni locali un punto fermo. La parità di genere, nei profili occupazionali che si apriranno, garantita in maniera solenne. L’appello, infine, ai “cultural pioneers of our time” è accorato e mette ali agli intrepidi.
Il gap culturale è un finto problema. L’esclusività della meta e gli standard di accoglienza sono troppo esclusivi per interrogarsi su alcolici e bikini. E’ questione di rispetto: se le condotte locali non li contemplano, rinunciare non costituisce un sacrificio ma semplicemente una questione di stile e consapevolezza. Anche perché, a ben guardare, Riyad sta cercando di capire l’Occidente più di quanto l’Occidente non faccia nei suoi confronti.
L’opportunità – culturale ed economica – offerta da Alula lo dimostra. Esclusiva, inaspettata e prodigiosa.
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