In Italia ci sono aziende che, malgrado i numeri sulla disoccupazione giovanile sempre più preoccupanti, non riescono a trovare candidati ideali rispetto alle posizioni aperte. Ci sono realtà che pubblicano annunci di lavoro, ai quali nessuno risponde. Ma anche imprese che, dopo aver vagliato centinaia di curricula, rimangono insoddisfatte. Colpa del sistema scolastico e universitario, ancora troppo scollato dal mondo del lavoro. Ma anche – e questa è una singolarità – delle stesse imprese, che a volte non riescono a rendersi abbastanza appetibili.
A ribadirlo è Franca Castelli, una 34enne emiliana che alla fine del 2016 ha fondato la startup Jobreference. Una sorta di TripAdvisor dell’occupazione, visto che il portale pubblica feedback relativi a colloqui, stage, esperienze di lavoro, così come veri e propri annunci. In questo modo il sito aiuta imprese e potenziali lavoratori a conoscersi meglio e a districarsi nella ricerca senza perdere troppo tempo. La giovane imprenditrice in questi mesi ha toccato con mano i maggiori limiti che impediscono alle aziende di trovare i cervelli giusti per le proprie esigenze. E così ha stilato per ForbesITALIA un decalogo degli errori più comuni, che le realtà economiche del nostro Paese dovrebbero correggere.
Annunci poco mirati. “Nel nostro Paese i candidati si ritrovano spesso davanti ad annunci che richiedono competenze sovradimensionate rispetto a quanto effettivamente necessario per la posizione in oggetto. L’azienda rischia di perdere così persone valide e soprattutto specializzate in una determinata area, attirando invece potenziali lavoratori con una preparazione generica e quindi privi di particolari competenze specifiche”.
Mancanza di feedback. “Spesso, a causa di lunghi processi interni, è difficile da parte dell’azienda o della società di selezione riuscire a informare tempestivamente il candidato sui vari step di avanzamento. A causa di questa situazione, chi cerca lavoro si trova costretto a rispondere ad altre application non avendo riscontro sul risultato dei colloqui fatti, e l’azienda rischia così di perdere il giusto profilo”.
Mancato inserimento delle risorse. “In Italia sono sempre meno le aziende che prevedono un programma di inserimento e training nelle differenti risorse che le compongono. Si ha la pretesa che una nuova figura sia operativa nell’immediato, senza un’adeguata formazione iniziale. Un programma di inserimento faciliterebbe invece il neo dipendente, rendendolo realmente operativo e produttivo in minor tempo, parte integrante dell’organico e maggiormente coinvolto nel raggiungimento degli obiettivi per i quali è stato selezionato”.
Assenza di una formazione continua e specifica. “Un feedback puntuale, trasparente e previsto fin dal primo contatto con il candidato viene vissuto come un plus per le persone che scelgono di rispondere a quel determinato annuncio. Nel caso di posizioni altamente specializzate – ma non solo – è fondamentale garantire alla risorsa un percorso formativo che le faccia percepire la reale volontà dell’azienda di investire su di lei. Altrettanto importante è fornire al candidato una visione chiara, efficace e trasparente del potenziale percorso di crescita che si predispone, sia a livello di responsabilità e ruolo sia sotto l’aspetto retributivo”.
Poco smart working. “Ai nostri giorni un punto importante che può fare la differenza fra una selezione persa e una portata a buon fine è la possibilità da parte della risorsa di poter contare su un orario flessibile, che consenta di poter serenamente gestire il proprio tempo e lo ingaggi direttamente sul senso professionale e di responsabilità nei confronti di chi gli concede una tale fiducia. Lo strumento dello smart working è quindi uno dei temi più importanti al momento per attrarre le migliori competenze sul mercato”.
Nessun programma di benefit. “Uno dei plus maggiormente apprezzati dai candidati è la presenza di benefit. Per esempio, un supporto medico/assicurativo fornito dall’azienda unitamente a un piano pensionistico integrativo fanno percepire alla persona la volontà dell’impresa di andare lontano, insieme”.
Assunzione e retribuzione non all’altezza. “Assistiamo molto spesso alla pubblicazione di annunci che prevedono skill potenzialmente infinite a fronte di un pacchetto retributivo decisamente disallineato o completamente privo di una qualsivoglia indicazione iniziale. Questo provoca un enorme dubbio nel potenziale talento, che lo porta a valutare situazioni differenti ma sulla carta più concrete. L’azienda deve quindi prestare molta attenzione alla stesura dell’annuncio e far sì che attragga i candidati piuttosto che intimorirli”.
Stage, ma con esperienza. “Per le posizioni di stage, in cui il tirocinante andrebbe formato da zero o quasi, spesso vengono richieste specifiche competenze e persino un paio di anni di esperienza. L’azienda ha però il compito di formare lo stagista, perché se fosse già formato dovrebbe essere assunto”.
Annunci ingannevoli. “Spesso le figure commerciali si nascondono dietro titoli ambigui, attirando candidature di profili differenti che non hanno però ambizioni di questo tipo. E’ un modo sbagliato da parte dell’azienda di porsi: il tasso di reale interesse verso la posizione sarà davvero basso. Risultato finale: perderanno tempo sia l’azienda sia l’ignaro candidato”.
Nessuno spazio per l’iniziativa personale. “In alcuni ambienti è chiaro già dal colloquio che non si potrà avere iniziativa personale poiché la libertà decisionale nella posizione è estremamente limitata da linee guida già esistenti. I veri talenti cercano invece un posto in cui potersi esprimere, confrontare e crescere. Limitare l’iniziativa personale è il primo modo per fare scappare i veri talenti. Assumere un candidato bravo per farlo ragionare con la testa altrui equivale a non aver assunto alcun talento”.
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