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Cultura

Identikit dei candidati al Premio Strega 2018

Bottiglie di liquore Strega al Chelsea Market di NYC.

E anche quest’anno, puntuale come il canone e l’ora solare, comincia la corsa al Premio Strega: il-più-prestigioso-premio-letterario-italiano, l’unico ancora in grado di aumentare le sconfortanti vendite delle librerie, nonostante siano passati 74 anni dall’inverno in cui si gettavano le basi per la sua fondazione. Era il 1944 e nella Roma liberata “cominciarono […] a radunarsi amici, giornalisti, scrittori, artisti, letterati, gente di ogni partito”, scriveva l’iniziatrice del concorso Maria Bellonci, “per far fronte alla disperazione e alla dispersione”. Scrittori e giornalisti di ogni partito si radunano ancora oggi, sempre a casa di Maria e suo marito Goffredo, e sempre sotto il nome da fan club di Amici della Domenica: nell’estate del 1947 erano 170, e 92 di loro votarono per l’esordiente Ennio Flaiano: oltre al più-prestigioso-premio-letterario-italiano Flaiano vinse anche 200mila lire. Il finanziamento monetario veniva da Guido Alberti, attore e rampollo della famiglia che costruì l’industria dei torroni e del Liquore Strega. Gli Amici della Domenica, adesso, sono più del triplo. In totale, dal 1944 a oggi se ne sono succeduti 1.100.

Come in ogni altro ambito, però, la fama va di pari passo alla critica: passano gli anni e aumentano le polemiche, si moltiplicano i detrattori, non ci si ricorda più quando la Feltrinelli abbia gareggiato per l’ultima volta, dal gran rifiuto con cui decise di non partecipare due edizioni fa. Persino un fronte lontanissimo dal dibattito culturale, Striscia la notizia, lo scorso anno si è occupato di smascherare – senza risultati – il complottismo dietro al Premio. Moreno Morello, insieme a un uomo camuffato da befana, si aggirava per i corridoi di Tempo di Libri domandando agli scrittori se davvero, come si dice, “si vince per accordi editoriali”, e se “è già tutto deciso”.

Il Liquore Strega che dà il nome al Premio.

Per mettere a tacere almeno parte delle contese, allora, il comitato direttivo si sforza di raddrizzare i cavilli del regolamento; restano religiosamente fisse, però, le due votazioni: quella di giugno, che screma la dozzina in gara, e quella di luglio, che elegge il vincitore al Ninfeo di Villa Giulia. Dal 2010, alla prima votazione degli Amici della Domenica si aggiungono i lettori “forti”; dal 2017 pure le biblioteche di Roma, i circoli di lettura, le scuole e 200 intellettuali residenti all’estero. Gli aventi diritto, oggi, salgono a quota 660.

L’ultima pensata del comitato, quest’anno, è stata l’abolizione delle candidature da parte delle case editrici. Fino al 2017, infatti, ogni editore sceglieva uno e un solo titolo da proporre alle giurie, uscito nel corso dell’anno, che lo rappresentasse; in questa edizione invece sono stati gli Amici stessi a proporre una serie di opere. Forse se la Feltrinelli avesse smorzato la sua offesa, Le assaggiatrici di Rossella Postorino sarebbe già il libro vincitore di quest’anno: adorato dalla critica, idolatrato dai lettori, pluri-ristampato e, soprattutto, scritto da una donna. Perché il trend dell’anno – si bisbiglia già da gennaio – è femmina (eppure, anche vincesse una scrittrice, resterebbero 61 i maschi premiati in 72 anni col liquore più prestigioso dell’editoria italiana). L’effetto del nuovo regolamento è straniante: i titoli proposti sono stati quarantuno, quasi il doppio della tradizione, tutti pubblicati tra l’1 aprile dello scorso anno e il 30 marzo di questo: ventisette scritti da uomini, uno scritto a tre mani, dieci del Gruppo Mondadori.

Alle 11 di ieri mattina i libri sono diventati dodici, e la corsa è cominciata; per il motivo di cui sopra, ma anche perché ha già vinto il Premio Bagutta, la prima della fila è Helena Janeczek: il suo La ragazza con la Leica, edito da Guanda, racconta in ordine non cronologico la formazione e la breve carriera di Gerda Taro, computatrice e poi fotografa, la prima fotoreporter caduta su un campo di battaglia, travolta da un carro armato appena ventisettenne, compagna di Robert Capa sia nella vita che nella Guerra di Spagna. Per Guanda, se vincesse, sarebbe la prima volta, e la quinta in cinquina: nonostante l’editore modenese sia nato nel ’32, i quattro libri arrivati in finale sono tutti degli anni Duemila.

Il Ninfeo di Villa Giulia, dove tradizionalmente si elegge il vincitore.

Le sta alle costole Yari Selvetella, giornalista romano classe 1976, con la storia di un’altra donna, la sua compagna Giovanna De Angelis, e della sua improvvisa scomparsa. Le stanze dell’addio è “il coming out di un dolore”, a cinque anni dalla perdita di una moglie che è stata anche scrittrice ed editor: “Rimangono i libri fatti, e il rimpianto per quelli che non si è riusciti a scrivere”. Bompiani – da appena due anni entrata a far parte del gruppo Giunti e con in sella un nome di primissimo piano nell’editoria italiana, come quello di Antonio Franchini – ha ritirato il Premio nove volte, l’ultima nel 2011.

Viene dall’ambiente editoriale anche Carlo Carabba, fratello dello scrittore Enzo Fileno e responsabile della narrativa italiana di Mondadori. Caporedattore di Nuovi Argomenti, poeta, ha appena debuttato nella narrativa con il memoir Come un giovane uomo, pubblicato dalla Marsilio di Chiara Valerio, non più responsabile di Tempo di Libri in quanto “intellettuale”. E già si diceva essere in odore di Strega anche Carlo D’Amicis, fresco dell’aver visto sul grande schermo la trasposizione del suo romanzo pugliese La guerra dei cafoni. Con Il gioco (Mondadori) lo scrittore tarantino racconta le vicende tragicomiche di Leonardo, Eva e Giorgio e delle loro confessioni sessuali a un intervistatore, affinché ne elabori un libro sul piacere.

Figlia di origini ebraiche, vittima della guerra e della persecuzione razziale, Lia Levi è sceneggiatrice, giornalista, fondatrice del mensile Shalom e autrice di moltissimi libri per ragazzi e per adulti. Il suo romanzo d’esordio, Una bambina e basta del 1994, è diventato un classico nell’istruzione; Questa sera è già domani, pubblicato ancora dalla fedelissima E/O, torna a raccontare la fuga degli ebrei dalla Germania e dall’Austria. È il 1938, in Italia vengono promulgate le leggi razziali, all’estero “molte belle parole ma in pratica nessuno li vuole”: uno scoraggiante specchio della questione dell’immigrazione dei giorni nostri.

Anche la medievalista Angela Nanetti alterna romanzi per ragazzi e storie per adulti: Mio nonno era un ciliegio, il suo libro di maggior successo, edito in quindici Paesi, ne è la conferma. Cambia decisamente registro con Il figlio prediletto, pubblicato da Neri Pozza, che racconta di un sentimento proibito in Calabria – e quindi spedito a Londra – di un giovane che viene pestato a sangue, e di un altro che è lasciato morire. La protagonista Annina è una delle tante donne prevaricate, non solo in Aspromonte ma in tutto l’Occidente: “Quando sollevi il coperchio” dice l’autrice, “scopri le violenze indirette e dirette”. L’editore di Vicenza fa doppietta con Sandra Petrignani, che già aveva indagato nel 2011 le abitazioni delle autrici del Novecento e che adesso si concentra su Natalia Ginzburg, dalla nascita a Palermo alla formazione torinese fino al trasferimento a Roma. La corsara racconta anche di Giulio Einaudi, Cesare Pavese e il marito Leone, ma va molto oltre Lessico famigliare, il memoir che nel ’63 fece vincere alla scrittrice proprio il Premio di Maria Bellonci.

La storica lavagna su cui si conteggiano i voti degli Amici della Domenica.

Francesca Melandri, sorella di Giovanna e cugina di Gianni Minoli, è stata, soprattutto, la sceneggiatrice di Fantaghirò. Ha diretto due documentari e pubblicato tre romanzi: il primo, Eva dorme, raccontava il terrorismo sudtirolese; il secondo, Più alto del mare, è stato finalista al Campiello; l’ultimo, quello candidato a questo Strega, Sangue giusto, ci riporta a Roma nel 2010, e torna ad affrontare il tema razziale ma, soprattutto, quello paterno e la sua memoria. Elvis Malaj, di origine albanese, ha la metà dei suoi anni; per Racconti Edizioni ha pubblicato la raccolta Dal tuo terrazzo si vede casa mia, scritta direttamente in italiano, che segna la prima volta dell’editore nella competizione. È la prima volta anche per l’editore Add con Anni luce, romanzo di formazione di Andrea Pomella con nostalgia anni ’90 e il sottofondo della musica dei Pearl Jam. Ed è invece la seconda chance per Neo Edizioni, che già nel 2015 era riuscita ad entrare nella dozzina e che quest’anno ci riprova con La madre di Eva, dialogo silenzioso tra una donna e sua figlia pochi attimi prima che questa diventi un uomo, firmato da Silvia Ferreri. Chiude la dozzina l’ultimo arrivato – come da titolo della sua opera – Marco Balzano, vincitore del Campiello nel 2014 e passato alle scuderie Einaudi con Resto qui. Il trasferimento editoriale, di solito, porta bene: solo negli ultmi quattro anni la casa torinese ha vinto tre volte lo Strega.

A livello di editori, dunque, sono rimasti quindi fuori la Nave di Teseo, Tunué e Baldini+Castoldi; solo una di queste dodici persone, il prossimo 5 luglio, vincerà il più-prestigioso-premio-letterario italiano (a differenza, ad esempio, di Italo Calvino, Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini: candidati tre volte ciascuno e mai saliti sul palco del Ninfeo). Prima di accedere a Villa Giulia, però, il 13 giugno dovranno lottare per entrare nella celebre Cinquina dei finalisti; e chissà che le polemiche non investano anche la fase di mezzo, come successe lo scorso anno quando Matteo Nucci si rifiutò di “fare pubblicità alla Toyota”, sponsor del premio.

Ma le polemiche passano, mutano, a volte si spengono: e forse i concorrenti dovrebbero sapere che lo stesso è destinato a succedere con le ristampe, anche se i libri hanno vinto il più-prestigioso-premio-letterario-italiano. Qualcuno saprebbe indicare il titolo con cui vinse Corrado Alvaro nel ’51? E chi conosce Vincenzo Cardarelli, Giovanni Battista Angioletti o Comisso? Dei primi dieci libri vincitori del Premio Strega se ne trovano disponibili  nelle librerie, nel 2018, soltanto due. Pure I racconti di Moravia, così come sono stati votati dagli Amici della Domenica, sono reperibili solo sulle bancarelle dei mercatini, con la copertina ingiallita, per pochi euro. Mentre un collettivo, il Sabba degli Strega, cerca di riportare in auge i vincitori dimenticati, le polemiche potrebbero iniziare a occuparsi del problema della deperibilità dell’«effetto Strega».

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