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Innovation

In quali tecnologie stanno investendo le aziende italiane e dove pensano di usarle

digitalizzazione e nuove tecnologie
(GettyImages)

Guardando in un’ottica di lungo periodo, ancora quest’oggi non possiamo conoscere esattamente quanto grande e profondo sarà l’impatto della pandemia da Covid-19 sulle nostre vite, su quelle delle imprese e più in generale sull’economia globale. È da mesi che alla parola “crisi” vediamo accostata quella di “opportunità”, ma indipendentemente da come le cose si evolveranno, ciò che sembrerebbe ormai evidente è che quanto accaduto quest’anno dal diffondersi del virus sta rappresentando uno straordinario catalizzatore di cambiamento, e quando siamo costretti a cambiare siamo anche esposti a nuovi problemi e opportunità. La buona notizia è che l’innovazione, o qualsiasi tipo di progresso, spesso non accade senza un drastico cambiamento. Ed in effetti, nell’evoluzione della società umana da sempre osserviamo la presenza di shock, quali pandemie, guerre, pestilenze, recessioni, che in un primo momento hanno effetti devastanti sotto il profilo socio-economico, ma che allo stesso tempo, sia nel breve che nel medio periodo, generano delle risposte e soluzioni molto diverse rispetto a quelle del passato. Oggi più che mai, tanto nelle nostre dinamiche quotidiane che in quelle aziendali e produttive si sente un’enorme esigenza di innovazione. Qualcosa che, a memoria, non ricordo di avere mai percepito così forte. In questi mesi l’industria ha retto in modo resiliente i colpi durissimi del Coronavirus e grazie alla tecnologia e a scrupolosi processi di riorganizzazione aziendale ha sviluppato capacità aggiuntive per rispondere a nuovi bisogni emergenti.

Gli investimenti in tecnologie e gli utilizzi sul fronte dell’attività d’impresa

La recente indagine Excelsior di Unioncamere e Anpal stima infatti che sono oltre un milione le aziende in Italia che stanno accelerando sul fronte della digitalizzazione. Quali sono dunque gli ambiti di investimento su cui le aziende stanno puntando nel loro piano di riorganizzazione e digitalizzazione dei processi? Gli investimenti si muovono su tre verticali: l’adozione di nuove tecnologie, di nuovi modelli organizzativi e nuovi modelli di business. Le parole chiave sono data e cloud, che trasversalmente investono tutti e tre questi ambiti. Tra le tecnologie, fanno registrare un forte balzo in avanti, confrontando gli investimenti stanziati dalle imprese nel periodo pre-Covid-19 (2015-2019) e post-Covid-19 (2020), le soluzioni cloud, big data analytics, mobile e quelle relative alla sicurezza informatica. Tra i modelli di organizzazione aziendale si stanno adottando sistemi di rilevazione e analisi continua dei dati in tempo reale, così come si sta puntando molto su nuovi processi gestionali adatti a favorire l’integrazione dei software tipici dell’industria 4.0 per una conduzione completa della produzione e per una maggiore produttività aziendale. Ed infine, la maggior parte dei nuovi modelli di business che si stanno consolidando in questi mesi e su cui i dati del report Excelsior mostrano una chiara propensione in termini d’investimento da parte delle imprese, mirano ad una maggiore valorizzazione e ad un uso più consapevole dei dati, non soltanto sfruttati per l’analisi dei comportamenti e dei bisogni dei clienti, ma soprattutto: al fine di adoperare nuovi canali e strumenti digitali per la promozione e la vendita, una più avanzata personalizzazione di prodotti e servizi, e una migliore gestione del rapporto con i fornitori. Se questi sono gli ambiti d’investimento chiamati a far fronte all’attuale fase di emergenza sanitaria, l’ultimo rapporto Istat sullo stato di digitalizzazione delle imprese nel periodo precedente al Coronavirus porta alla luce un dato interessante. Sono infatti più di 3 su 4 le imprese italiane che già nella fase pre-Covid-19 investivano in tecnologie digitali. Il rapporto, che si basa sugli investimenti effettuati da un campione di 285.000 imprese nel periodo 2016-2018, si rifà ad una classificazione di ben 11 tecnologie digitali. Cinque di queste di tipo infrastrutturali: soluzioni cloud, connettività in fibra ottica, connettività in mobilità, software gestionali, cyber-security; e sei di tipo applicativo: Internet of Things (IoT), realtà aumentata o virtuale, analisi dei Big Data, automazione avanzata/robotica, simulazione, e stampa 3D.

Digitalizzazione in Italia, un processo a due fasi e due dimensioni

Se nel triennio 2016-2018 il 77,5% delle imprese italiane con almeno 10 addetti investiva già in almeno una delle 11 tecnologie sopra elencate, occorre rilevare che non solo la maggior parte di esse utilizzavano comunque un numero limitato di tecnologie, ma che per la quasi totalità dei casi le aziende iniziano il loro percorso di digitalizzazione investendo in tecnologie di tipo infrastrutturale. L’adozione di quelle applicative, se avverrà, è pianificata in una seconda fase futura.

Il processo di digitalizzazione si divide dunque in almeno due fasi ed il passaggio dall’una all’altra non è scontato. Ad ostacolarlo sono spesso fattori economici, tecnici e organizzativo/culturali.

Un altro elemento di differenziazione che emerge dal rapporto Istat è quello relativo alla dimensione aziendale. Infatti, le imprese italiane sotto i 100 dipendenti risultano essere ai primi passi in questo percorso, ovvero a lavoro per la “costruzione” del loro modello di digitalizzazione, mentre quelle con oltre 100 addetti sarebbero già ad una successiva fase di sperimentazione di nuove soluzioni tecnologiche e organizzative.

Innovazione di sistema o del singolo?

Dicevamo in apertura che in questi mesi sentiamo spesso parlare del Covid-19 anche in termini di grande opportunità. Volendo infatti guardare il bicchiere mezzo pieno non saremmo i primi ad affermare che come è avvenuto nel dopoguerra questa potrebbe essere l’occasione per recuperare terreno sul fronte del progresso tecnologico. Le nuove esigenze stanno infatti spingendo in questa direzione. Dall’industria alla società tutta dobbiamo fare i conti con un ecosistema che necessita un maggiore grado di digitalizzazione.

Ma attenzione, non mi riferisco alla digitalizzazione intesa come la gestione in remoto del nostro team in azienda, ma di quel processo più profondo e radicato che pervade, per rimanere in tema con quanto argomentato sopra, tutti i settori aziendali e si sostanzia per esempio con l’estrazione di valore dai dati raccolti ed elaborati da quei nuovi processi e modelli organizzativi che puntano tanto sul cloud e sul data management.

In questa fase ciò a cui stiamo assistendo confrontandoci giornalmente con diverse realtà industriali e imprenditoriali, da nord a sud, sembrerebbe possa essere interpretato più come un ripensamento, una riorganizzazione del modus operandi del business.

Per una piena digitalizzazione dei processi e dell’intera attività d’impresa è evidente occorre ancora superare gli ostacoli che menzionavo sopra ed investire tanto in tecnologie infrastrutturali che applicative. Operare scelte strategiche e non tattiche.

Ma c’è da essere positivi. Ad essere presente è infatti anche una maggiore consapevolezza rispetto all’esigenza di innovare e nonostante il perdurare dell’incertezza socio-economica, sia dal mondo startup che dall’ecosistema dei grandi player nazionali, si stanno sviluppando progetti strategici che hanno il potenziale di impattare positivamente non soltanto le organizzazioni stesse ma il mercato intero, rendendo le soluzioni proposte (dai prodotti ai servizi) quanto più vicine ai valori e alle nuove esigenze dei consumatori.

Certo, se guardiamo il DESI (l’indice che monitora le prestazioni digitali in Europa) potremmo facilmente affermare di essere un Paese fermo. Ma basta guardare i dati inerenti il grado di maturità digitale del report Istat sopra citato — da cui si evince che soltanto il 3,8% delle aziende italiane potrebbe ritenersi digitalmente matura — per renderci conto degli ampi margini di miglioramento da parte dell’intero sistema d’impresa nazionale.

L’innovazione infatti non si esprime sulla singola azienda ma sul sistema. Un sistema che sembrerebbe stia dimostrando di saper puntare su una rivoluzione tanto tecnologica quanto culturale e che si auspica possa apportare quei cambiamenti strutturali necessari non soltanto per affrontare le sfide di oggi ma quelle dei prossimi tre decenni.

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