Quella notte Enrico Flamini la ricorda bene. Quella in cui vide, da uno schermo televisivo, la goccia di luce attraversare il cielo. Una stella, più che una goccia. Ma artificiale. Apollo 11, la chiamavano. E nell’estate del ’69, quando Flamini aveva 18 anni, permise all’uomo di calpestare per la prima volta un suolo non terrestre. “Fu un momento chiave. Qualche anno dopo, per la mia tesi sperimentale di Fisica a La Sapienza, analizzai proprio i campioni lunari raccolti nelle missioni Apollo”.
Oggi Flamini è chief scientist dell’Agenzia spaziale italiana, l’Asi, e professore di Solar System Exploration all’Università di Chieti-Pescara. Membro di numerosi board internazionali di scienza ed esplorazione e anima della missione Cassini – “che tuffatasi su Saturno lo scorso 15 settembre è fra le più riuscite dal punto di vista scientifico, con risultati che all’inizio, nel 1997, non immaginavamo nemmeno” – è anche nell’International Mars Exploration Working Group. “Considerata Marte una destinazione raggiungibile alla fine degli anni ’30 di questo secolo, e sempre che qualche guerra non si metta di mezzo, la prossima tappa potrebbe essere una stazione circumlunare. Già in fase di studio, riprodurrebbe tutte le difficoltà operativo-logistiche di una base orbitante attorno a un altro corpo celeste”. Una questione prioritaria per tutte le agenzie, perché, “andare nello spazio significa due cose: conoscenza, prima, e sfruttamento delle risorse, poi. Cristoforo Colombo o Marco Polo dovrebbero farci pensare, hanno superato i confini noti e fatto la ricchezza dei luoghi da cui partivano. Più in concreto, ci sono minerali rari basilari per le tecnologie moderne che sugli asteroidi abbondano; Marte ha le risorse di un pianeta intero”.
Il che risponderebbe a chi è convinto che le spedizioni nel cosmo costino troppo. “L’impiego delle tecnologie spaziali è vasto e va dall’ingegneria all’agricoltura. Tolte le missioni esplorative, che oggi hanno una resa inferiore, il ritorno degli investimenti è di uno a sette. L’estrazione di risorse minerarie dagli asteroidi, o delle terre rare sulla Luna, potrebbe addirittura raddoppiarlo portandolo sull’1 a 15. Non solo: una missione come Cassini, costata in tutto 3 miliardi di dollari e realizzata da Nasa, Esa e Asi per esplorare Saturno, fornisce dati di altissimo valore tecnico scientifico per le generazioni a venire. Due esempi: i radar operativi di Cosmo-Skymed si basano su elementi sviluppati per il radar Cassini. Il nostro spettrometro a immagine Vims-V è stato il primo strumento iperspettrale basato su sensori a stato solido. Oggi gli strumenti iperspettrali sono l’avanguardia nell’osservazione della Terra. In altre parole, gli investimenti per Cassini si sono tradotti in un grande vantaggio tecnologico per l’industria nazionale”.
Lo conferma la relazione di esercizio 2016 dell’Aiad, la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza. Con un patrimonio occupazionale di 50mila addetti per 120 imprese, il comparto muove un fatturato annuo di 15,2 miliardi di euro, quasi un punto percentuale del pil.
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