
Contenuto tratto dal numero di dicembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Nelle ore in cui veniva annunciato il protocollo d’intesa per la fusione fra Airbus, Leonardo e Thales, le tre più grandi società europee produttrici di satelliti, sistemi e servizi spaziali, un Falcon 9 decollava per il 138esimo volo, nel 2025, targato SpaceX. È lo stesso numero di missioni condotte dalla compagnia spaziale di Elon Musk in tutto il 2024, superato quest’anno già a ottobre. Giusto tre giorni prima era stato immesso in orbita il satellite Starlink numero diecimila.
Sono cifre che, al momento, l’Europa può solo leggere. Per questo le analisi sulla nascita del campione europeo dello spazio si sono concentrate sulla necessità di contrastare il dominio di SpaceX. Eppure c’è molto altro in ballo. Come ha più volte ribadito l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani: “Il futuro della Difesa sarà la costellazione di satelliti da cielo a terra, e in questo nessuno ce la fa da solo”.
Da questa consapevolezza muove il nuovo soggetto – l’operazione è chiamata ‘Bromo’, vulcano indonesiano molto attivo – che prende la forma di una società indipendente con quote pressoché paritarie: 35% Airbus, 32,5% a testa Leonardo e Thales. Opererà sotto controllo congiunto, con una governance bilanciata fra i tre azionisti. Non si tratta solo di comunicazioni e internet satellitare, anzi; l’intenzione è fornire ai committenti (tipicamente i governi europei, ma potrebbero essere governi extra comunitari o privati) soluzioni end-to-end in tutti i domini applicativi e lungo tutta la catena del valore. Vale a dire: costruzione dei satelliti, gestione in orbita e servizi erogati sui dati prodotti al di là del cielo. Nel caso della Difesa, si tratta di sorveglianza attraverso l’osservazione della Terra, connessione, posizionamento ed eventualmente – ma da qui in poi si ipotizza – sistemi anti missile sull’esempio del Golden Dome, lo scudo satellitare anelato da Donald Trump.
I singoli paesi non dispongono di una massa critica per competere con i colossi statunitensi o con lo sforzo intrapreso dalla Cina, che ha di recente sorpassato l’Europa per investimenti pubblici in ambito spaziale. È la sfida cui il nuovo colosso risponde con 25mila dipendenti e, allo stato attuale dei conti delle tre società, con un fatturato annuo aggregato di circa 6,5 miliardi di euro, prospettive di crescita fino a 10, sinergia di costi fra i 400 e i 600 milioni (stima prudenziale) e un portafoglio ordini che ammonta a più di tre anni di ricavi previsti.
“Leonardo contribuirà con le sue attività nei siti di Nerviano (Milano), Campi Bisenzio (Firenze) e Pomezia (Roma)”, spiega a Forbes Massimo Claudio Comparini, managing director della divisione spazio di Leonardo, “e con le sue quote nelle joint venture Telespazio e Thales Alenia Space, incluse le controllate Altec ed e-Geos. Complessivamente parliamo di circa cinquemila persone in Italia”.
Il progetto Bromo dovrebbe diventare operativo nel 2027, dopo la necessaria approvazione da parte dell’antitrust. È ispirato a un consorzio europeo già operativo e di successo: Mbda, che fabbrica missili, tra i cui azionisti ci sono proprio Leonardo e Airbus. L’accordo arriva nell’anno in cui l’Unione europea ha approvato un piano da 800 miliardi per il riarmo e la Difesa, con vincoli di acquisto congiunti tra i diversi paesi.
Non andrebbe peraltro dimenticato che la grande industria europea dei satelliti geostazionari sta attraversando un periodo complesso. In particolare oltralpe: un anno fa Airbus ha annunciato il taglio di 2.500 posti di lavoro all’unità Defense and space entro il 2026.
Thales Alenia Space (joint venture tra Thales, 67%, e Leonardo, 33%) ha mostrato anche difficoltà nell’affrontare il cambio di paradigma verso i sistemi di connettività in orbita bassa; il lato francese, doveroso precisarlo, perché la parte italiana, a Torino e a Roma, ha collezionato risultati invidiabili, in particolare con i contratti con l’Agenzia spaziale europea, la Nasa e i privati per costruire gli ambienti spaziali del futuro.
“Per quanto riguarda l’intero ecosistema spaziale nazionale”, continua Comparini, “gli ultimi anni hanno registrato un importante sviluppo degli addetti e del fatturato. Il progetto appena annunciato, attraverso la massa critica e le sinergie che potrà sviluppare, è certamente un ulteriore elemento di sviluppo, con tutta la filiera di competenze e tecnologie e lungo l’intera catena del valore”.
È l’industria spaziale tradizionale, specializzata in satelliti di grosse dimensioni per orbite geostazionarie (cioè a 36mila chilometri dalla Terra), ad aver sofferto di più l’avvento delle costellazioni di smallsat. Ancora una volta SpaceX rappresenta l’esempio più eclatante, visto che fornisce anche la versione militare di Starlink al governo americano; la Cina sta lanciando ben tre mega costellazioni per l’internet satellitare. Sono testimonianze del fatto che creare una rete ad alta capacità per connettere flotte, contingenti e ambasciate nel mondo oggi è una priorità. E che l’Europa non può dipendere da altri.
Non che l’orbita bassa dispensi solo connettività. Planet Labs ha creato la più grande rete (privata) di osservazione della Terra: circa 140 satelliti con risoluzione fino a un metro; Iceye conta una ventina di apparati spaziali, che osservano il globo con la tecnologia radar. La Cina ha più di 100 satelliti Chang Guang, capaci di osservare il nostro pianeta con risoluzioni inferiori al metro. Perché posizionarsi più vicini alla superficie terrestre significa osservarla meglio e comunicare con minore latenza. Tuttavia le quote più basse, che coincidono con velocità orbitali maggiori, impongono un numero più alto di satelliti per coprire l’intero globo. Da qui nasce l’esigenza di avere costellazioni per la difesa dei confini e per garantire la copertura del segnale in qualsiasi posto si trovino flotte e contingenti militari.
In questo contesto si innesta l’importante investimento che Leonardo ha varato per lo sviluppo di una costellazione proprietaria di osservazione della Terra con sensori ottici e radar, collegamenti intersatellitari e capacità di calcolo a bordo. È un’architettura avanzata – nessun sistema oggi offre le stesse caratteristiche integrate -, il cui obiettivo è erogare dati e servizi nella prima metà del 2028, a valle del lancio dei primi satelliti a fine 2027.
Lo sviluppo e il dispiegamento di costellazioni implica la compressione di tempi di sviluppo e produzione. Anche in questo contesto l’Italia ha fatto un passo in avanti significativo con le Space factory 4.0. L’ultima in ordine di tempo l’ha inaugurata proprio Leonardo con Thales Alenia Space a Roma. È uno stabilimento interconnesso, capace di assemblare grandi satelliti (come Galileo, Sicral, Sentinel), ma concepito per la produzione delle costellazioni, con isole produttive dedicate e una struttura modulare per la produzione in serie. La sua iniziale capacità produttiva sarà di 100 satelliti ogni anno.
È un cambio di passo rispetto al quale Cingolani ha aggiunto: “L’Italia è ben posizionata e, al di là delle collaborazioni con i francesi, ha i programmi per creare le sue costellazioni; su questo si pensa immediatamente a Musk con le comunicazioni satellitari, ma ci sono anche costellazioni che osservano la Terra per proteggerne le infrastrutture, il territorio e per la sicurezza in senso più ampio. La corsa allo spazio è appena iniziata qualcuno è partito con uno scatto molto veloce, ma c’è da fare una maratona e, se non perdiamo troppo tempo, come Europa riusciremo a recuperare”.
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