Ama l’arte, la letteratura americana ed è insegnante abilitata di yoga, metodo Satyananda. Ma la sua specialità sono le imprese digitali ad alto potenziale e il suo goal l’ha segnato alla fine di un’azione che rappresenta il sogno per chi investe in startup: la exit. Uscire dalla giovane società sulla quale si sono puntate le proprie fiches in un tempo ragionevole e, possibilmente, moltiplicandole per cinque, dieci e anche più come si racconta nella mitologia nordamericana. Paola Bonomo ce l’ha fatta con AdEspresso, venduta ai canadesi di Hootsuite, e per questo è stata eletta business angel 2017 in Italia e, subito dopo, business angel donna d’Europa. Due riconoscimenti che visualizzano gli ingredienti principali della sua carriera: l’innovazione digitale e la rappresentanza di genere. Dopo essere stata manager in McKinsey, eBay, Vodafone e Facebook, adesso si muove tra imprese in fasce e aziende alle prese con la trasformazione digitale, visto che siede nei consigli di amministrazione di società come Piquadro, Axa assicurazioni, Sisal.
“Fare il business angel è un lavoro che non si conclude certo con l’investimento, che di solito è di piccola taglia”, dice. “Si portano competenze, consigli, relazioni a chi sta cominciando un percorso imprenditoriale e non ha ancora le dimensioni interessanti per un investitore istituzionale, per il venture capital”. La prima tentazione è definirla un angelo biondo, come hanno fatto alcuni giornali. Ma se si va oltre l’aspetto mansueto di una riservata signora milanese, si scopre ben altro. Paola Bonomo ha un suo modo garbato di essere decisa e, se è il caso, dura. Soprattutto quando si parla di innovazione e di quote rosa, nelle aziende e non solo.
Il lavoro di business angel comincia nel 2009. “Lavoravo in eBay e vedevo già allora emergere un piccolo ecosistema di startup che nasceva attorno alle piattaforme digitali”. È entrata in Italian Angel for Growth e ha cominciato a fare il suo gioco. Otto anni dopo aveva in portafoglio circa 20 società. Il 2017 è stato l’anno della sua consacrazione. La vendita di AdEspresso non è passata certo inosservata, ma i premi hanno fatto il resto. “AdEspresso nasce dall’intuizione di un piccolo gruppo di italiani, guidati da Max Chieruzzi e Armando Biondi, che mettono a punto un sistema per rendere più semplice e redditizia la pubblicità su Facebook”, racconta. Una soluzione adatta a milioni di piccole e medie imprese, non solo in Italia, che attira l’attenzione del colosso canadese Hootsuite (nome conosciutissimo tra chi si occupa di social, visto che la sua utilizzatissima piattaforma permette di gestire e programmare l’attività di diversi account), che prima stringe un accordo commerciale e poi, a inizio 2017, compra la startup, tre anni dopo il primo investimento della business angel Paola Bonomo.
Un investimento piccolo, come è nella regola dell’investitore informale, e assieme ad altri coinvestitori. Con quale ritorno? Come succede quasi sempre in questi casi una cifra ufficiale di vendita non c’è, ma è certamente superiore a quella (20 milioni di dollari) che rimbalza dalla Silicon Valley, dove si sono trasferiti i founder. Piccolo anche il rendimento? “Non sapremo il vero multiplo finché non avremo ceduto le azioni dell’acquirente, visto che la transazione è stata conclusa, com’è normale in queste operazioni, in parte in contanti e in parte in azioni”, spiega Bonomo. “Ma abbiamo ragioni di ritenerci più che soddisfatti, considerando che il tempo tra il primo investimento e la exit è stato di circa tre anni, davvero breve, soprattutto rispetto alla pazienza che occorre normalmente a chi fa investimenti early stage (in fase iniziale, ndr) in Italia”.
E dopo AdEspresso? Ci sono le altre creature da far crescere (da Drexcode, piattaforma per il noleggio di abiti da sera, a Simba, una soluzione che permette una presenza digitale solo con lo smartphone a chi opera in zone del mondo difficili) ma ci sono anche le grandi aziende da trasformare. Paola, che è entrata nella lista Inspiring Fifty delle 50 donne più influenti nella tecnologia in Europa, sta prendendo a cuore il lavoro di non-executive director, consigliere indipendente nel board con competenze digitali. “Un digital director serve ormai in tutti i board”. Che cosa fa? “Di recente ho tenuto una sessione educativa sul tema Disruptive Technologies nell’ambito di un meeting con gli altri membri di un cda di cui faccio parte e con il comitato esecutivo dell’azienda: è importante avere un linguaggio comune con cui lavorare intorno ai trend in cui siamo immersi”, spiega. “Ma l’esperienza del cambiamento tecnologico in corso serve nei vari momenti dell’attività di board: per fare qualche altro esempio, ho partecipato alle interviste a candidati per posizioni manageriali digital in azienda; ho suggerito una modifica a un percorso di acquisizione clienti che si è rivelata decisiva per il tasso di conversione; ho chiesto al presidente di un importante gruppo di mettere per la prima volta il tema della cybersecurity nell’agenda del consiglio”.
Bocconiana forgiata a Stanford, Paola Bonomo è convinta che quel che in Italia manca, più che i capitali, sia il capitale umano. E si è fatta un’idea su come rimediare. “Dovremmo trovare il modo per finanziare un piano che valga circa 2 punti percentuali di Pil”, propone. “Da un lato per potenziare i centri di eccellenza nella ricerca universitaria e postuniversitaria, e dall’altra per lanciare un grande programma di public education sulle conoscenze scientifiche e tecnologiche di base di cui ogni cittadino per essere informato correttamente”. La tecnologia non è tutto, neanche per Paola. I suoi viaggi la portano spesso verso l’arte. Artista preferito? Una donna. Anzi la prima artista femminista, Louise Bourgeois, conosciuta per le sculture a forma di ragno. Lo scrittore? David Foster Wallace. E poi c’è il mistero del mondo. “Pratico yoga da molti anni. Lo ritengo la migliore disciplina che abbiamo a disposizione per calmare la mente e collocare il sé nell’ordine universale delle cose”. Anche quando tutto sembra cambiare rapidamente.
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