Articolo apparso sul numero di giugno 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
Zhao torna a casa infuriato: al lavoro gli hanno tolto un’ora di paga perché, pur restando attento davanti allo schermo, il caschetto obbligatorio ha rivelato che per qualche minuto ha avuto pensieri tremendi contro un collega antipatico e lavativo. Ma deve subito calmarsi, perché trova il piccolo Shaoran in lacrime: a scuola la maestra lo ha punito perché si è distratto durante la lezione di storia della rivoluzione, nonostante lui fosse rimasto immobile. Ma i sensori lo hanno tradito.
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Non è la scena di un film di fantascienza distopico, di quelli che raccontano un futuro oscuro, dove la tecnologia porta a situazioni sociali negative. Succede già in Cina (abbiamo solo sceneggiato la situazione) e potrebbe accadere presto in altre parti del mondo per effetto dell’inarrestabile corsa delle neurotecnologie che lavorano sul cervello, per comprenderlo, monitorarlo e controllarlo, nel bene e nel male.
Stiamo andando verso un cervello digitale capace di dialogare con le macchine senza la mediazione delle mani, ad esempio, e soprattutto di produrre e trasmettere enormi quantità di dati sui nostri pensieri e sui nostri comportamenti per effetto combinato di discipline come neuroscienze, ingegneria biomedica, informatica ed etica (non è un caso se resta per ultima) potenziate dall’intelligenza artificiale.
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Il caso Neuralink
Hangzhou è una città di 11 milioni di abitanti della Cina orientale, famosa per il lago e le piantagioni di tè che la circondano. Ma è anche un centro economico ad alta tecnologia: qui è nata Alibaba e ha sede la casa automobilistica Geely. Ed è qui che, alla Zhongheng Electric, azienda hi-tech (produce, ad esempio, sistemi di ricarica per le auto elettriche), i lavoratori indossano un caschetto con sensori wireless che monitora le loro onde cerebrali, li trasforma in dati e li comunica a computer che, con l’intelligenza artificiale, individuano picchi emotivi legati ad ansia, depressione o rabbia. In alcune scuole della Cina, poi, dispositivi simili vengono già usati per tenere sotto controllo il livello di attenzione e concentrazione degli studenti.
Le neurotecnologie hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni. Sono state create interfacce cervello-computer (in gergo bci) che permettono una comunicazione diretta tra i nostri neuroni e un dispositivo esterno; tecnologie di imaging cerebrale avanzato, che offrono una migliore comprensione del cervello: la stimolazione cerebrale profonda (dbs), che prevede l’impianto di elettrodi nel cervello per modulare l’attività elettrica.
Quasi sempre si comincia per aiutare persone con disturbi cerebrali o con disabilità, ma una volta che le soluzioni vengono perfezionate, le applicazioni extrasanitarie diventano inquietanti. Del resto che cosa ha detto Elon Musk? “Immagina se Stephen Hawking potesse comunicare più velocemente di un dattilografo o di un banditore. Questo è l’obiettivo”. La sua Neuralink in gennaio ha impiantato il primo Telepathy (il chip si chiama così) su Noland Arbaugh, un 30enne rimasto paralizzato dalle spalle in giù dopo un incidente subacqueo, per permettergli di muovere un cursore solo con il pensiero. Non tutto è andato come previsto, ma il caso ha riportato l’attenzione su sperimentazioni che non arrivano da lontano e su un mercato destinato a esplodere.
Quanto vale l’industria delle neuroscienze
Nel 2023 l’industria globale delle neuroscienze è stata valutata circa 33 miliardi di dollari e si prevede che quest’anno supererà i 35 miliardi, per avvicinarsi ai 50 nel 2028. Perché non c’è solo la Neuralink di Elon Musk. Vanno tenute d’occhio Kernel, Blackrock Neurotech, Neurabl, Synchron. E poi ci sono decine di startup che stanno lavorando sul nostro cervello. Tra queste Ctrl-labs, acquisita da Meta/Facebook a fine 2019. “Un giorno le persone saranno in grado di condividere esperienze sensoriali ed emotive complete online, non solo foto e video”, ha detto nel 2015 Mark Zuckerberg. E quel giorno è sempre più vicino, fra speranze e paure.
I disturbi neurologici sono la principale causa di malattia e disabilità a livello globale, con un impatto enorme nelle aree più povere del mondo. Il potenziale della neurotecnologia per aiutare a curare queste malattie è fonte di grande speranza, ma non c’è solo questa dimensione medica. In positivo, per le persone con disabilità si avvicina la possibilità di interagire con le macchine e comunicare con maggiore semplicità.
Per tutti si prospetta un cambiamento della relazione uomo-macchina, con potenziali pericoli per la privacy, ma anche per la libertà di pensiero. In commercio sono già disponibili fasce per la testa e auricolari che aiutano gli utenti a tenere traccia di parametri come i modelli di sonno. Questi dispositivi raccolgono anche dati neurali, che potrebbero consentire alle aziende o ai governi di costruire profili dettagliati degli individui, per controllarci politicamente o per condizionarci negli acquisti-
Rischi e opportunità
Come evitare l’uso improprio delle informazioni e la manipolazione degli individui possibili grazie alle tecnologie neurali? Senza tenere conto dei rischi di hacking del cervello, di alterazione del suo funzionamento per condizionare le scelte e i comportamenti, sia quando andiamo a votare, sia quando facciamo la spesa. Scenari agghiaccianti, secondo i più pessimisti, difficilmente affrontabili da un singolo governo. Infatti hanno cominciato a muoversi grandi organizzazioni internazionali come l’Ocse, che ha raccomandato a governi e innovatori di non dimenticare la dimensione etica, senza frenare l’innovazione.
Il direttore generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, ha nominato 24 esperti di tutto il mondo per sviluppare un primo quadro normativo globale sull’etica delle neurotecnologie. Si sono incontrati per la prima volta a Parigi a fine aprile e l’Unesco conta di avviare entro il 2025 un confronto sull’adozione dei principi fra i 194 stati membri. Intanto la ricerca e il business procedono, molto più velocemente. Prevarrà l’esperienza di Zhao e Shaoran (due nomi di fantasia) o quella di Noland (una persona reale)? Conoscere e capire meglio il funzionamento del cervello, renderlo sempre più potente e digitale servirà a farci vivere meglio o a condizionare le nostre vite?
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