“La mia casa è a Londra ma l’Italia mi manca molto e se potessi tornerei domani, a Roma. Spero di poterci presto trascorrere più tempo”. Riccardo Zacconi è in una di quelle fasi della vita in cui puoi permetterti di pensare diversamente al futuro. A 50 anni, compiuti a maggio, dopo aver venduto per 5,9 miliardi di dollari la King Digital Entertainment e le sue Candy Crush, sta pensando che cosa poter restituire: ai nuovi imprenditori, ai bambini che patiscono malattie rare e alla sua Italia che fa fatica a crescere come potrebbe. La voglia di giving back si manifesta frequentemente in chi fa fortuna, soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone (dove del resto capita più spesso di fare fortuna).
C’è qualcosa di dolce nella fortuna di Riccardo Zacconi. Le caramelle colorate sono le protagoniste della Candy Crush Saga, il videogioco che ha reso ricchi lui e i sui soci con la vendita ad Activision Blizzard, uno dei più celebri e giocati rompicapo nella storia dell’intrattenimento digitale. È persino riuscito a ottenere il brevetto sulla parola candy, Zacconi. Non solo: come si chiama il fondo di venture capital che, tra le altre cose, lo impegna adesso? Sweet Capital.
Zacconi, romano, divorziato con un figlio, è un ex ragazzo della New Economy di fine Novecento. Esordio nella consulenza, poi l’impegno imprenditoriale in quelli che allora erano i terreni più frequentati, i portali e i siti di dating. Esperienze in Germania, poi si trasferisce a Londra per fare il venture capitalist e lì intercetta il mercato crescente dei videogiochi. Certo, come quasi tutti quelli della sua generazione, ha nostalgia di Space Invaders e Asteroid ma non è lui, laureato in Economia alla Luiss, il vero giocatore del team della King Entertainment. Il creativo è il partner Sebastian Knutssan, dal cui studio di Stoccolma sono venute fuori le Candy Crush, le famose caramelle digitali che hanno portato Zacconi a sedersi a tavola con il fondatore del social network Mark Zuckerberg, visto che sono state tra le distrazioni più popolari su Facebook.
Una bella storia di successo di un italiano cittadino del mondo, quella di Zacconi. Se gli domandi quale sia il migliore risultato che si possa conseguire, ti risponde dalla Cina: “Avere un bel team”. E se insisti chiedendo che cosa serve per creare un’azienda di valore aggiunge: “Prevedere il fallimento come parte del modello”. Evidentemente lui lo ha fatto. “Nel marzo del 2000 ho perso decine di milioni e nel 2003 King si trovava a due ore dalla bancarotta”, ha rivelato al Corriere della Sera. Non è accaduto e l’impresa è cresciuta bene, grazie all’intuizione di andare sugli smartphone con un’app e poi sui social, un momento prima che esplodesse il mercato con iPhone e Android. Poi un percorso da manuale: nel 2014 la quotazione a Wall Street (con Zacconi che si ritrova con un valore di circa 700 milioni di dollari secondo alcune stime della stampa inglese). Nel novembre 2015 la vendita. E adesso? Che cosa si fa dopo aver fatto tanti soldi? “Lavoro sempre in King (è rimasto ceo, ndr) per continuare a creare giochi che facciano divertire centinaia di milioni di persone sorprendendole ogni giorno con delle novità inaspettate”, risponde.
E poi c’è Sweet Capital, il fondo di venture capital. “Circa 20 investimenti a oggi. Focus principale sono le mobile app per il mercato consumer, per esempio Hooked che ha reinventato il modo di leggere libri gialli in formato messenger”, racconta Zacconi nel ruolo dell’investitore di capitale di rischio. “Caratteristica fondamentale è che le idee siano veramente innovative a livello internazionale e che il team sia molto bravo non solo nella strategia ma anche nella esecuzione del prodotto e nel marketing. Noi abbiamo molta esperienza nel far crescere prodotti nuovi e innovativi a livello mondiale e possiamo quindi aiutare le società in cui investiamo”. Nessun investimento in Italia? “Non abbiamo ancora investito in società italiane ma spero di poterlo fare presto”, risponde diplomaticamente Zacconi, che aggiunge: “A mio avviso abbiamo un potenziale enorme non utilizzato e vorrei nei prossimi 15 anni che ci siano più società tecnologiche italiane leader a livello mondiale”.
Intanto, con Luca Ascani, altro expatriat digitale fondatore di Populis, in settembre ha portato in Italia il Founders Forum, network di creatori di imprese innovative di successo: a Roma John Elkan (presidente Fca) e Alberto Nagel (amministratore delegato Mediobanca) si sono ritrovati con Evan Spiegel, fondatore di Snapchat (servizio per inviare messaggi che si autoeliminano), e Xavier Niel, l’imprenditore francese che ha portato scompiglio nel mondo delle telecomunicazioni con il lancio di Eliad e poi della low cost mobile Free.
Niel è anche promotore di Ecole42, un’esperienza che Zacconi vuole replicare in Italia. Perché? Che cos’ha di particolare? “Per competere nel settore tech a livello mondiale ci vuole una preparazione di avanguardia”, spiega. “La Ecole42 è una scuola completamente gratuita per imparare a programmare a livello molto elevato. La cosa più interessante è che l’unica condizione per essere ammessi è di passare un test di logica molto difficile. Non serve nessuna laurea né preparazione di alcun tipo e chiunque tra i 18-30 anni è ammesso a partecipare. Sto lavorando per portarla in Italia con una struttura a scopo non di lucro”. È chiaro che sull’Italia Zacconi vuole investire, anche se ancora non si scopre più di tanto. “La prima edizione del Founders Forum ha avuto un ottimo riscontro, sia tra gli italiani sia tra gli imprenditori e investitori esteri. Questo è solo l’inizio. Con Luca Ascani stiamo lavorando a un piano più ampio per sviluppare il tech in Italia, ma è troppo presto per parlarne”.
È molto probabile che nei prossimi anni sentiremo ancora parlare di Zacconi, visti i suoi principi: “Se uno non molla, prima o poi, riesce a realizzare i suoi sogni”. Ma i sogni spesso costano. “Il denaro è uno strumento e non un fine per sé”, dice lui che ne ha visto tanto. “La cosa più importante per me è lasciare il mondo un po’ meglio di come l’ho trovato”. L’affermazione suona meno retorica quando si va a scoprire un altro fronte su cui è impegnato Zacconi: PTEN Research Foundation. PTEN è un gene la cui mutazione aumenta il rischio di tumore soprattutto nei bambini. “Ho messo su una fondazione no profit in cui investo in ricerca medica per aiutare bambini con malattie genetiche rare”. I giochi a volte possono anche fare molto bene.
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