“La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, con il nostro modo di vivere, con cosa sta accadendo”. Lo diceva una che di moda ne ha fatta tanta: Coco Chanel. E lo ribadisce, oggi, la mostra Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971 – 2001 in scena a Palazzo Reale di Milano fino al 6 maggio 2018. Inaugurata durante la Fashion Week milanese per celebrare i sessant’anni della Camera Nazionale della Moda, si rivolge a un pubblico ben più ampio di quello delle passerelle, spingendo la riflessione oltre il classico omaggio alla creatività italiana. L’intento è quello di raccontare le massime espressioni dell’industria della moda, contestualizzandole con le trasformazioni socio-politiche avvenute negli ultimi trent’anni del Novecento. Il percorso espositivo parte nel 1971, quando la nascita del del prêt-à-porter coincide con lo scoppio del movimento di liberazione della donna, e termina nel 2001, con il passaggio fra i due secoli che segna l’irrompere della globalizzazione nel settore della moda. Ma non è soltanto di moda e società che si parla: l’esposizione tratta anche delle connessioni tra sartorialità e arte contemporanea, tra fotografia, design ed editoria. La moda viene intesa come spugna che tutto assorbe e rielabora, e come specchio dell’evoluzione della storia recente italiana.
Curata da Maria Luisa Frisa, direttrice del corso di Design della Moda e Arti multimediali all’Università Iuav di Venezia, e Stefano Tonchi, direttore della rivista americana W Magazine, la mostra analizza le caratteristiche distintive della moda italiana attraverso un percorso sviluppato su nove stanze. C’è l’approccio democratico innanzitutto, con quella filosofia del “vestire bene alla portata di tutti” che ha fatto la fortuna di capi diventati storici (come il cappotto 10801 di Max Mara) oppure la “logomania” degli anni ’70, con cui marchi come Fendi, Gucci, Ferragamo e Pucci hanno voluto rendersi riconoscibili nel mondo; o ancora, le commistioni con l’architettura esplicitate dal dressing design del collettivo radicale Archizoom Associati e dalla maglieria di ricerca di Missoni e Krizia. In una stanza, due abiti di Krizia e Cinzia Ruggeri sono allestiti insieme allo specchio Ultrafragola di Ettore Sottsass e alla poltrona Dalilatre di Gaetano Pesce, in un omaggio al celebre servizio della rivista Domus pubblicato nel 1983.
Un sistema complesso, quello della moda italiana, che ha sempre vissuto di intese con l’alto artigianato e con il progetto, con l’arte contemporanea e con la fotografia. A raccontarlo sono giornali, video e manifesti (come quello, epico, del motto “Vestirsi è semplice” di Archizoom e Associati). Gli abiti in esposizione si alternano alle fotografie – meravigliose quelle di Paolo Roversi e di Aldo Fallai per Vogue – alle vetrinette in stile Wunderkammer, ai libri e alle riviste d’epoca. Ma anche alle opere d’arte, come quelle di Michelangelo Pistoletto, Francesco Vezzoli, Luigi Ontani e Maurizio Cattelan. E in un contesto in cui l’intreccio tra arte, moda e design rappresentava una fonte inesauribile di ispirazione, emergono le storie dei maggiori interpreti della sartorialità italiana come Gianni Versace, con l’esposizione di alcuni capi realizzati negli anni ’70 per il marchio Callaghan, oppure di Giorgio Armani, con i primi tailleur con cui lo stilista ridefiniva l’immagine della donna negli anni ’80. Ma anche di Roberto Cavalli, con le visioni esotiche dei suoi abiti e di Dolce&Gabbana e Moschino, con quella filosofia glocal che ha saputo giocare con gli stereotipi dell’italianità. Le loro creazioni compongono un ritratto di trent’anni di moda italiana che rivela le trasformazioni del nostro modo di vestire ma anche del nostro modo di vivere e pensare. Proprio come diceva mademoiselle Coco.
La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano in collaborazione con Palazzo Reale e Camera Nazionale della Moda Italiana, con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e ICE Agenzia.
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