Michele Rech, alias Zerocalcare, alias uno dei casi editoriali degli ultimi anni che non sembra conoscere flessione, in grado a ogni manifestazione – l’ultima è il Salone del Libro di Torino, appena concluso – di scatenare file e file di lettori appassionati che attendono ore pur di farsi fare una dedica (e che difficilmente tornano a casa delusi).
In questi giorni Zerocalcare sta presentando Macerie Prime – Sei mesi dopo, la seconda parte del suo ultimo fumetto, che racconta un momento particolarmente difficile del suo gruppo di amici più intimi. Una situazione complessa, fatta di figli in arrivo o che non arrivano, lavoro che latita, crescita personale, solitudine ed egoismi.
Un racconto che senza dubbio fotografa la vita di una parte dell’Italia: quella precaria, ormai non più giovane, che sta cercando di costruire sulle macerie del passato un mondo nuovo in cui si naviga a vista, e l’unica certezza è il bisogno di poter contare su chi ti vuole bene quando gli altri aspetti della tua vita sembrano crollare. Ovviamente, il tutto è infarcito di quell’ironia nostalgica diventata la cifra stilistica di Zerocalcare. Un continuo rimando alle icone pop di una generazione, che stavolta però fa sorridere in modo amaro.
Abbiamo incontrato Michele a Milano, durante uno dei suoi tanti eventi di presentazione, strappandolo per pochi minuti alla fila di giovani, giovanissimi e prossimi quarantenni che attendono pazientemente di farsi fare una dedica sul suo libro.
Sai, vero, che questa intervista va su Forbes? Quindi gente di classe, startupper e persone che parlano di soldi? Penso sia giusto chiederti cosa ne pensi dei Bitcoin, per rompere il ghiaccio.
Non ho idea di cosa siano, ma c’è un mio amico di un centro sociale torinese che da cinque anni mi continua a ripetere che dovrei investire tutto ciò che guadagno in Bitcoin, perché è il futuro.
E ovviamente ti chiedo consigli di amministrazione finanziaria che risultino validi per la tua generazione: qualcosa ce l’avrai da parte, no?
Certo, non spendo niente, non viaggio, non cambio la macchina, non compro vestiti, non bevo, non fumo, non mi drogo, quindi non spendo quasi niente. Non investo e ho messo da parte i soldi per il giorno in cui smetterò, ci pagherò anche l’anca in titanio dei miei amici quando saranno vecchi.
Scherzi a parte, mi pare che in questo libro tu voglia smontare due mitologie: la nostalgia e (anche, un po’) te stesso.
Assolutamente sì, sono due cose che mi sono rimaste appiccicate nel corso degli anni. La questione del “fumettista poverino” che fa i disegni tutto il tempo, ecco, cerco sempre di smitizzarla. Tutta quest’aura che ci sta intorno è abbastanza ridicola: è un tema che ho voluto spiegare nel libro, sperando che si capisca una volta per tutte che non sono un eroe se disegno otto o più ore per le persone che hanno comprato il libro. Anche la questione della nostalgia va un po’ smontata. Io sono una persona super nostalgica, c’ho costruito buona parte del mio lavoro, ma è una nostalgia emotiva, non razionale. Io non penso che abbiamo molto da rimpiangere del passato e non penso nemmeno che questa nostalgia sia qualcosa di sano, anche se ne sono affetto.
Anche perché ora la tua – la mia – generazione sta invecchiando e sta per saltare le barricate della mezza età. Non ti pare che stiamo anche iniziando a fare gli stessi discorsi dei nostri genitori?
Passo le giornate a leggere di gente che si lamente della musica dei merda dei giovani, dei gusti dei giovani, della trap. Io penso di essere la persona più lontana del mondo dalla trap, ascolto il punk hardcore, ma a te commentatore di Facebook che cavolo te ne frega se un pischello di oggi vuole ascoltarla. Perché senti di dover fare questa jihad del buongusto?
Cosa vedi oggi, in cima a quello che hai costruito sulle macerie di ciò che c’era prima? Sei soddisfatto?
Credo che la felicità dipenda da fattori oggettivi, ma anche da qualcosa di interiore. Io non mi considero caratterialmente una persona felice, però mi rendo conto che molte persone nella mia stessa condizione sarebbero molto più felici di me. Mi sento senza dubbio riuscito dal punto di vista del lavoro, ma un discreto fallimento umano ed emotivo.
Forse anche per colpa del lavoro?
Sì, uso questo come alibi.
C’è qualcuno che ogni tanto si ritrova nei tuoi fumetti e viene a chiederti “ma parlavi di me?”?
Per Macerie Prime è stato un lavoro consapevole. Prima di iniziare a scrivere sono andato dai miei amici che hanno ispirato i personaggi e gli ho spiegato che avrei fatto un libro sui fallimenti e le sfighe che gli erano capitati, prendendo appunti. Nessuno, quindi, si è stupito particolarmente quando è uscito il primo capitolo.
Alla fine del libro ci si chiede cosa perdiamo imparando a campare. Tu cos’hai perso?
Non ho imparato a campare molto bene, onestamente! Però ho perso tutta la parte più bella dell’ingenuità nei rapporti. Sono diventato una persona più arida e più diffidente.
Ma la morale del fumetto è che l’unico modo per campare oggi è cercare di non farlo da soli, e questo lo dici anche se sei diffidente.
Questa è una cosa che a cui pensavo mentre scrivevo il fumetto, ma sono stati proprio questi sei mesi di pausa tra un volume e l’altro a confermarmelo, perché mi è successa una cosa che incarna perfettamente la morale finale. Nel momento in cui ho avuto bisogno ci sono state persone che sono state presenti e si sono prese cura di me: penso che se non ci fossero state, in quei momenti probabilmente sarei crollato del tutto. E io a mia volta vorrei ricambiare, vorrei potere essere un appoggio per le persone a cui voglio bene, quando ce ne sarà bisogno.
Il film de La profezia dell’armadillo si avvicina, come ti senti a essere ufficialmente entrato nel mondo dei cinecomic?
Ho il terrore di questa cosa. Perché il cinema è qualcosa su cui non hai un controllo. è un lavoro collettivo e io sono solo uno degli sceneggiatori. Non è una cosa mia, c’è molto poco di mio. Lo attendo come uno spettatore qualunque, ma ho un’ansia pazzesca perché per il pubblico sarà una cosa mia. E questo mi mette in difficoltà, perché io vorrei rispondere solo delle cose di cui ho il pieno controllo.
Continuano a definirti un autore generazionale – ammetto di averlo fatto anche io, perché mi ritrovo in ciò che racconti – ma tu lo pensi? Alla fine il modo migliore per parlare dell’universale è parlare del personale.
Non ho la pretesa di parlare per una generazione, Io parlo a nome mio e racconto ciò che mi sta vicino. Poi se il nostro spaccato sia rappresentativo di una generazione non lo so. Penso che ci sia tanta gente che ci si può ritrovare, ma anche tanti che invece fanno vite completamente diverse. Certo che, se sei un mio lettore, evidentemente certe cose le senti un po’ tue.
In una intervista recente hai detto che vivi con l’ansia di non piacere più, però non mi sembri uno disposto a cambiare per inseguire pubblici diversi.
Questo è il problema dei virgolettati: io non ho paura di non piacere più; io vivo nell’incertezza che un giorno le cose che produco non piacciano più, e questo vorrebbe dire trovarsi un lavoro. Poi se vogliamo farla sembrare una dichiarazione sulla paura di essere dimenticato e di non essere più apprezzato ok, ma il mio problema è molto più pratico e concreto. Non è una questione di approvazione.
Cosa è per te quel lupo gigante che vediamo dentro Macerie prime, quel grande nemico, cosa simboleggia?
Vuol’essere quella valanga che a tutti prima o poi capita addosso, quando tutti gli aspetti della tua vita non funzionano. Perché quando hai una cosa che non va male puoi trovare rifugio nelle altre, ma quando va tutto male esce dal buio questo mostro, questo lupo gigantesco.
Come ti sentiresti se Salvini o Di Maio leggessero il tuo fumetto?
Mi farebbe orrore, però è successo con Adinolfi e con le Sentinelle in piedi. Mia madre mi disse che dovevo rispondergli altrimenti non ero più suo figlio, io però mi sono fatto l’idea che le contraddizioni sono un problema di chi mi tira in mezzo. Io sono trasparente sulla mia visione politica, quindi se tu decidi di voler pubblicizzare le mie cose è un problema tuo, non me ne posso far carico io.
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