Uno degli autori più fondamentali del Ventesimo secolo (il più fondamentale, per quanto riguarda la letteratura americana) è appena morto in un ospedale di Manhattan: Philip Roth aveva 85 anni e, oltre che uno strepitoso narratore dell’America contemporanea, era anche un serbatoio di storie. Una, ad esempio, non è stata forse sufficientemente ripresa e sottolineata dai media italiani: nel 2012 Roth è un uomo già anziano, stanco, un’icona americana che di lì a qualche settimana avrebbe annunciato al mondo di aver deciso di smettere con la scrittura, ormai incapace di chiamare a raccolta le “forze fisiche necessarie a sostenere un attacco creativo”. L’autore decide di affidare alle prestigiose colonne del New Yorker una lettera aperta agli amministratori di Wikipedia, colpevole di aver respinto una sua richiesta di modifica alla voce di un suo stesso romanzo, La macchia umana:
La voce contiene un’affermazione profondamente sbagliata di cui vorrei richiedere la rimozione. Questa voce è finita su Wikipedia non attraverso il mondo reale, ma per le chiacchiere del gossip letterario: non c’è alcuna verità in essa. Eppure, quando tramite un interlocutore ufficiale ho richiesto a Wikipedia di cancellare questa affermazione, insieme ad altre due, al mio intermediario è stato detto (a farlo è stato “l’amministratore della Wikipedia in lingua inglese” in una lettera datata 25 agosto) che io, Roth, non ero una fonte credibile.
“Secondo quanto si dice”, riportava la voce che aveva causato le ire di Roth nel 2012, il romanzo della sua cosiddetta “trilogia americana” si sarebbe ispirato alla vita del grande scrittore e critico del New York Times Anatole Broyard, cantore del Greenwich Village newyorkese: “Questa informazione presunta non è per nulla comprovata dai fatti”, si lamentava allora Roth, spiegando di aver conosciuto Broyard soltanto dopo aver iniziato a scrivere La macchia umana, alla fine degli anni ’90. Broyard – come Coleman Silk, protagonista del romanzo rothiano – era di origini creole ma scelse di passare per bianco, come molti nel corso della storia americana, per non soffrire delle conseguenze della segregazione razziale. Ma Roth spiegò che si era invece riferito alla vita di un suo amico insegnante di Sociologia a Princeton per trent’anni, Mel Tumin.
La difesa a spada tratta di Roth della vera origine del materiale del suo libro comunica qualcosa, in una fase storica in cui “fake news” è diventata la parola dell’anno 2017 del Collins Dictionary. In tempi di bot che seminano menzogne online per influenzare i risultati delle elezioni su mandato straniero, quello di Philip Roth è più di un eccesso di puntiglio da auteur insofferente al literary gossip: la sua lezione è, in senso lato, quella che ammonisce a non dare per scontata l’autorevolezza delle fonti (d’altronde, si potrebbe scherzare, lui stesso non era abbastanza autorevole) e a cercare sempre la verità “definitiva”, quella che chiarisce definitivamente dove è il vero e dove il falso.
Giusto ieri Elon Musk ha pubblicato uno dei suoi tweet sibillini: “Creerò un sito dove il pubblico può valutare la verità intrinseca di ogni articolo e tenere traccia del punteggio di credibilità di ogni giornalista, editore e pubblicazione nel tempo. Pensavo di chiamarlo Pravda…”, ha condiviso coi suoi 22 milioni di follower (dimenticandosi forse che qualcosa del genere esiste già: WikiTribune, dello stesso Jimmy Wales di Wikipedia, ad esempio). Musk, come spesso gli capita, pare fare sul serio: abbiamo bisogno di un organo che controlla l’autorevolezza delle notizie? Ma se lui controlla le notizie, chi controllerà lui? L’obiezione è la solita, e ha a che fare con la natura stessa dell’informazione online, un processo costituzionalmente frammentario ed esposto non solo a fake news, ma anche a malintesi e scivoloni. D’altronde, anche nel caso di Roth si poteva riflettere sulla natura stessa di Wikipedia: Luca Martinelli, admin di Wikipedia in italiano, ha dedicato alla vicenda un lungo approfondimento, che spiega che lo scopo dell’enciclopedia online “non è «ricercare la Verità», ma garantire la verificabilità di quanto viene scritto” (e che, se quanto riportato dalle fonti ufficiali non risponde al vero, non si tratta di “un problema che Wikipedia può risolvere”).
Per una curiosa ma eloquente coincidenza, chi prende in mano La macchia umana oggi, nel giorno della scomparsa del più grande scrittore americano del nostro tempo, si trova davanti a un periodo che recita:
C’è verità e c’è altra verità. Per quanto il mondo sia pieno di persone che se ne vanno in giro convinte di aver capito tutto di te e del tuo vicino di casa, in realtà non c’è limite a ciò che non si conosce. Le verità che ci riguardano sono infinite. Così come le menzogne.
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