Lunedì 18 giugno si è chiuso a Milano il weekend lungo dedicato alle passerelle maschili a seguito della tre giorni di Pitti Uomo, con sfilate che hanno decretato la predominanza dello streetwear sugli abiti formali. Si è trattato di un appuntamento con molti nomi presenti, marchi consolidati come Prada e Dolce & Gabbana e nomi in rapida crescita come Sunnei, senza dimenticare le ottime conferme di Alessandro Sartori per Ermenegildo Zegna e di Alessandro Dell’Acqua con la sua No.21. Mancava Gucci, che da un anno circa presenta insieme la collezione maschile e quella femminile, ma che soprattutto ha animato molte discussioni per la decisione di non sfilare a Milano il prossimo settembre, e di trasferire a Parigi lo show P/E 2019.
“Gucci is saying arrivederci to Milan” ha titolato Vogue US, perché infatti non si tratta di un addio ma di uno spostamento temporaneo: come ha spiegato la stessa maison, la decisione di presentare la collezione il prossimo 24 settembre a Parigi fa parte di una serie di omaggi alla Francia che coprono tutto il 2018. Questi ossequi alla cultura francese comprendono la campagna stampa Gucci dans les Rues dedicata al maggio 1968 (di cui abbiamo già scritto qui), la sfilata della collezione Resort 2019 ad Arles e, appunto, la sfilata nell’ambito della prossima Fashion Week parigina.
Il legame con la Francia della Maison Gucci è molto forte, a partire dall’interesse del direttore creativo Alessandro Michele – che spesso cita i filosofi Deleuze e Guattari nelle note delle sue collezioni – ma soprattutto perché, l’identità creativa e la manifattura sono italiane, ma la casa madre Kering è francese.
La dichiarazione del Ceo Marco Bizzarri ci ricorda infatti che “Gucci è un marchio globale con radici italiane vive e profonde, che fa parte di un gruppo francese, Kering, visionario e all’avanguardia”. Ma poi conclude con “torneremo a Milano a partire dallo show di febbraio 2019”.
Tutto bene, quindi? Sì e no. La Camera Nazionale della Moda (Cnmi), attraverso le parole del presidente Carlo Capasa, da poco riconfermato, si è dimostrata comprensiva sulle motivazioni di quest’occasione speciale, ma ha comunque specificato di “attendere con ansia il ritorno di Gucci ad aprire la Fashion Week a Milano il prossimo febbraio”. E c’è da crederci, per vari motivi.
Questo non è né il primo né l’unico caso di spostamento che arrivi ad animare i calendari delle sfilate, le collezioni cruise di molti marchi del lusso hanno frequenti ambientazioni esotiche, e anche durante le Fashion Week più istituzionali non mancano mai le trasferte: lo ha fatto per esempio Bottega Veneta a febbraio 2018 per l’inaugurazione del proprio negozio a New York. Ma Gucci ha sicuramente un altro peso, è il marchio attualmente più influente, economicamente appare irraggiungibile (Bizzarri ha annunciato a Firenze, all’investor day del 7 giugno, un piano che porterà ai 10 miliardi annui il fatturato) e la sua mancanza all’interno del calendario della Settimana della moda di Milano si farà sentire.
Negli ultimi anni Gucci è stato in pratica lo show inaugurale della kermesse, obbligando, di fatto, stampa e compratori internazionali ad essere presenti in città fin dal primo giorno. Uno dei problemi che Milano aveva subito, fino a pochi anni fa, stava proprio nel trovarsi sempre più schiacciata fra Londra (capitale della moda più innovativa e trasgressiva) e la colossale Parigi, con la sua settimana – lunga ben 8 giorni – piena di appuntamenti irrinunciabili, dal primo all’ultimo (citiamo la sfilata di chiusura tradizionalmente affidata a Louis Vuitton). Mentre Anna Wintour, in modo non molto diplomatico, auspicava per Milano la concentrazione delle sfilate “importanti” nel weekend, gli show di Gucci – spettacolari e discussi, fra i più attesi dell’intero panorama della moda – consentivano di assicurare alla città almeno 5 interi giorni di lavoro.
Le presenze della stampa e dei compratori, innescate dagli appuntamenti con i marchi più celebrati, sono fondamentali anche per la promozione di tutte le griffe meno conosciute e delle nuove leve che in Italia faticano a emergere. In più c’è da considerare la ricaduta sulla città: benché la Settimana della Moda sia vissuta a volte con fastidio dagli abitanti, si inserisce però in un quadro di eventi internazionali di grande successo, come la Design Week, che alimentano gli scambi e un turismo interessante per possibilità di spesa.
Uno dei motivi che ha portato a discutere la scelta di Gucci, oltre alla perdita dell’opening event, sta nella data della sfilata di Parigi: il 24 settembre è stato scelto perché “è il giorno di transizione tra le due settimane della moda”, ma questo implica che la transizione – o meglio, lo spostamento in massa di stampa e buyer – avvenga probabilmente con un giorno di anticipo, accorciando nei fatti, se non sulla carta, il tempo dedicato a Milano.
In un settore sempre più globale come quello della moda il rischio però è quello di chiudersi e alimentare una visione anacronistica di capitali della moda l’una contro l’altra.
Sarebbe quindi inutile cercare di ideare un evento che trattenga gli operatori a Milano fino all’ultimo minuto (e sappiamo già che questo non accadrebbe), si tratta invece di rendere la settimana della moda milanese più attrattiva per creatori e marchi internazionali, come avviene a Parigi già dai primi anni ’80, quando si aprirono le porte agli stilisti giapponesi.
Molti sperano per settembre in un ritorno a casa di Valentino o Miu Miu (da tempo in calendario a Parigi), ma è chiaro che la sfida vera, per la città e per Cnmi, sarà quella di richiamare, in futuro (se non subito a settembre) nuovi e diversi protagonisti: emergenti e maison storiche, creatori in fuga dall’altalenante fashion week di New York o provenienti dalle nuove realtà creative internazionali, o, infine, chiunque desideri una location diversa anche solo una tantum, come è già avvenuto a febbraio scorso con la presentazione evento di Moncler. Il miglior antidoto a una partenza è un nuovo arrivo.
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