Le ICO (Initial Coin Offering) si sono affermate nell’ultimo anno come uno strumento piuttosto efficace per finanziare startup tecnologiche, generalmente legate al mondo del digitale: dal gennaio 2017 al maggio 2018 sono stati raccolti circa 12 miliardi di dollari a fronte dell’emissione di cosiddetti token. Come avviene per una IPO, nella quale l’emittente emette azioni, nella ICO l’offerente emette token.
Come avviene per le azioni, poi, esiste un mercato secondario dei token, che vengono “listati” e possono essere scambiati con un profitto o una perdita rispetto al prezzo di acquisto.
Per effettuare un’analisi del mercato e dei rendimenti è quindi possibile esaminare le condizioni del collocamento e quanto successivamente avvenuto sugli aggregatori, cioè le piattaforme di scambio. La prima analisi accademica completa è stata appena effettuata da un team di ricerca del Boston College e ha avuto a oggetto le 4.003 ICO lanciate negli ultimi 18 mesi e le transazioni avvenute su 15 principali aggregatori mondiali, coprendo sostanzialmente la totalità del mercato.
I risultati sono decisamente sorprendenti e la conclusione più rilevante è che in fase di emissione i token sono fortemente underpriced.
In primo luogo, dall’analisi si evince che solo il 25% dei token emessi arrivano ad essere scambiati sul mercato: il dato dimostra che il 75% dei progetti sono falliti o ancora non sono pronti per il trading. Del 25% scambiato, poi, soltanto il 44,2% sopravvive dopo 120 giorni. Ciononostante, il sentiment rimane positivo: gli investitori sono soddisfatti dai ritorni generati dall’investimento nei token che sopravvivono, il che dimostra già una certa maturità e una strategia di investimento in logica di portafogli.
La media delle raccolte è piuttosto elevata, 11,5ML$, ben al di sopra dei limiti esistenti nel mondo per gli obblighi di redazione del prospetto informativo, con un hard-cap (cioè un tetto massimo) medio di 43ML$. Tuttavia il valore è influenzato da alcune ICO di grande successo e la mediana è ben più bassa cioè 3,8ML$, valore che però triplica per le ICO di maggior successo, i cui token arrivano sul mercato secondario.
La strategia di funding delle società che hanno proposto ICO evolve piuttosto frequentemente: ora si tende ad effettuare un pre-collocamento a prezzi scontati, spesso a sua volta diviso in due fasi (una molto riservata e una più ampia), suddividendo il target di raccolta: mentre nel primo semestre 2017 questo approccio è stato seguito solo nell’1% dei casi, nel secondo semestre la pre-ICO è stata proposta nel 29% dei casi, percentuale salita al 57% nel 2018.
Con il pre-collocamento la durata media della campagna si è quindi allungata ed al momento è di circa 8 mesi complessivi. Tra l’ICO e il listing, poi, il tempo medio è di 31 giorni, mentre il valore mediano è di 16 giorni.
Andando a confrontare la differenza tra il prezzo di sottoscrizione in sede di ICO e il prezzo di prima apertura su una piattaforma di listing, osserviamo un tasso medio di rendimento del +246% (influenzato da alcune ICO di grandissimo successo) e un +21% mediano, che in prima chiusura diventano rispettivamente +273% e +29%.
Ricordiamo che si tratta di un valore riferibile solo a quel 25% circa di ICO che hanno successo e arrivano al listing, e quindi è ben lontano da una prospettiva che possa essere ragionevolmente prevista ed attesa al momento dell’ICO.
L’analisi del Boston College ha calcolato gli extra-rendimenti (average abnormal returns), cioè le differenze registrate dai token rispetto a un portafoglio di confronto: per i token che sopravvivono essi sono elevatissimi e crescenti nel tempo:
- il primo giorno di scambi l’extra-rendimento è in media tra il 14% ed il 16%;
- a trenta giorni dal listing, l’extra-rendimento sale in media di una percentuale tra il 41% e il 67%;
- a 180 giorni poi, i token che resistono esprimono un l’extra-rendimento ancora maggiore: tra il 150% e il 430%.
Questo è uno dei dati più interessanti della ricerca: in sede di ICO, i token sono emessi a un valore considerevolmente più basso di quello poi espresso dal mercato. La ragione sta evidentemente nella mancanza di esperienza degli operatori, dovuta alla particolarità della asset class e alla sua giovanissima storia.
Peraltro, l’uso della pre-ICO consente di effettuare degli aggiustamenti di prezzo durante la fase di precollocamento; infatti le ICO più recenti, che hanno fatto ricorso al pre-collocamento, hanno espresso differenze di pricing meno radicali.
È interessante anche la comparazione dei ritorni medi cumulati acquistando e tenendo in portafoglio token (listati) fino a 250 giorni, rispetto all’investimento in bitcoin effettuato al momento del listing di ogni ICO: l’indice delle ICO presenta una crescita sensibilmente maggiore.
Un problema non indifferente è quello della liquidità, vista la particolare tipologia di asset e la rilevante asimmetria informativa; tuttavia l’analisi evidenzia una liquidità media giornaliera non banale, tra 2,5 e 3ML$.
In sintesi, l’analisi dimostra che:
- i token sono emessi a un prezzo molto più basso del prezzo in seguito raggiunto in sede di negoziazione, riconoscendo ai primi investitori uno sconto significativo;
- vi è un extra-rendimento maggiore dell’82%;
- dopo il listing i prezzi dei token continuano a crescere;
- la liquidità non è alta;
- i progetti falliti non stanno scalfendo la fiducia degli investitori in criptovalute.
Si tratta di dati decisamente incoraggianti, che smentiscono l’approccio di forte scetticismo che caratterizza gli operatori più legati alla finanza tradizionale e che confermano indiscutibilmente i token come asset class di rilievo. Alla luce di questa analisi, peraltro, risulta difficile smentire il Presidente della SEC Jay Clayton, secondo il quale i token sono tutti, fino a prova contraria, delle securities: quando viene chiesto del denaro ed in cambio viene offerto un ritorno finanziario la natura di investimento è innegabile. In quanto tali, è evidente che le autorità finanziarie vogliano regolamentarne l’emissione e il trading.
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