Articolo tratto dal numero di febbraio 2019 di Forbes Italia.
Di Roberto Perrone
Uno svizzero come Sergio Marchionne. Il compianto manager, scomparso nell’estate del 2018, che ha afferrato la Fiat sull’orlo del baratro e l’ha trasformata nel colosso Fca, in realtà era italo-canadese, ma aveva eletto da tempo la Confederazione a suo domicilio. Da qualche anno abitava a Blonay, nel Canton Vaud, lo stesso da dove proviene Mattia Binotto, il nuovo team principal della Ferrari, nato a Losanna il 3 novembre del 1969.
Esiste una strana simmetria, strategica ed esistenziale, che lo lega a Fabio Paratici, nuovo responsabile dell’area tecnica dell’altro gioiello sportivo della famiglia Agnelli, la Juventus. Le due rivoluzioni si somigliano: in bianconero è finita l’era di Beppe Marotta, alla Ferrari quella di Maurizio Arrivabene. A sostituirli due uomini che amano il low profile, idiosincratici alle interviste, di cui esistono virgolettati trascurabili. Entrambi, Binotto anche fuor di metafora, sono stati trascinati dalla sala macchine alla plancia. Paratici, a malincuore, ha già cominciato a parlare. Binotto dovrà cominciare, al suo ruolo compete anche una parte affabulatoria. Dovrà metterci la faccia.
Né Paratici, né Binotto hanno il phisique du role del rampante che sega scrivanie (o buca gomme) al superiore per prenderne il posto. Però, al momento giusto, non hanno avuto paura di farsi avanti. Binotto, oltre a essere un grande lavoratore, è sempre stato pronto ad assumersi le sue responsabilità. E disposto al confronto, aspro all’occorrenza. Quando i rapporti con Maurizio Arrivabene arrivano al capolinea, nella seconda sciagurata parte di stagione ferrarista 2018, malgrado il vuoto lasciato da Marchionne, l’uomo che aveva scommesso su di lui, Binotto pone l’aut aut alla proprietà: “O lui o io”. E vince.
Si chiude così, con l’annuncio ufficiale del 7 gennaio 2019, il cerchio della carriera di Mattia Binotto alla Ferrari. Un passo alla volta, dal 1995, quando entrò al Cavallino, dopo una laurea in ingegneria meccanica al Politecnico di Losanna e il Masters al Dief, Dipartimento di ingegneria Enzo Ferrari dell’Università di Modena. Ingegnere motorista alla squadra prove fino al 2003, nel 2004 passa alla squadra corse. Capo ingegnere corse e montaggio dal 2007, assume poi il ruolo di responsabile operativo del reparto motori e kers nel 2009. Dopo essere stato nominato vice direttore del reparto motori ed elettronica nell’ottobre 2013, Binotto diventa successivamente chief operating officer per la power unit.
Ad alcuni giornalisti tiene anche una sorta di “conferenza colta”, canterebbe il vicino di casa Francesco Guccini, su che cosa sia, questa power unit. Purtroppo non c’eravamo. Il 27 luglio 2016 viene nominato chief technical officer, insomma direttore tecnico della scuderia. È Marchionne a volerlo al posto di James Allison, passato poi alla Mercedes. L’uomo col maglione apprezza il lavoro di Binotto, gli piace la sua dedizione all’azienda e scopre che all’ingegnere svizzero lo lega anche un’idea fondante: nella progressione di una carriera deve prevalere il merito e non le promozioni a tavolino. Il nuovo leader della Ferrari viene dal basso e ora proseguirà in questa sorta di rivoluzione dei garofani ferrarista (il colore è lo stesso) in cui il potere andrà agli ingegneri di seconda fascia. La direzione tracciata da Marchionne. E anche in gara varranno le stesse regole. Sebastian Vettel ha già imparato che il nuovo team principal non fa sconti a chi sbaglia. Il nome o il curriculum non sono un paracadute: sarà la pista a stabilire le gerarchie. Charles Leclerc, che ha rilevato Kimi Raikkonen, sostituzione già programmata da Marchionne, partirà alla pari con il pilota tedesco.
Soprannominato “l’architetto”, più che disegnare motori Binotto è un uomo d’ordine che traccia il disegno complessivo unendo i puntini. In gergo giornalistico, come dicevamo, “non ha mai dato un titolo” e, nel complesso, pur non essendo un musone, è selettivo nelle amicizie e non ama sedersi tra le brigate dei buontemponi. Per domicilio, ad esempio, si è scelto la borgata di Selvapiana, in cima a un piccolo dosso nel comune di Canossa, sull’Appennino Reggiano. Qui vive con la moglie Sabina, nata a pochi chilometri, e i due figli, Marco, che studia all’università, e Chiara, liceale. Un luogo lontano dai clamori e vicino all’essenzialità che ben si sposa con i valori e i gusti di Mattia Binotto: silenzio, sguardo lanciato sull’orizzonte, una cucina solida, di provincia, che il nuovo leader della Ferrari identifica soprattutto nei ravioli, di cui è appassionato e pure esperto, come dei vini bianchi, francesi per lo più, che ha imparato ad apprezzare durante gli studi universitari. Non si sposta neanche tanto per le vacanze, scavalla l’Appennino in direzione Lerici e, quando può, mette il naso in un libro di uno scrittore italiano. Adesso di vacanze e tempo libero ne avrà sempre meno. C’è una Rossa, un po’ stinta, da riportare in alto.
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