I numeri dell’economia americana restano ottimi, e il mercato del lavoro continua a essere caratterizzato dai livelli di disoccupazione (circa il 4 per cento) più bassi dalla crisi finanziaria. Ma circa 13 milioni di americani sono disoccupati da un anno oppure più, lavorano part-time non per loro scelta, oppure hanno rinunciato del tutto a cercare lavoro. Uno dei motivi per cui rientrano in queste categorie è che, per la prima volta nella storia del Paese, sempre più americani stanno smettendo di trasferirsi per lavoro.
Ne parla Axios, che spiega come la causa di questo fenomeno sia duplice: la sempre più forte concentrazione di ricchezza nelle grandi città e la crescente difficoltà dei cittadini più poveri, sempre più emarginati nelle periferie, a spostarsi per lavoratori.
Il paradosso è che in questo momento molte società americane, nonostante la minaccia di una recessione imminente – sono disperatamente alla ricerca di lavoratori. E per questo stanno abbassando sempre di più le qualifiche richieste per l’assunzione. Al punto che si sta parlando di datori di lavoro che risolvono le assunzioni con sbrigativi colloqui telefonici senza nemmeno bisogno di vedere in faccia i candidati, pur di non perdere altro tempo. In altri casi, le barriere che si frappongono tra i disoccupati americani e l’impiego sono di diversa e più drammatica natura: dipendenza da sostanza stupefacenti, precedenti penali importanti, problemi psicologici e di salute, mancanza di qualifiche adeguate, o persino l’impossibilità a pagare comprare i propri attrezzi di lavoro.
Ma una delle ragioni più trascurate del mancato incontro tra lavoro e lavoratori è che spesso molti dei disoccupati non vogliono o non possono andare là dove c’è l’impiego. Una piaga che colpisce soprattutto i lavori peggio pagati: colpiti dalla stagnazione economica, dalla de-industrializzazione e dall’automazione negli Stati rurali, e in fuga verso megalopoli sempre più “imperiali” nel loro eccesso di ricchezze e diseguaglianza. Il risultato, per chi non ha prospettive di crescita professionale, o di aumento della paga, è un costo-opportunità di rinunciare alla disoccupazione sempre più pesante. Chi vive nelle periferie e non ha facile accesso al trasporto pubblico si sente tagliato fuori, e anche quando il lavoro abbonda in un’altra città o in uno Stato limitrofo, gli incentivi a cambiar vita sembrano sempre troppo bassi.
A soffrire di questa situazione sono soprattutto i lavoratori, ma anche chi vuole assumere. Due anni fa l’Urban Institute ha raccolto i dati provenienti da 16 grandi città degli Stati Uniti, divise per codice postale, per studiare le discrepanze tra offerta e domanda di lavoro. Nel 41 per cento dei codici postali dei Boston si rintracciano più offerte che lavoratori residenti ad una “distanza ragionevole” da esse: vale a dire che la maggior parte dei possibili candidati per quel posto vive troppo lontano dal luogo di lavoro – a causa di mezzi di trasporto pubblici insufficienti, o troppo costosi. Stesso problema per il 32 per cento degli zip code di New York, e per il 29 per cento di quelli di San Francisco. “Questo significa che ci sono barriere importanti in atto”, commenta Joseph Kane, capo ricercatore presso Brookings Institution.
È un capovolgimento di prospettive rispetto a mezzo secolo fa, quando col famigerato white flight – la fuga della classe media bianca impaurita dal crimine e dalla diversità culturale – le città americane si svuotarono, riversandosi nella suburbia. Fu in quel periodo che aree come Manhattan o Downtown Los Angeles persero i lavoratori a basso salario e si riempirono di marginali. Oggi invece è tutto il contrario, perché negli ultimi trent’anni le metropoli hanno vissuto una vera e propria rinascita con centinaia di migliaia di posti di lavoro ritornati nei loro cuori pulsanti. I risultati li conosciamo tutti: una gentrificazione brutale e un aumento clamoroso degli affitti.
Il guaio, però, è che questo processo tiene lontani i lavoratori che non possono mantenersi con stipendi adeguati. La situazione dei residenti più poveri – quelli “espulsi” verso le ultime fermate della metropolitane, per intenderci – è particolarmente angosciosa: non godono infatti né delle attrattive o dei divertimenti dei centri storici, né degli spazi e della salubrità delle campagne. E sovente, quando si tratta di spendere un paio d’ore di traffico al giorno per raggiungere un posto di lavoro che non garantisce benefici adeguati, prospettive di carriera o di guadagni crescenti – succede, molto spesso, nel caso di impieghi nella ristorazione o nei servizi – semplicemente non vale la pena.
Ma c’è un’altra categoria di lavori con stipendi bassi che presentano il problema opposto. Colossi come Amazon hanno la tendenza a costruire i magazzini lontano dai centri cittadini, vicino agli aeroporti e snodi autostradali, e comunque lontano dalle principali linee di trasporto urbano. Per chi non possiede un’auto, è un ostacolo non da poco. Per questo motivo, la società di Jeff Bezos ha iniziato a offrire shuttle per trasportare i propri impiegati dalle città fino ai posti di lavoro.
Secondo l’Urban Institute, per ovviare alla “discrepanza spaziale” (spatial discrepancy) tra offerta e domanda di lavoro, bisogna lavorare su tre fronti: per prima cosa rafforzare i percorsi di carriera, ovvero fare in modo che l’occupazione nei lavori non specializzati – a cominciare dai servizi – non venga vissuta come una tappa effimera ma come un’occasione per crescere e trovare stabilità. In secondo luogo, incrementare l’offerta abitativa nei pressi dei luoghi dove si lavora o dei mezzi di trasporto, con affitti agevolati e una politica di case popolari. Infine, ripensare i trasporti pubblici in modo da includere il più possibile le aree disagiate, e offrire tariffe più segmentate a seconda del reddito e dei tempi di percorrenza.
Per ora ci stanno pensando, in alcuni casi, delle aziende illuminate. Ma non dovrebbe pensarci soprattutto lo Stato? Fare in modo che ogni lavoro diventi un lavoro di alta qualità è un’impresa titanica per qualunque governo, specialmente in territori molto vasti. Finché non ci si riesce, però, diventa una priorità fare in modo che gli ostacoli di tipo non-esistenziale tra le persone e il lavoro si riducano il più possibile.
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