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Cultura

Lorenzo Quinn ci spiega com’è nato il simbolo della Biennale

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Building Bridges. PH. Halcyon Art International

Da qualche giorno Venezia ha un nuovo ponte/scultura che seppur giovane e temporaneo ha già riscosso il supporto della gente comune, dei grandi media internazionali e creato un positivo  buzz sui social media. L’artista scultore che lo ha realizzato è Lorenzo Quinn, figlio dell’indimenticabile attore premio Oscar Anthony Quinn. Lorenzo non è nuovo a opere maestose contenenti forti messaggi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in grado di arrivare a tutti grazie loro immediatezza.

Già due anni fa in concomitanza con la Biennale d’Arte di Venezia 2017 aveva realizzato Support, due grosse mani che sostenevano Ca’Sagredo sul Canal Grande per sensibilizzare l’opinione pubblica sui cambiamenti climatici. Adesso con Building Bridges – il nome di questa scultura –  l’artista vuole celebrare i sei valori universali dell’uomo: l’amore, l’amicizia, la saggezza, l’aiuto, la fede e la speranza con sei coppie di mani che compongono un ponte e che complessivamente raccontano come con la cooperazione tra le persone sia possibile ottenere dei grandi traguardi per la collettività.

L’amore viene rappresentato con due mani le cui dita si stringono l’una alle altre, l’amicizia con due mani che si sfiorano, la saggezza con una mano anziana che stringe una più giovane, l’aiuto con due mani che si uniscono; la fede con una mano adulta che stringe quella di un bambino; la speranza con due mani con dita che si intrecciano. L’opera, collocata all’Arsenale di Venezia e che ha dimensioni colossali, 15 metri per 25, nel giro di qualche giorno è diventata, pur essendo esterna al circuito ufficiale, l’opera simbolo della Biennale d’Arte.

Un vero imperdibile must see.

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L’opera “Support” di Lorenzo Quinn

Lorenzo Quinn, nato e cresciuto a Roma è un artista di fama internazionale con all’attivo diverse mostre personali – tra cui quelle alla Halcyon che vanta tre sedi a Londra e una a Shanghai – e tante sculture pubbliche ospitate in alcune delle grandi capitali del mondo tra cui Londra, Mumbai, Shanghai, Barcellona, Hog Kong, Birmigham e Doha.

Noi di Forbes.it abbiamo incontrato Lorenzo Quinn per rivolgergli qualche domanda riguardante la sua nuova scultura.

Come nascono le sue opere?

Prima individuo un tema – che può essere personale oppure di interesse generale –  e cosa voglio trasmettere perché per me è importante che l’arte sia un dialogo con lo spettatore, poi scelgo il titolo e alcuni aggettivi in grado di descrivere l’idea e solo dopo realizzo il primo bozzetto.

Nella sua arte è quindi centrale il bisogno di trasmettere un messaggio, corretto?

Assolutamente si. Credo nella quarta dimensione dell’arte: il messaggio. L’arte è un linguaggio universale e per questo ho preso l’impegno di realizzare opere in grado di essere capite da chiunque. Non voglio assolutamente dire che basta realizzare un’opera per migliorare temi di importanza generale ma credo che l’arte possa servire a migliorare la condizione del mondo.

Come si arriva a Building Bridges?

Sono un artista ma anche un padre e quindi mi interrogo sul mondo che lasceremo ai nostri figli. La prima opera che ho realizzato a Venezia si chiamava “Questo non è un gioco” e raffigurava due mani che bloccano un carro armato. In quel caso volevo sensibilizzare l’opinione pubblica sulla guerra visto che si viveva una epoca di conflitti. Nel 2017 con Support, invece, ho voluto affrontare il tema del cambiamento climatico. Adesso con Building Bridges voglio parlare di umanità e di collaborazione tra le persone come elemento imprescindibile per migliorare il mondo. Penso sia importante farlo perché il concetto di umanità collettiva si sta perdendo. La mia opera è un invito a compiere un’azione.

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This is Not a Game, 2011 Venice Biennale. Lorenzo Quinn

Realizzare un’opera di tali dimensione è cosa complessa, ci racconta le principali fasi?

Ho pensato quest’opera circa 18 mesi fa e dopo i primi rendering l’ho presentata all’Amministrazione comunale, che ringrazio per il supporto che mi ha sempre dato in questi anni. Una volta ottenuto il loro gradimento abbiamo iniziato a lavorare grazie al sostegno economico di Halcyon Gallery di Londra. Cinque mesi fa, quando non avevo ancora l’ok definitivo all’installazione e non sapevo dove sarebbe stata collocata, ho iniziato ugualmente a produrla perché altrimenti non saremmo arrivati in tempo. Qualche settimana fa, con tutte le autorizzazioni in regola, l’abbiamo installata dopo aver fatto alcune modifiche tecniche. E’ stato un grande lavoro di team visto che al progetto hanno lavorato circa 350 persone con diverse professionalità. Sono molto contento della collocazione visto che dall’Arsenale nella storia di Venezia sono partite tante navi che hanno contribuito a creare scambi culturali.

Pensa che Venezia sia ancora una città che recita un ruolo importante nell’arte contemporanea?

Assolutamente si. La Biennale è quella più importante al mondo e Venezia resta sempre un grande palcoscenico. Io sono molto legato a questa città visto che mia mamma era veneziana e mia moglie è nata qui. Per me è la mia seconda città.

Che ne sarà di Building Bridges dopo il periodo della Biennale d’Arte?

Vorrei che questa mia scultura continuasse ad avere una vita. Ho due sogni ma preferisco tenerli per me al momento.

Ha già maturato qualche idea per la Biennale 2021? 

Si, dico soltanto che l’opera non raffigurerà le mani. Voglio fare qualcosa di diverso.

Nella sua arte è importante il messaggio, questo ricorda molto la street art, che idea ha dell’arte di strada?

Mi piace molto la street art e la seguo. Credo sia una forma d’arte necessaria visto che non tutti gli artisti hanno la possibilità di avere l’appoggio per arrivare nelle gallerie. Ci sono opere terribilmente belle in grado di lanciare messaggi molto forti e diretti.

 

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