In scena al Mudec dal 15 maggio al 15 settembre quella che sarà ricordata come una delle principale mostre d’arte dell’anno nel nostro Paese.
Con le sue fotografie, che immortalano l’atto finale delle sue performance, Liu Bolin, artista cinese di fama internazionale, è diventato oggetto del desiderio di molti collezionisti e autore di infinite mostre in tutto il mondo. L’elemento che lo contraddistingue sono i suoi ritratti mimetici in cui, grazie a un accurato body painting, il suo corpo risulta così integrato con l’ambiente circostante da fondersi con esso.
Luoghi emblematici, problematiche sociali e ambientali, identità culturali, bandiere: Liu Bolin fa sua la poetica del nascondersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti – anche i più piccoli – hanno un’anima che li caratterizza.
Le fotografie di Liu Bolin hanno diversi livelli di lettura, che vanno ben oltre l’immediatezza espressiva. Dietro lo scatto fotografico ci sono lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto del caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso che rivela la coscienza critica dell’artista, la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità e la sensibilità per le principali tematiche sociali.
Attraverso le sue opere Liu Bolin cerca di sviscerare le contraddizioni dell’uomo contemporaneo e di indagare nel profondo il rapporto tra la civiltà moderna e l’uomo stesso.
“Dal 2005 al 2007 sono stato principalmente in Cina – racconta l’artista – e il tema centrale delle mie opere è stato lo sviluppo economico cinese”. Poi iniziando a viaggiare “Ho scoperto che in ogni posto ci sono dei problemi e attraverso la mia arte voglio rappresentarli”.
La mostra Visible Invisible raccoglie circa cinquanta opere dell’artista, tra cui un inedito della Pietà Rondanini scattato al Castello Sforzesco di Milano e la fotografia della Sala di Caravaggio – mai esposta prima – realizzata nel 2019 alla Galleria Borghese di Roma, oltre all’immagine scattata al MUDEC tra i reperti della collezione permanente del museo.
Le opere sono state organizzate dalla curatrice – Beatrice Benedetti, direttore artistico della galleria Boxart di Verona – in sezioni in base alle tematiche affrontate o alla location.
Gli scatti che raccontano la ribellione dell’artista nei confronti delle autorità, che nel 2005 le autorità cinesi demoliscono lo studio di Bolin, nel Suojia Arts Camp: da questo episodio nasce la serie Hiding in the city. Poi troviamo Hiding in the rest of the world che raccoglie, invece, foto scattate nelle grandi metropoli, da New York a Pechino. Il percorso continua con la serie Hiding in Italy: un costante confronto tra le culture d’Oriente e Occidente – le cui culle sono collocate rispettivamente dall’artista in Cina e in Italia.
Appartengono a questa sezioni gli scatti realizzati a Roma (Colosseo, Galleria Borghese e Piazza di Spagna) e a Milano al Duomo, al (Castello Sforzesco e al Teatro alla Scala). In mostra anche gli scatti del ciclo Shelves: la critica al consumismo di Liu Bolin lo porta a scomparire tra gli scaffali dei supermercati, in mezzo a scatolette di cibo.
Tra le fotografie più celebri esposte, anche il ciclo Migrants in cui Bolin coinvolge alcuni rifugiati ospiti di centri d’accoglienza in Sicilia. In questo caso, l’identificazione con lo sfondo lascia il posto alla spersonalizzazione dell’io e di un popolo, che non ha più volto se non quello della disperazione umana e della denuncia sociale.
“Dal 2013 in poi – racconta Bolin- ho iniziato una nuova fase del mio percorso realizzando delle opere in cui ho invitato a partecipare altre persone, così nel settembre del 2015 ho deciso di andare Catania per raccontare il tema dei migranti”.
Chiudono la mostra l’abito dipinto usato per la realizzazione dello scatto nei depositi del Mudec e i video che raccontano il dietro le quinte.
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