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Washington D.C., la lentezza di una città chiamata a decisioni rapide

Il Ritz-Carlton di Washington (Foto dell’autore)

Con delizioso sarcasmo John Fitzgerald Kennedy ha descritto Washington D.C. come una città dotata della “tipica efficienza del Sud e del tipico charme del Nord”.

D.C. è una contraddizione vivente: placida capitale federale di una Nazione che gioca, su tutti i tavoli del mondo, partite delicatissime, come in queste ore d’inizio 2020.

Il suo quartiere più esclusivo è Georgetown. E il suo hotel più celebre è il The Ritz-Carlton. Per chiarire immediatamente le cose agli ospiti una galleria di ritratti di Padri Fondatori e Presidenti domina la Hall e il Degrees Bistrot.

Breakfast con Benjamin Franklin o un drink sotto lo sguardo duro di Abraham Lincoln non c’è mai il rischio di dimenticarsi dove ci si trova. Come nella serie tv “House of Cards” il messaggio è chiaro: la politica è identica al mercato immobiliare, più sei vicino al centro più vali.

    (Foto dell'autore)
    Il Lincoln Memorial (Foto dell'autore)
    Il cimitero di Arlington (Foto dell'autore)
    Il Ritz-Carlton di Washington (Foto dell'autore)
    Il Ritz-Carlton di Washington (Foto dell'autore)
    Manifestazione pacifista di fronte alla Casa Bianca (Foto dell'autore)
    Il cambio della guardia ad Arlington (Foto dell'autore)
    Il quartiere di Georgetown (Foto dell'autore)

D.C. nasce alla fine del Settecento dalla visione di un architetto francese, Pierre L’Enfant, poi “tradita” da commissari governativi. L’Enfant morirà in miseria nel vicino Maryland ma oggi riposa con tutti gli onori, come JFK, nell’insigne cimitero di Arlington da dove “vede” la sua città immaginaria.

E’ proprio qui – tra suite e tappezzerie ovattate, vini d’annata e intrighi – che si giocano i destini del mondo. Tutto quello che si formalizza alla Casa Bianca viene concepito nel complesso di una città che dal quartiere diplomatico, detto Foggy Bottom (se l’etimo sia climatico o morale lo lasciamo al giudizio individuale) ai ritrovi eleganti, si nutre di potere e relazioni.

Qui a D.C. si beve whisky bourbon “on the rock”. Al singolare. Un solo, grande cubo di ghiaccio: è più bello a vedersi e si scioglie molto più lentamente dei banali cubetti.

La lentezza, in una città chiamata a scelte rapide, è tutto. Segreto di una diplomazia che a Georgetown o ci vive tutto l’anno, oppure ci soggiorna quando è di passaggio; e quasi non ha segreti perché siede spesso al tavolo accanto al vostro, o attende con voi il car valet, spoilerando (ma come ci fanno parlare…?) innocue confidenze. Che poi così innocue non sono mai.

Certo D.C. cerca ogni giorno di liberarsi di questa rappresentazione esclusivamente “politica” (che i detrattori evocano con un’immagine quasi biblica: the belly of the beast) e lo fa offrendo una scena, come suole dirsi, enogastronomica di prim’ordine, ma lontana dalla frenesia ambiziosa della East Coast.

Merita una visita una volta nella vita, questa città adagiata sulle rive del Potomac River che – indirettamente – ogni giorno entra a far parte della nostra vita quotidiana, con tanto di clamoroso e puntualissimo rimando Pulp cinematografico. Vi ricorderete del film “L’esorcista”. Scena iniziale: deserto, un demone appare in Iraq, turbamento dei presenti; dissolvenza stile anni ’70 su Washington D.C. dove l’azione principale – cioè il conflitto col demone interno – si sposta e ha luogo. Wow!

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