Non è ancora chiaro se le tra le tante conseguenze dell’esplosione del Covid-19 ci sarà anche una carenza di farmaci, ma negli Stati Uniti, e non solo, gli esperti stanno mettendo in guardia circa le potenziali vulnerabilità del settore farmaceutico, che dipende in modo massiccio dalla Cina.
Il primo contagiato sul territorio degli Stati Uniti è un cittadino residente nella contea di Solano, a qualche chilometro da San Francisco. Altri casi accertati sono i 60 turisti sulla nave da crociera Diamond Princess, fermati in Giappone e ora in quarantena in Texas. Le autorità invitano alla calma e Trump sta prendendo decisioni importanti in queste ore. Per quanto l’epidemia sia monitorata, l’America si sta preparando all’arrivo del nuovo coronavirus, e dei suoi effetti potenzialmente disastrosi sul welfare sanitario del Paese.
Secondo fonti vicine alla Food and Drug Administration, l’ente governativo degli Stati Uniti che si occupa peraltro della regolamentazione dei prodotti alimentari, circa 150 farmaci da prescrizione – tra cui numerosi antidolorifici e antibiotici – potrebbero essere a rischio esaurimento se l’infezione dovesse espandersi troppo rapidamente.
Il motivo della preoccupazione, secondo il sito Axios, è presto detto: molti degli ingredienti intermedi di sintesi per la produzione di principi attivi destinati all’industria farmaceutica negli Stati Uniti (e nel mondo) provengono dalla Cina. Nel caso in cui il gigante asiatico dovesse ritrovarsi con un’economia in ginocchio proprio quando aumenterà la domanda americana di medicinali, le società che fanno affidamento su questi ingredienti potrebbero ritrovarsi nei guai. E con esse milioni di cittadini nel momento del bisogno oppure in stato di panico, in una cultura nella quale il ricorso ai farmarci è pervasivo.
La Fda si è rifiutata di indicare quali farmaci potrebbero essere più a rischio, ma un suo portavoce ha ammesso di essere “profondamente consapevole che l’epidemia potrebbe avere un impatto sulla catena di approvvigionamento dei medicinali”. L’ente ha poi promesso che investirà più risorse sull’identificazione di potenziali vulnerabilità tra i medicinali in caso di una situazione fuori controllo. Per questo motivo, in questi giorni la Fda è in stretto contatto con centinaia di aziende farmaceutiche e con l’Agenzia europea per i medicinali (Ema), ente dell’Unione europea preposto alla valutazione dei medicinali, che ha sede ad Amsterdam.
Per ora non c’è nessun allarme; l’ipotesi di sospensione improvvisa delle forniture di medicinali sul mercato statunitense o europeo è considerata fantascientifica. Tuttavia il fatto che la Cina sia diventato negli ultimi trent’anni il principale fornitore degli ingredienti-chiave per l’industria farmaceutica desta preoccupazione, soprattutto per le possibili ripercussioni sul mercato se l’emergenza dovesse prolungarsi oltre le previsioni.
La Fda ha sottolineato però che non esiste alcuna possibilità che lo sviluppo di un vaccino per il coronavirus sia condizionato da eventuali cali di produzione dalla Cina, sebbene altri medicinali dipendano da sostanze prodotte da quelle parti o comunque dal Sud-est asiatico. “Se una potenziale carenza o interruzione dei prodotti medici venisse identificata dalla Fda, utilizzeremo tutti gli strumenti disponibili per reagire rapidamente e mitigare l’impatto sui pazienti statunitensi e sugli operatori sanitari”, ha affermato un portavoce della Fda.
Anche in Europa si sta sviluppando un dibattito simile. “Dai dati diffusi anche dall’Associazione europea dei produttori di generici e biosimilari – ha affermato il presidente Assogenerici, Enrique Häusermann, al Sole 24 Ore – lo stock di principi attivi attuale copre in media 3 mesi di richiesta produttiva per il prodotto finito ed è probabile che esistano scorte aggiuntive accumulate in previsione del tradizionale stop produttivo coincidente con la celebrazione del capodanno lunare. Se l’attuale situazione, soprattutto nei rallentamento dei trasporti, dovesse prolungarsi non si possono escludere impatti futuri sull’approvvigionamento”.
Il punto centrale è che le supply chain globali restano in piedi anche e nonostante la guerra dei dazi tra Trump e Pechino. Il senatore americano John Hawley ha inviato intanto una lettera alla Fda definendo “ingiustificabile” la dipendenza economica degli Stati Uniti dalla Cina nel settore dei farmaci. Bisogna “proteggere la catena di approvvigionamento di prodotti medici”, ha scritto.
In passato, ben prima di questa crisi sanitaria globale, i legislatori di Washington hanno già espresso preoccupazioni analoghe: Anna Eshoo e Adam Schiff, due deputati del Partito democratico, hanno scritto un articolo sul Washington Post lo scorso anno che parlava proprio di questo problema: “Dipendere da un singolo fornitore per tali beni salvavita è già di per sé preoccupante, ma quando quel fornitore è la Cina – in un momento di tensioni crescenti e di conflitti – è un problema di sicurezza nazionale che richiede l’attenzione della presidenza e del Congresso”, spiegavano.
Curiosamente, il commissario della Fda, l’oncologo texano Stephen Hahn, non è tra i membri della task force che Trump sta assemblando per combattere l’emergenza. A capo della quale c’è un nome già controverso: il vicepresidente Mike Pence, noto per le sue posizioni oscurantiste sul cambiamento climatico. Accusato, per di più, dalle sinistre di aver contribuito a una grave crisi dell’Hiv nel suo Stato, l’Indiana. Come se non bastasse, solo due sulle dozzine di membri della task force trumpiana sono medici o scienziati, ha riportato il sito BioCentury: il primato della politica riaffermato ancora una volta rispetto all’approccio europeo, più tecnico. Funzionerà, o Trump si infilerà nei guai?
Secondo Politico, la Casa Bianca è preoccupata dal modo in cui l’epidemia di coronavirus potrebbe influenzare le prospettive di rielezione di Trump. Per questo motivo l’amministrazione sta correndo ai ripari: “centralizzando” a più non posso le decisioni, e stringendo il cappio su eventuali fughe di notizie. Diversi membri del governo sono convinti che il virus si stia già diffondendo velocemente, non rilevato tempestivamente come invece accade in Italia. Tra i motivi c’è anche la frammentazione del sistema sanitario americano e gli alti costi per il pubblico di visite di controllo, tamponi e dei medicinali stessi.
Al di là del fatto che il virus si espanda o meno, la sia pur minima crisi dei rifornimenti dei medicinali potrebbe rimettere sul tavolo del dibattito politico il tema del welfare pubblico; ridando fiato all’opposizione che su questi temi batte da tempo il suo martello. E dunque non è un’esagerazione dire che, più dei ricatti economici della Cina o del Partito democratico, potrebbe essere il coronavirus il vero spauracchio del presidente.
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