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28 novembre 2025

Come gli Usa vogliono strappare il Pakistan alla sfera d'influenza cinese

L'avvicinamento tra Pechino e l'India potrebbe rimettere in discussione un'asse che per decenni è parso inscalfibile
Come gli Usa vogliono strappare il Pakistan alla sfera d'influenza cinese

Cosimo Palleschi
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Cosimo Palleschi

“Il Pakistan è dalla parte giusta della storia. Questo secolo sarà il secolo asiatico, dove la Cina rappresenta un partner sicuro”. Così si è espresso Syed Mushahid Hussain, ex ministro e senatore pakistano, fondatore di uno dei think tank più importanti del paese, sullo stretto rapporto tra Islamabad e Pechino.

La Cina è il primo partner commerciale del Pakistan e dal 2000 a oggi ha investito nel paese circa 70 miliardi di dollari: il 70% nel settore energetico, il resto soprattutto in infrastrutture e trasporti. Il trattato di cooperazione economica Cpec (China Pakistan Economic Corridor) rientra nella strategia di Pechino della ‘Nuova Via della Seta’ e ha nel Pakistan un alleato cardine. Innanzitutto per la sua posizione geografica. La Cina investirà ulteriori risorse, stimate in circa 60 miliardi di dollari, in infrastrutture come strade, autostrade, porti e aeroporti per collegarsi all’Oceano Indiano. In questo modo riuscirebbe a garantirsi un accesso al mare senza attraversare altri paesi. Già nel 2013 Pechino ha ottenuto la gestione, per più di 40 anni, dell’Autorità portuale di Gwadar, molto rilevante per la vicinanza allo stretto di Hormuz, da cui passa il 20% del petrolio esportato al mondo. La Cina vuole trasformarlo in un hub logistico fondamentale per la Via della Seta marittima, oltre che nella seconda base navale militare all’estero, dopo Gibuti.

Il rapporto Cina-Pakistan

Anche nel meeting dello scorso agosto tra i due ministri degli Esteri, Pechino ha tenuto a rimarcare la vicinanza a Islamabad e a sostenere la sua “indipendenza nazionale” e “sovranità e integrità territoriale”. Quest’ultima sembrava essere in pericolo, ad aprile, a causa di nuovi scontri militari con l’India lungo la Linea di Controllo, stabilita nel 1971, che separa i due paesi. La tensione è scoppiata dopo un attentato nel Kashmir indiano, il 22 aprile, che ha causato la morte di 26 civili e riacceso una contesa territoriale che si protrae dal 1947. Nonostante gli accordi di pace del 1971, seguiti alle tre guerre indo-pakistane, i rapporti non sono mai stati distesi ed entrambi i paesi si sono dotati di testate nucleari come deterrenza. Negli ultimi mesi si è temuta una nuova escalation.

Per Pechino il Pakistan è troppo importante come sbocco e controllo dell’Oceano Indiano. Dall’altro lato, anche per Islamabad il supporto cinese è necessario. Il Cpec ha creato, secondo i dati governativi, circa 255mila posti di lavoro, 8mila megawatt di energia elettrica, 600 chilometri di strade e autostrade. In Cina sono andati a studiare 28mila studenti pakistani, di cui ottomila dottorandi. Le aziende cinesi sono state le uniche a investire, a differenza delle big americane del petrolio, in zone ad alto rischio terrorismo, come il Belucistan, dove si trova il porto di Gwadar. La provincia, la più ampia e la meno popolata del paese, è da sempre caratterizzata da moti indipendentisti guidati dall’Esercito di Liberazione del Belucistan, che negli ultimi anni ha compiuto numerosi attentati. La sua posizione geografica la rende, però, centrale nello scacchiere asiatico, e anche la Cina non può fare a meno della sua stabilizzazione, visti gli ingenti investimenti per Gwadar.

Ci sono, comunque, alcune ombre sul rapporto Cina-Pakistan, che non può certo dirsi paritario. Il Pakistan, in passato, non aveva sufficiente capacità energetica e si è affidato a Pechino per colmare i deficit, tramite la realizzazione di numerose centrali a carbone e, di recente, anche nucleari. Il risultato è che oggi ha una capacità energetica doppia rispetto all’effettivo consumo. Malgrado questo, deve pagare per la capacità produttiva e non per il consumo reale. Inoltre, in Belucistan molti abitanti lamentano che non siano stati assunti lavoratori, se non cinesi, e che alcuni investimenti, come l’aeroporto di Gwadar, costato 240 milioni di dollari, siano ancora inutilizzati.

Il piano americano

Trump, intanto, si propone di allontanare il Pakistan dalla Cina. Ad agosto ha inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche l’Esercito di Liberazione del Belucistan, poi ha stretto accordi con il governo di Islamabad per nuovi investimenti americani nello sviluppo delle riserve di materie prime del paese, come petrolio e gas. Tra i progetti che potranno essere finanziati dagli Stati Uniti c’è quello di Reko Diq, in Belucistan, gestito oggi dalla canadese Barrick Mining, che ha le carte in regole per diventare una delle miniere di rame e oro più grandi al mondo, ma necessita di un investimento di almeno 3,5 miliardi di dollari.

La buona riuscita degli investimenti americani passa dalla pacificazione del Belucistan. La riapertura dei canali diplomatici tra Pechino e Nuova Delhi, a fine agosto all’ultimo vertice dello Sco (Shanghai Cooperation Organization), può cambiare drasticamente lo scenario geopolitico asiatico, se non globale. Le primissime conseguenze potranno essere un’incrinatura del rapporto privilegiato del Pakistan con la Cina e un ridimensionamento dei loro accordi economici in vigore. Gli Stati Uniti, in questo scenario, potranno prendere il posto dei cinesi anche per quanto riguarda i finanziamenti infrastrutturali. Trump potrà così portare dalla sua parte uno dei più popolosi stati islamici al mondo. Il presidente cinese, Xi Jinping, non può però rinunciare facilmente all’alleanza con Islamabad, rischiando di sprecare anni di investimenti e mettendo a rischio l’architrave della Via della Seta marittima. Il nuovo ‘Grande gioco’ asiatico tra Cina e Stati Uniti si è appena arricchito di una nuova pedina fondamentale, tornata, dopo tanti anni, contendibile.  

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