Fabrizio Di Amato è fondatore, maggiore azionista e presidente di Maire Tecnimont. Ha trasformato la sua piccola azienda di gioventù in una multinazionale attiva nella trasformazione delle risorse naturali, con un fatturato di 3,6 miliardi di euro, presenza in 45 Paesi e 8400 fra dipendenti e consulenti. Una scalata contrassegnata dallo spirito dell’imprenditore ovvero colui che “prende decisioni difficili in condizioni di incertezza”.
Di Amato è il decimo protagonista del ciclo di interviste dedicate al Dopo Coronavirus progettato dai grandi dell’imprenditoria italiana.
Sostenibilità e tecnologia sono “una” o “la” chiave per affrontare le sfide al tempo del Covid?
Muoversi in questa direzione è una necessità. S’intravedevano cambiamenti all’orizzonte già dieci anni fa, ragion per cui decidemmo di avviare questo percorso di focalizzazione tecnologica. Se non l’avessimo fatto, oggi non potremmo tener testa ai nostri competitor più agguerriti, penso a Cina e Corea. Per quanto riguarda la transizione energetica, cominciammo a lavorare sul verde quando era visto quasi come un vezzo, ma oggi non c’è investimento che prescinda da questo.
“Indietro non si torna” è uno degli slogan figlio del Covid-19. E’ una condanna, un’opportunità o gli aspetti si sommano?
Stiamo vivendo un momento di transizione. Due sono i pericoli nell’affrontare una situazione nuova: essere troppo indietro oppure, al contrario, assumere un ruolo pionieristico. Entrambe le posizioni sono sbilanciate e rischiose. Noi siamo arrivati a questo momento in modo equilibrato perché abbiamo investito ma con razionalità. Penso anzitutto alla nostra NextChem, attiva nella chimica verde e nell’economia circolare: la società è nuova, l’abbiamo lanciata a fine 2018 , però raccoglie competenze e iniziative già in atto nel nostro Gruppo. Abbiamo riunito i vari pezzi, per coordinarli attraverso un unico abilitatore industriale a servizio della transizione energetica, NextChem appunto.
Per dire che sono più le opportunità che le condanne…
In tutto il mondo si sente dire che questa crisi libererà miliardi di investimenti. Questo slancio potrebbe dare una spallata alla burocrazia snellendo i processi. Perché ci sono normative ormai superate nei fatti. Cosa ha dimostrato la realizzazione del ponte Morandi? Che la capacità di fare c’è, però bisogna snellire le normative. Altra opportunità nella condanna: il Pil negativo che si prospetta stimolerà a fare di più e meglio, sono convinto che gli imprenditori faranno la loro parte a patto che il governo snellisca le procedure. Registreremo un’accelerazione anzitutto nelle infrastrutture e in particolare in quelle verdi
Gli appelli a favore della sburocratizzazione però cadono sempre nel vuoto.
Da sempre facciamo proposte. Ora qualcosa sta cambiando, il tema inizia ad essere dibattuto. Settimana scorsa, durante una trasmissione tv, ho letteralmente sventolato una proposta. Alcuni politici mi hanno chiesto di poterla avere. Vediamo cosa succede.
Proposta di che tipo?
Siamo un’azienda che genera più di 3miliardi di fatturato, realizza grandi impianti in tutto il mondo e in aree geografiche spesso difficili. In un luogo remoto della Russia, con temperature da -40 a +40, stanno lavorando per noi 18mila persone contemporaneamente. Lì non c’era nulla, abbiamo costruito tutto in tempi record, infrastrutture comprese. In quel foglio spiego come si possono realizzare queste cose in tre anni. Ci sarà un seguito alla proposta? Non so lo, ma me lo auguro perché sarebbe un peccato non muoversi proprio ora che l’Europa ci consente di utilizzare miliardi.
Sta dicendo che il problema non sono i finanziamenti?
In questo momento, per l’Italia fare infrastrutture non è un problema di soldi. Il nostro Paese può disporre di oltre 250 miliardi di euro erogati da istituzioni europee sotto forma di finanziamenti e di fondi, e ben 190 miliardi sono liberi nell’indirizzo, cioè dobbiamo solo spenderli. E’ da tanto tempo che sento dire che servono i soldi. Il punto è: se vogliamo spendere questi soldi, snelliamo le procedure.
E invece che dire del Decreto Rilancio. Quanto rilancia?
Funziona in una situazione emergenziale, e quindi non può andare oltre. E comunque c’è una domanda che in tanti abbiamo posto: perché ai vari tavoli erano assenti gli imprenditori?
Assenti anzitutto nella commissione capitanata da Vittorio Colao: l’uomo divorato dal Palazzo, il supermanager chiamato a condurre una partita senza poter toccare la palla…
Colao è un manager riconosciuto. Il problema è stata la composizione della squadra: non un imprenditore e troppi professori, con il primo che potrebbe formulare una proposta concreta per la ripartenza dell’economia.
Boccia la gestione della Fase 2?
Avrei fatto diversamente, abbiamo voluto accordare agli scienziati responsabilità che non possono assumere: non da soli, intendo. Uno scienziato deve spiegarmi la pandemia, deve intervenire in merito alle quesitone mediche, non possiamo far decidere a lui se aprire un’azienda. Spetta alla politica, avendo sentito sia la comunità scientifica che gli imprenditori, prendere le decisioni. Peraltro, l’imprenditore è colui che prende decisioni difficili in condizioni di incertezza, questo è lo spirito che anima l’imprenditore e per questo in una situazione di incertezza come questa sarebbe stato opportuno sentire anche gli imprenditori coinvolgendoli nei tavoli di lavoro.
In piena pandemia, Maire Tecnimont annuncia commesse milionarie. Però, allo stesso tempo, registra perdite in Borsa. Come vive quest’altalena?
Dispiace per questa volatilità che nelle crisi possono manifestarsi con forza. Ma il nostro business non e’ legato al calo del prezzo del petrolio, anzi nel nostro caso, visto che realizziamo impianti che usano le risorse naturali come materia prima per trasformarle in prodotti a più alto valore aggiunto, a partire dalle plastiche, e’ vero il contrario: più il gas è basso e più i nostri impianti sono redditizi, perché aumenta il margine sui prodotti trasformati. In ogni caso, auspichiamo un recupero progressivo nel tempo.
Torniamo al discorso infrastrutture. Uno dei volani della rinascita, diceva.
Certo. Ogni euro investito ne mette in moto tre, l’effetto moltiplicatore è alto. Bisogna però distinguere fra infrastrutture che recuperano l’investimento di partenza e quelle che generano un debito creando sì vantaggi, ma indiretti.
La vostra azienda ha appena inaugurato una cattedra di Open Innovation alla Luiss. Da cosa nasce questa sensibilità per il tema formazione?
Abbiamo collaborato tanto con le università nello sviluppo condiviso di tecnologie. Però a un certo punto ho sentito che l’imprenditoria riceve dalle università più di quanto offra. Le università forgiano il capitale umano che ci consente di essere grandi nel mondo, è giusto dare qualcosa in cambio. Aldilà della cattedra in sé, sia io sia i miei collaboratori interveniamo spesso negli atenei per comunicare le nostre esperienze perché gli studenti hanno bisogno di modelli concreti.
Per premere sull’acceleratore, l’Italia dovrebbe rivoluzionare la scuola. Ma il Covid non sta dando la spallata auspicata. Anzi, le scuole saranno le ultime a ripartire, 2 ragazzi su 10 non fanno dad…
Torna il tema delle infrastrutture.. Ci vuole un cambio di passo. La didattica a distanza funziona se ancorata a una infrastruttura di base. Mi spiego: se non ci sono piattaforme di virtualizzazione e remotizzazione con tutti i dati delle scuole, tutto si riduce a un vedersi e sentirsi via computer. In ogni caso resta importante la componente di socialità e di incontro tra le persone.
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