Articolo apparso sul numero di agosto 2020 di Forbes. Abbonati
“Sperando di non sbagliarmi, perseveranza e capacità di imparare dalle situazioni e dalle esperienze”. Risponde così Alessandro Melzi d’Eril, nuovo amministratore delegato di Anima Holding, quando gli si domanda quale ritiene siano state le doti che l’abbiano maggiormente aiutato nel corso della sua carriera. D’altra parte il suo curriculum parla chiaro: di formazione bocconiana, è in Anima dal gennaio 2011, dopo essere stato dal 2004 al 2011 investment director di Clessidra, uno dei principali fondi di private equity in Italia. Ora, dopo il passaggio di consegne con Marco Carreri e dopo aver ricoperto anche il ruolo di cfo fino al 2017, anno in cui è stato nominato direttore generale del gruppo, lo ritroviamo alle prese con una nuova sfidante avventura professionale; l’occasione perfetta per fare un primo bilancio di un percorso manageriale destinato a lasciare il segno.
Quali sono i principali obiettivi che si è posto accettando il nuovo incarico, sia sul fronte personale che societario?
Sono passati poco più di tre mesi dalla mia nomina e, nonostante le difficoltà del momento legate alle conseguenze dell’emergenza sanitaria, direi che le cose procedono tutto sommato bene. C’è anche da tenere in considerazione che non sono propriamente nuovo al progetto Anima avendolo seguito fin dall’inizio, nel 2009, quando lavoravo per il private equity Clessidra che l’ha avviato. Per quanto riguarda i traguardi che mi sono posto, farò del mio meglio per creare valore e per proteggere quello fin qui costruito a favore dei vari stakeholder del gruppo, primi fra tutti i nostri clienti.
Lei stesso non ha escluso la possibilità di cogliere eventuali opportunità di consolidamento del settore che si dovessero presentare e una politica di importanti ritorni per gli azionisti. Vuole farci un identikit di una potenziale società target ideale per Anima in tal senso?
Anima nasce con l’idea di creare un soggetto indipendente in grado di competere, per dimensioni e redditività, con i colossi del settore, inclusi i giganti stranieri: all’inizio del progetto, nel 2009, gestivamo circa 20 miliardi di euro, abbiamo chiuso il 2019 con circa 186 miliardi di euro di asset gestiti grazie a una crescita organica sostenuta e a un’importante attività di m&a. Per quanto riguarda la componente di crescita per linee esterne, oggi vediamo alcune possibili strade da perseguire. Continuiamo sicuramente a monitorare il mercato italiano che resta ancora caratterizzato da una certa frammentazione, con operatori legati a gruppi bancari o con dimensioni tali da non poter competere in maniera efficiente, soprattutto in contesti di forte volatilità come quello che stiamo vivendo. Pensiamo qui di poter avere un ruolo come aggregatore, partecipando alla fase di integrazioni e razionalizzazioni delle fabbriche prodotto successive al processo di consolidamento bancario. Un secondo ambito molto interessante è quello legato al mondo assicurativo, in Italia e in Europa, che in un’epoca di tassi strutturalmente bassi deve affrontare sfide molto più complesse rispetto al passato nell’ambito della gestione dei propri asset, magari anche partecipando a operazioni di m&a. Infine, e questo credo che riguardi prevalentemente realtà oltreconfine, riteniamo ci siano società che negli anni hanno investito molto nello sviluppo di competenze gestionali, con brand e track record riconosciuti ma che non sono magari riusciti a raggiungere quella scala necessaria per competere e contrastare l’erosione dei margini a cui questa industria è sottoposta da tempo. Anima potrebbe apportare a una tale aggregazione un accesso e un know-how unico sul mercato italiano del risparmio gestito.
Ci troviamo in un momento particolarmente complesso per il mercato. Come pensa inciderà sulla sua nuova esperienza da amministratore delegato del gruppo?
Sicuramente il periodo che stiamo vivendo è particolarmente sfidante sia per il contesto esterno, con una forte volatilità dei mercati finanziari e l’attività economica molto ridotta, ma anche per quanto riguarda il rapporto con i colleghi: tra fine febbraio e inizio marzo, in pochi giorni abbiamo implementato la modalità di smart working praticamente per il 100% dell’organico, questo ha comportato un cambio nel modo di lavorare e di interagire, e tanto più lo è stato per me nella gestione del mio nuovo ruolo. Da questo punto di vista non è stato un inizio semplice, cercando però di vedere il bicchiere mezzo pieno, il business del gruppo ha retto molto bene e io ho avuto la possibilità di concentrarmi pienamente sugli assestamenti organizzativi e sul passaggio di consegne.
Lei è nel gruppo dal 2011, ma durante la sua vita professionale ha ricoperto diversi ruoli. Quali sono state le tappe lavorative per lei più importanti?
Se dovessi individuare alcuni momenti chiave della mia carriera, credo che sceglierei il passaggio in Anima dal private equity e la quotazione in borsa della società. Nel primo caso, sentivo il bisogno di allargare le mie competenze con un’esperienza manageriale, ne parlai in Clessidra e gli astri si allinearono per farmi entrare come cfo nel gruppo. La quotazione fu un momento molto importante, dovetti scegliere all’inizio del processo se tornare nel private equity o restare in Anima: anche grazie a Marco Carreri scelsi Anima. Con Marco abbiamo condiviso oltre 10 anni di grandi avventure, spero di essere riuscito a carpire almeno qualcuna delle sue doti migliori.
Domanda di rito in chiusura: come si immagina lei tra 10 anni e come, invece, Anima?
Il mio sogno sarebbe di vedere Anima diventare un gruppo paneuropeo a motore italiano. È un percorso complicato ma credo che la dimensione che abbiamo raggiunto ci obblighi a pensare in grande. Per quel che mi riguarda, spero che avrò ben ricoperto i ruoli che mi sono stati assegnati e di continuare a far parte di un progetto bello e stimolante con questo.
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