Nella corsa all’oro in California, nel 1849, molti cercatori finirono in miseria, o anche peggio. Qualcosa del genere è capitato, 150 anni dopo, ai pionieri di Internet, folgorati dalla crisi delle dot-com. E la storia tende a ripetersi sotto i cieli delle criptovalute, percorsi da improvvise galoppate al rialzo e altrettanto improvvise cadute. Ma in tutti i casi, chi tiene il banco, come a Las Vegas, vince. È capitato a chi vendeva setacci e badili ai minatori, così come a Google, la porta d’accesso al mondo internet e ai suoi servizi. “Vogliamo essere per le criptovalute quello che Google è per il web”: è questo il sogno di Brian Armstrong, oggi un po’ più prossimo a diventare realtà. Perché Coinbase, la piattaforma da lui fondata nel 2012, varcherà domani la porta del Nasdaq.
L’indice è pronto ad accogliere con una pioggia di miliardi di dollari (attorno ai 100, si prevede) la più importante società che compra, vende e tiene in deposito per conto dei clienti le criptovalute. Specie quelle che, dietro congrua commissione, si possono comprare presso la stessa Coinbase, attiva in 190 paesi e 32 valute. Una vera miniera d’oro, frutto del bernoccolo per gli affari di Armstrong, cervello fino della Silicon Valley e protagonista della case history dell’anno: una storia che andiamo a raccontare.
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Chi è Brian Armstrong
Fin dalle medie Brian Armstrong, oggi 38 anni, si è rivelato un piccolo genio, che – parola sua – preferiva passare il pomeriggio su un testo in Java piuttosto che a leggere Topolino. Durante le superiori, il passatempo era già diventato un impiego part time: nel pomeriggio Armstrong scriveva, a pagamento, programmi in Html per le startup della sua città, San José, nel cuore della Silicon Valley. Il posto ideale per capire la lezione sulla fragilità delle dot-com, finite a gambe all’aria allo scoppio della bolla.
Brian, intanto, fa rotta per l’università – la Rice di Houston, in Texas – pieno di idee. Con un socio dà il via a University Tutor, un sito di sostegno agli studenti bisognosi di ripetizioni, in contatto con le associazioni dei genitori. “Una cosa alla buona”, ricorda il socio dell’epoca, John Nelson, oggi a capo della società di e-commerce Vroom. “La sede era la nostra stanza. Ogni volta che facevano una festa, staccavamo il telefono”. A fine corso, gli studenti vendono l’attività per 21 volte il giro d’affari.
È il primo vero successo. Armstrong, fresco laureato in computer science, fa esperienza in Ibm, Deloitte e pure in Airbnb, per cui si reca in un’Argentina flagellata da un tasso di inflazione a tripla cifra.
La nascita di Coinbase
I tempi, intanto, maturano. È il 31 ottobre 2008 quando viene rilasciato il white paper di Satoshi Nakamoto, pseudonimo del creatore della prima criptovaluta, la cui identità non è stata ancora svelata. Racconterà Brian: “L’ho letto per la prima volta a casa, durante le feste di Natale. Non sono stato capace di smettere di pensarci per i sei mesi successivi e l’ho riletto un sacco di volte. Mi entusiasmava la prospettiva di un altro protocollo globale decentralizzato – come Internet – che avrebbe potuto creare una maggiore libertà finanziaria. La maggior parte dei miei amici pensava che il bitcoin fosse un’invenzione bizzarra, ma qualcosa nella pancia mi diceva che, invece, era importante. Volevo darmi da fare per contribuire a rendere questa tecnologia più semplice da usare”. Ci sono voluti tre mesi, durante i quali ho imparato a conoscere il protocollo a un livello più profondo. Il progetto iniziale era di usare il nome BitBank, perché mi piaceva come suonava, tipo PayPal o CocaCola. Gli avvocati, però, mi consigliarono di non usare la parola ‘banca’ nel nome. In pieno brainstorming per trovare il nuovo nome, mi sono imbattuto nel termine “coinbase”, una parte del protocollo bitcoin, e mi è piaciuto. Ho comprato il dominio per 1.800 dollari”.
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Il 2012 è l’anno del grande salto. Assieme a lui c’è un programmatore, l’inglese Ben Reeves, con cui però si arriva presto a una rottura: Armstrong è convinto che sia necessario uno storage in cui depositare i backup degli averi dei clienti. Reeves, in linea con la mentalità degli adepti del bitcoin della prima ora, privilegia la libertà dell’individuo, contro la filosofia di un centro del sistema. Così facendo, obietta però l’americano, si taglia fuori una bella fetta della gente comune. “Penso a mia madre”, ha detto di recente. “Non so neanche immaginare cosa accadrebbe se andassi da lei e le dicessi: ‘Ho messo i tuoi risparmi su un conto elettronico, ma, se perdi la combinazione, va tutto in fumo’”.
Insomma, per uscire dalla cerchia dei nerd e diventare uno strumento di massa, il bitcoin deve uscire dalla filosofia “carbonara” e antisistema, compreso il culto della segretezza, e adottare caratteristiche più adatte al largo mercato. Coinbase, perciò, dispone oggi di un sistema per recuperare i codici di sicurezza e dispone anche di un forziere disconnesso da Internet, ove sono depositate le criptovalute. E, nel corso del tempo, si è dotato di altri servizi, a partire dalle commissioni di compravendita che garantiscono una buona fetta delle entrate della piattaforma, su cui convergono oggi più o meno 50 milioni di clienti, tra cui 7 mila operatori professionisti tra banche, hedge fund e fondi comuni.
L’ascesa di Coinbase
Un fiume che cresce a una velocità impressionante: il numero degli utenti confermati è salito del 23% tra il 2018 e il 2019 e di un altro 34% tra il 2019 e il 2020, fino a raggiungere quota 43 milioni nel quarto trimestre dello scorso anno. Ma il conto è balzato poi a 56 milioni alla fine di marzo 2021, secondo quanto dichiarato dalla società. Un incremento impressionante – oltre quattro milioni di utenti in più al mese -, in un momento particolarmente caldo per l’universo delle monete virtuali. I prezzi del bitcoin sono passati dai 27.734 dollari di inizio gennaio 2021 a una quotazione record – il 13 di aprile – di 62.668 dollari: un incremento superiore al 120%.
Il prezzo è stabilmente sopra i 60mila dollari dal 13 marzo scorso: lo stesso giorno in cui il presidente Joe Biden ha firmato la legge sugli stimoli fiscali per 1.900 miliardi di dollari, alimentando i timori di un’ondata di inflazione. E, nel frattempo, l’uso delle criptovalute come strumento di pagamento ha potuto contare su un testimonial d’eccezione: Elon Musk. D’ora in poi, ha detto il finanziere/inventore, si potrà usare il bitcoin per comprare Tesla.
L’avventura in Borsa
Sono queste le premesse dell’avventura borsistica che sta per cominciare. Armstrong ha scelto, per il debutto, la strada della quotazione diretta, senza passare per l’Ipo, soluzione già adottata per prima da Spotify e poi seguita da Palantir, Slack e Roblox. La vendita diretta permette a una società di quotarsi in Borsa senza emettere nuove azioni, con tempi più brevi rispetto all’Ipo, costi minori e senza diluizioni di valore per gli azionisti attuali. Per Brian Armstrong, che detiene il 14,8% del capitale, questo significa entrare fin da subito nel club dei plurimiliardari e disporre così dei mezzi per finanziare altre iniziative: il centro di ricerca scientifico ResearchHub, più un’associazione benefica finanziata con un miliardo di dollari. Di sicuro, dice chi lo conosce, la ricchezza non gli cambierà la vita: la sua missione resta quella di creare la cripto-Google.
Ma quale sarà la sorte del titolo? Coinbase è senz’altro destinata a procedere all’insegna della volatilità, anche se (forse) a un ritmo meno drammatico della criptovaluta. Non solo. Diversi analisti, che giudicano eccessivi i multipli previsti dai promotori, fanno notare che, una volta entrata al Nasdaq, Coinbase dovrà per forza essere meno disinvolta nelle operazioni finanziarie di swap e in altre pratiche aggressive non gradite alle autorità di mercato. Di qui la prospettiva di un minor tasso di crescita dei profitti, peraltro vertiginosi in questo straordinario avvio di anno: nei primi tre mesi del 2021, la piattaforma ha guadagnato 800 milioni di dollari su 1,8 miliardi di giro d’affari. Più del doppio dell’intero 2020. Numeri grandi, ma in linea con la convinzione di Armstrong: Coinbase sarà per il bitcoin quello che Google è stato per internet. Vale a dire, il mezzo d’accesso universale per un mondo nuovo che, potenzialmente, può raggiungere 3,5 miliardi di persone.
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