Il Covid-19 è stata un’esperienza sconvolgente, però in ambito lavorativo ha aperto nuove opportunità in tema di flessibilità e acquisizione di nuove competenze. La pensano così soprattutto i giovani tra i 18 e i 24 anni, che si dicono ottimisti per l’evoluzione del proprio lavoro da qui ai prossimi 5 anni nel 72% dei casi. Questo è un dei dati più interessanti emersi dal report People at Work 2021: A Global Workforce View, una ricerca a firma di Adp, multinazionale specializzata nell’ambito dell’human capital management. La ricerca, che ha toccato 17 Paesi tra novembre e dicembre 2030, ha proposto un sondaggio anche a 2.000 lavoratori italiani. L’obiettivo era analizzare gli atteggiamenti dei dipendenti nei confronti dell’attuale mondo del lavoro e le loro aspettative e speranze future.
Ebbene, a sorpresa, il 63% degli italiani si è dichiarato ottimista verso il futuro, contro un 37% che invece teme le conseguenze del Covid-19 sul sistema lavoro. Più ottimisti gli uomini delle donne (66% contro 59%) un dato forse scontato se si pensa che nell’ultimo anno in Italia hanno perso il lavoro 444 mila persone, di cui 312 mila sono donne, circa i tre quarti del totale (dati Istat).
La fascia più pessimista è quella degli over 55 (40%), mentre la più ottimista è quella tra i 18 e 24 anni con una percentuale di ottimisti del 72%.
Una parte dei lavoratori italiani – si legge sul comunicato – è incline a pensare che il Covid-19 avrà un impatto positivo, oltre che negativo, su questioni come ottenere una maggiore flessibilità e sviluppare nuove competenze professionali. Sembra quindi che per alcuni lavoratori la pandemia abbia scatenato sia il coinvolgimento sia la resilienza, tanto che in molti vedono un suo impatto positivo sotto diversi aspetti.
“C’è la sensazione che, ciò che è stato un periodo estremamente grigio, possa avere però un risvolto positivo in ambito lavorativo”, è il commento di Marisa Campagnoli, Hr director di Adp Italia. “In particolare, per quanto riguarda il passaggio a un più flessibile modello lavorativo, o allo sviluppo di nuove competenze utili ai dipendenti per affrontare quella che sembra essere la nuova normalità, mentre l’economia globale cerca di trovare slancio per una rapida ripresa”.
LEGGI ANCHE: “In pandemia si lavora fino a 20 ore in più a settimana, senza una corretta retribuzione”
Dietro la speranza che monta in molti lavoratori, tuttavia, si fanno largo anche alcune preoccupazioni. E, alla domanda su quale sia stata la più grande sfida durante la pandemia, il 21% ha dichiarato di essere preoccupato di rimanere in buona salute. Mentre il 20% ha ritenuto complesso gestire lo stress ed equilibrare il giusto tempo tra lavoro e vita quotidiana (13%). Un numero non trascurabile, ben il 12%, ha detto di essersi preoccupato circa la capacità di essere altrettanto produttivo.
Sta di fatto che, la prospettiva di un ritorno alla normalità, ha dato slanci di ottimismo, in particolare tra i più giovani: “La sfida ora per i datori di lavoro e per i team HR è quella di trovare possibili modi di sfruttare le positività”, prosegue Campagnoli, “e allo stesso tempo, dove possibile, alleviare gli svantaggi per assicurarsi che il personale rimanga ottimista, motivato e incoraggiato a progredire lavorando al meglio”.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .