Articolo tratto dal numero di dicembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
Capofila del progetto europeo per i porti sostenibili; un rapporto privilegiato con la capitale mondiale della ricerca grazie al suo polo tecnologico e all’università; protagonista delle politiche di investimento legate al Pnrr. E ancora: luogo privilegiato per le navi da crociera e quindi per il traffico passeggeri dirottato da Venezia. È il momento del Porto di Trieste, corteggiatissimo snodo merci e passeggeri del Mediterraneo che fa gola a tedeschi e cinesi e che ha in Zeno D’Agostino, presidente e autorità di Sistema portuale dell’Adriatico orientale, il suo indiscusso profeta.
Non si può ancora definire capitale del Mediterraneo, ma Trieste può ambire alla leadership?
Fino a pochi anni fa il Porto di Trieste partecipava a un solo progetto europeo. Oggi sono circa 26 e non sono una parte avulsa dalla gestione complessiva del sistema portuale, ma elementi chiave che ci permettono di sviluppare innovazioni che sono l’elemento fondamentale di definizione delle strategie. Innovazione e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia e noi abbiamo la grande fortuna che Trieste è una delle capitali mondiali della ricerca scientifica e tecnologica, della fisica. Siamo riusciti a instaurare un dialogo intenso e oggi tutti i grandi centri di ricerca internazionali si trovano alle spalle del porto.
Un gran momento, certo, anche perché ci sono ingenti risorse a disposizione per crescere. I finanziamenti del Pnrr sono un elemento chiave per la transizione. Quale sarà la loro destinazione principale?
Abbiamo più di 400 milioni di finanziamenti e buona parte sono dedicati allo sviluppo infrastrutturale del porto, ma anche, in un’ottica di strategia sostenibile, all’intermodalità. Per esempio, abbiamo percentuali di utilizzo della ferrovia che sono uniche al mondo: il nostro terminal container utilizza i binari al 56% per le movimentazioni di flussi terrestri. Abbiamo già superato gli obiettivi posti da Bruxelles per il 2050, con 30 anni di anticipo. Ma non ci fermiamo qui. Puntiamo molto sull’elettrificazione delle banchine, un’attività chiave sia del porto di Trieste che del porto di Monfalcone, fondamentale per diminuire le emissioni. Possiamo contare su circa 50 milioni di euro per elettrificare e quindi spegnere i motori delle navi eliminando le emissioni durante la sosta. Basti pensare al traffico delle cosiddette navi bianche: abbiamo calcolato che una nave da crociera consuma un sesto dell’attuale domanda di elettricità della città di Trieste. Quindi se noi attacchiamo la ‘spina’ di due navi in porto vuol dire che c’è un aumento di domanda di un terzo. Se vogliamo essere sostenibili dobbiamo diventare produttori di energia green che, oltretutto, potrà essere messa a disposizione del territorio.
Il porto, insomma, non serve solo a far attraccare le navi, ma è essenziale per l’economia del territorio, anche dell’entroterra. Può essere quindi protagonista nei processi della sostenibilità.
Le nostre strategie sono più legate al mondo energetico che al mondo dei trasporti. Un presidente di porto deve per forza conoscere questi temi, approfondirli, studiarli e creare giuste integrazioni con il territorio. Si può fare molto in termini di sostenibilità se si pianifica bene dal punto di vista urbanistico e della mobilità. Per esempio, potremmo usare le vie del mare per permettere ai crocieristi di visitare l’Istria, o la stessa Venezia, senza intasare il territorio.
Trieste è il primo porto italiano per traffico merci e il primo nel Mediterraneo per il petrolio. Si spiega anche così l’attenzione e la voglia di ‘metterci le mani’ da parte di cinesi e tedeschi?
Trieste ha sfruttato tutte le sue potenzialità. Ecco perché c’è l’interesse non solo dei cinesi, ma di tanti altri soggetti internazionali che vogliono investire qui. Perché Trieste è, e sarà sempre, uno dei nodi più importanti a livello globale attraverso cui entrare nel cuore dell’Europa. Oltretutto il cambiamento climatico sta creando serie difficoltà. I tedeschi, per esempio, hanno capito che ci saranno problemi dal punto di vista dell’accessibilità nautica: i canali che dai Paesi Bassi arrivano fino alla Germania sono tutti secchi durante l’estate. E, quindi, venire a Sud per rifornire i propri clienti diventa prioritario.
Si parla tanto di aeroporti, alta velocità, traffico urbano. Forse l’immaginario collettivo e i media trascurano il valore economico e sociale delle strutture portuali, specialmente in un Paese ‘tutto coste’ come l’Italia?
Il mare è stato dimenticato dalla politica nazionale perché i centri dell’economia italiana e della politica non sono sul mare. A differenza di quello che succede in tutto il mondo. Basta guardare una qualsiasi classifica sulle città più competitive e innovative del mondo: sono quasi tutte di mare. In Italia invece sembra che questo sia un handicap perché non si è capito quanto sia fonte di opportunità. Noi, che ne siamo circondati, dovremmo sfruttarlo sotto molti punti di vista. Inoltre, ci vuole un ruolo diverso del settore pubblico, serve un dinamismo diverso dal passato. L’Italia deve fare un passo in avanti anche dal punto di vista culturale. Non occorre ricordare che ci sono grandi opportunità di lavoro e di impresa per i nostri giovani.
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