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Lost in traslation: come un errore di traduzione ha rischiato di causare una crisi spaziale

Quando le comunicazioni avvengono in lingue diverse, è importantissimo che le traduzioni siano precise. Un errore, anche piccolo, può avere conseguenze spiacevoli, specie quando i rapporti internazionali sono già difficili. Inoltre, prima di lanciare notizie d’agenzia come se fossero una novità assoluta, forse sarebbe il caso di controllare cosa era stato detto dagli stessi personaggi sullo stesso argomento in occasioni precedenti. Invece, combinando un errore di traduzione con un vuoto di memoria, si rischia di creare situazioni di crisi che non esistono.

È quello che è successo a fine luglio, quando gli organi di stampa russi hanno riportato la notizia che il nuovo capo di Roscosmos, Yuri Borisov, aveva comunicato al presidente Putin la decisione di ritirarsi dal programma Iss alla scadenza degli impegni sottoscritti, cioè dopo il 2024. Una traduzione frettolosa aveva frainteso il “dopo il 2024” in un più specifico “nel 2024”. Cosa che era suonata strana agli esperti, che avevano registrato con soddisfazione la notizia dell’accordo per lo scambio degli equipaggi russi e americani di appena dieci giorni prima. Perché Roscosmos aveva cambiato idea in modo così subitaneo?

Lost in translation

Semplicemente perché il significato del messaggio era stato lost in translation. Borisov aveva detto “dopo il 2024”, senza fornire una data. E aveva ripetuto parola per parola quanto aveva già detto nell’aprile 2021, quando, in qualità di vice primo ministro, aveva dichiarato che la struttura della Iss cominciava a mostrare gli acciacchi dell’età e non sembrava opportuno prolungare il progetto al di là del 2024, data prevista dagli accordi tra Nasa e Roscosmos.

Allora, quando sosteneva che che lo stato della struttura lasciava a desiderare, forse Borisov si riferiva alla perdita di pressione registrata nel modulo russo Zvezda, che aveva dato del filo da torcere ad astronauti e cosmonauti. Dopo che la tecnologia degli ultrasuoni, per percepire il fruscio dell’aria che sibila via verso lo spazio, non aveva funzionato, gli inquilini della Iss avevano deciso di affidarsi a una bustina di tè. Dopo avere disperso il contenuto nel modulo, erano usciti chiudendo tutto. Seguendo il movimento delle foglioline con le telecamere, erano finalmente riusciti a individuare la piccola falla, forse causata da un micrometeorite, e l’avevano sigillata con il nastro adesivo.

Nessuna missione è infinita

Di sicuro la Iss non può continuare la sua missione a tempo indefinito. Il primo dei suoi 16 moduli pressurizzati (il russo Zarya-Alba) è stato lanciato 24 anni fa. Lo stress termico e la continua pioggia di micrometeoriti e piccoli detriti causano ‘affaticamento’ del materiale e continue richieste di manutenzione. È quello che va ripetendo anche Vladimir Solovyov, il direttore di volo del segmento russo. I moduli erano stati progettati per durare 15 anni e quasi tutti hanno superato questo periodo di vita orbitale.

Anche in vista di questi problemi, la Nasa aveva originariamente previsto di terminare la sua partecipazione al progetto nel 2025, ma poi, lo scorso dicembre, la data limite era stata spostata al 2030. L’annuncio era arrivato in occasione della firma del contratto da 415,6 milioni di dollari assegnato a Blue Origin, Nanorack e Northrop Grumman per iniziare le attività di studio e sviluppo di nuove stazioni spaziali commerciali. I piani sono ancora nebulosi e, tra le tre, la compagnia più avanti è Northrop Grumman, che può capitalizzare sulla sua partecipazione alla nuova stazione cislunare della Nasa, Lunar Gateway. Probabilmente, però, la prima stazione spaziale sarà quella di Axion, che ha già iniziato le sue visite alla Iss, che verrà usata come base per il montaggio della nuova struttura.

Il futuro dello spazio russo

È presumibile che, prima di annunciare la volontà di continuare a usare la Iss fino al 2030, la Nasa abbia consultato i partner, in primo luogo Roscosmos, anche se non risulta che ci siano stati accordi formali.

Da questo punto di vista, la posizione di Borisov è, per lo meno, possibilista, perché un prolungamento oltre il 2024 potrebbe fare comodo anche ai russi per continuare a mantenere in attività i cosmonauti mentre si provvede a costruire la futura stazione spaziale russa Ross (Russian Orbital Service Station). Certo, il fatto che la Russia voglia costruire una sua stazione spaziale indipendente forse non è una buona notizia dal punto di vista della cooperazione spaziale, ma, se i russi vogliono tenere un piede in orbita, difficilmente vorranno fare accordi commerciali con società americane.

Tanto rumore per nulla? Forse sì, ma lo scompiglio generato dall’errore di traduzione è servito a dare visibilità al progetto Ross.

Il progetto Ross

L’idea sarebbe di iniziare a mettere in orbita il primo modulo (che implicherebbe lo sviluppo anche di nuove navette per il trasporto di merci e persone) a iniziare dal 2028. La fase successiva, con il lancio di altri moduli, inizierebbe nel 2030, ma non sembra che i piani siano completamente finalizzati. Per esempio, non è chiaro quale potrebbe essere l’orbita della Ross: si parla di un’orbita simil-Iss inclinata di 51,6°, oppure di un’orbita polare a 97°.

Secondo le dichiarazione di Solovyov, non si penserebbe a una struttura presidiata con continuità da cosmonauti che, invece, dovrebbero fare visite periodiche per controllare gli esperimenti. Mantenere una continua presenza umana ha un costo significativo e forse Roscosmos, forte dell’esperienza della Mir e ora della Iss, pensa che il gioco non valga la candela.

Per avere un’idea delle cifre, si può usare il metodo – certo semplicistico, ma efficace – proposto da Donald Goldsmith e Martin Rees nel loro libro The end of Astronauts. Dividendo il costo totale della Iss per i giorni di occupazioni da parte di tutti i suoi inquilini, ottengono la cifra di oltre sette milioni al giorno.

Ovviamente i conti andrebbero fatti in modo diverso, ma i due stanno caldeggiando l’utilizzo di robot piuttosto che di esseri umani. Il vantaggio è evidente: i robot sono molto meno costosi perché non devono respirare, bere e mangiare, possono lavorare nel vuoto cosmico e non rischiano di ammalarsi a causa delle radiazioni. A giudicare dalla dichiarazioni, sembra che il direttore di volo della Iss russa condivida, almeno in parte, le loro argomentazioni.

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