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Guardare ma non toccare: tecniche di futuro tra vizi e virtù dei modelli predittivi

Siamo esseri predittivi, capaci di trascendere noi stessi attraverso la tecnologia o le credenze (che ci aiutano a conferire senso e a dare una direzione all’ignoto). Grazie a questa abilità ci abilitiamo a dominare a nostro vantaggio l’ambiente: non possiamo farne a meno, ma dobbiamo imparare a farlo meglio, rinunciando a un dominio che ci si è rivoltato contro. 

La pagina bianca su cui scriviamo i nostri miti e i nostri codici non è vuota, ma intessuta di possibilità: riuscire a lavorare all’interno di queste, nel rispetto della loro alternanza, è la principale sfida che si pone oggi alle persone, alle aziende e alla politica. Per alcuni è un lavoro di estrazione, per altri di invenzione (nel senso di invenire, trovare cosa serve nel contesto e per il contesto), per tutti è ormai un compito olistico, che accetta che le possibilità non siano dedicate alla sola specie umana, e non possano essere dirette esclusivamente attraverso le tecnologie (informatiche o sociali) per il solo motivo che abbiamo paura di essere travolti dall’incertezza.

L’utopia dell’estrazione dei dati e degli algoritmi

Gli strumenti come design thinking, foreward, backcasting, costruzione di scenari, metodologia agile, nudging, cercano di esplorare i difetti cognitivi dell’essere umano per superarli o volgerli a vantaggio di comportamenti maggiormente sostenibili, questo almeno nelle intenzioni (o, meglio, nelle aspirazioni).

Ci piace rassicurarci con l’utopia (per alcuni distopia) dell’estrazione dei dati, ma anche i potenti algoritmi, scrive Helga Nowotny, già presidente dell’Erc (Consiglio europeo di ricerca) oggi professoressa all’Eth (Politecnico federale) di Zurigo e autrice di Le macchine di Dio. Gli algoritmi predittivi e l’illusione del controllo, “non sono pronti a essere una soluzione e l’aver simulato il nostro talento predittivo rendendolo esponenziale nell’IA non ci fa sfuggire a dei paradossi: cerchiamo di vedere il futuro ma ignoriamo gli effetti di queste previsioni sulle nostre azioni presenti, che incideranno e condizioneranno il futuro stesso, inserendoci in una macchina del tempo digitale’”. 

Se l’individuo ha tra i suoi bias cognitivi la cosiddetta “profezia che si autoavvera” questo comporta che ogni comunità (economica, territoriale, professionale) rischia la stessa sorte, attribuendo a un cervellone di alta autorevolezza (perché considerato l’applicazione più alta della conoscenza e saggezza scientifica) credenze che condizioneranno le decisioni e dunque l’azione sul futuro, in un’invadenza sulla complessità che potrebbe non essere sempre positiva. 

Che fare? Smettere di cercare di proiettarci nel futuro? Sarebbe per l’uomo contro natura – e non si salva la natura se non rispettandola. A meno di non professarsi estinzionisti (lo è, forse, chi ha già un piano di fuga) è allora necessario ritrovare un po’ di autostima nell’utilità dell’essere umano in quel processo di auto-gestione che la stessa complessità custodisce in sé. 

Vantaggi e svantaggi dei nostri modelli predittivi

Vanno però identificati senza pregiudizi i vantaggi e gli svantaggi dei nostri strumenti da chiromante, delle tecnologie sociali che mettono insieme scientificità e suggestione (l’Open Technology, ad esempio, riprende anche alcuni elementi delle pratiche sciamaniche). Le premesse o gli obiettivi che ci poniamo sono già di per sé suggestionanti, la catena causa effetto che utilizziamo per tirare i fili del legame tra passato, presente e futuro è la scelta di razionalizzare la complessità e ha tra i suoi rischi quello di dare direzione e forma a ogni decisione perché essa si incastri in un preciso quadro, e in questo senso si può quindi definire  pura suggestione.

Come racconta Matteo Fusco di Beople, autore del libro Modelli di Business Circolari, un esempio di business design finito male è quello dei pozzi ludici di Acornhoek, ideati da Ronnie Stuiver in Sud Africa. Stuiver pensò di sfruttare l’energia cinetica e la curiosità per i pozzi dei bambini per collegare una pompa alla giostra, così da immagazzinare acqua: l’idea sembrava buona, salvo poi che da divertimento l’azione di far girare la giostra si trasformò in necessità, mostrando il confine tra logiche win win e sfruttamento del lavoro minorile. Le donne furono inoltre spinte a rinunciare a una tradizionale competenza fisica come portare le brocche sulla testa per sostituirsi ai figli in un gioco che aveva perso la vocazione (potremmo dire l’energia) ludica da cui l’idea era nata. 

Smontare le sfide per un piano d’azione migliore

All’interno della complessità servono quindi logiche non lineari. “Soprattutto in ambito di sostenibilità, serve una logica circolare: un tipico esempio è quello di passare dall’usa e getta alla logica di servizio. L’accelerazione non deve spaventare se vista in termini di manutenzione invece che di produzione”. Stefano Schiavo di Sharazad, che aiuta le aziende a progettare scegliendo fra modelli di Lean e Design Thinking (a seconda del contesto e della necessità di accelerazione delle soluzioni), cita Simon Sinek e il suo The Golden Circle, in cui si parte dal Why, cioè dall’individuazione della sfida da superare, per passare all’How, cioè ai vincoli che l’organizzazione si pone (a esempio “non vogliamo delocalizzare”) così da giungere al What, ovvero ai piani d’azione. A questo si aggiunge una bussola culturale e la focalizzazione su un’ipotesi: cosa succederebbe se non ci fossi più? 

Se spesso questi strumenti hanno dimostrato la loro efficacia, è anche vero che il Mercato vede le sfide da superare come sempre più intrecciate e quindi meno “smontabili” e osservabili nella loro singola interazione. In un’ottica di sfida olistica ai problemi (secondo i più l’unica percorribile), la tentazione è l’interventismo a monte e a valle del proprio tradizionale confine (con relazioni pericolose tra interessi privati e azioni politiche), in una trascendenza di responsabilità che diventa terreno scivoloso da percorrere.

L’introduzione del ‘nudging’, ovvero l’economia della spinta gentile

A questo fine, spesso si è introdotto il nudging (cioè l’economia della spinta gentile) così da aggiungere nel processo di progettazione dei prodotti anche un comportamento “virtuoso” degli utilizzatori. In questo modo, un elemento morale viene gestito a monte da un gruppo di progettisti e se spesso reca dei vantaggi di semplificazione dei processi cognitivi e di facilitazione verso abitudini positive (apprezzate anche dagli utilizzatori finali del progetto), porta con sé un rischio paternalistico e di abbassamento del pensiero critico, oltre che delle possibilità di non sviluppare capacità di consapevolezza e competenze autonome.

Nel momento in cui “la casa brucia” e si ha fiducia in quadri predittivi provenienti dai dati, il rischio è di non dare il tempo al comportamento individuale di sperimentare quel processo di prove ed errori necessario a costruire una reale consapevolezza. Processo di prove ed errori che gli stessi modelli di progettazione utilizzano per indagare il futuro. Se nei progettisti vince il pregiudizio che l’individuo non sia in grado di compiere scelte autonomamente sostenibili perché guidato dai suoi difetti cognitivi, la tentazione è di sfruttare quei bias, con la conseguenza però di nutrirli invece che di sconfiggerle. 

“L’entropia è il motore della vita”

Per Alessandro Tartaglia, co-fondatore dello studio FF3300 e de La Scuola Open Source, quello che è uscito dall’evento Simposio tenutosi nell’ex Villaggio ENI di Borca di Cadore è l’indicazione di imparare a stare nell’indeterminazione perché è possibile che si manifestino delle discontinuità, che si verifichino delle contaminazioni e dei cortocircuiti che solo il caos consente di attivare. “L’ordine riproduce sé stesso”, spiega Tartaglia, che dà vita a progetti di partecipazione alla ricerca e di educazione a nuovi modi di progettare. “L’entropia è il motore della vita e la sfida è proprio quella di smontare l’ordine mentale delle persone per trovare nuove soluzioni”.

Il tema della sostenibilità è al centro anche di Tradire la Tradizione, laboratorio che si terrà dal 25 al 3 settembre a Sannicandro di Bari, in collaborazione con Butik e Mundi per estrarre dai rituali e dalle performance mitopoietiche dei partecipanti la parte di valore e riattualizzarla con modelli a basso impatto. Il tema delle sagre, che rappresentano un momento di aggregazione transgenerazionale, vuole essere rivisto alla luce del sentimento popolare ma anche colto nelle sue zone grigie dal punto di vista ambientale e di chiusura identitaria. La sacralità di alcuni momenti aggregativi legati al folklore viene però riconosciuta come importante risorsa che spesso accompagna e fa emergere l’abilità a convivere nell’indeterminatezza che emerge da un’auto-organizzazione grassroots. 

La visione prospettica e l’approccio del filosofo Marc Lucyckx Ghisi

Dell’importanza di questa spinta dal basso è convinto Marc Luyckx Ghisi, filosofo che è stato membro della Cellula di Prospettiva Europea della Commissione Delors, un gruppo di saggi che avevano il compito di girare il mondo per estrarre le pratiche di vita e i paradigmi più sostenibili per l’ambiente e per la società, e inoltre membro del Gruppo di consiglieri internazionali di Auroville nell’India del Sud.

Per parlare di visione prospettica, Ghisi riprende una definizione di Carine Dartiguepeyrou: “La prospettiva è il potere di emanciparsi diventando l’attore del proprio destino” e per fare questo le organizzazioni devono utilizzare un metodo di analisi olistica, che il filosofo riconosce in particolare nell’esperienza dell’Università di Lille. Afferma infatti che “Michel Saloff-Coste ha costruito il primo Dipartimento di Prospettiva ed è riuscito a integrarlo in maniera armoniosa all’interno dell’Università. Ritengo il loro approccio l’unico, ad oggi, capace di portare a nuovi paradigmi, che possano recuperare un rapporto non verticistico con la natura”. 

Le distopie tolgono spazio alle utopie, desertificando le immagini di futuro

Ci vorrebbero, secondo alcuni osservatori, più Unità di Previsione Strategica: lo sostiene in particolare Roberto Poli, presidente dell’Associazione Futuristi Italiani, professore di Filosofia della Scienza all’Università di Trento, dove insegna Previsione sociale e coordina il centro di ricerca Social Foresight. Poli è inoltre titolare della Unesco Chair in Anticipatory Systems e membro della World Futures Studies Federation. “C’è una desertificazione delle immagini di futuro, creata anche dalle distopie che hanno tolto spazio alle utopie”, riflette Poli. “Abbiamo oggi strumenti potentissimi che possiamo utilizzare per lavorare con il futuro. L’importante è spezzare la linearità senza togliere valore al passato, rivalutandolo in un circuito passato-futuro-presente”. L’Associazione dei Futuristi Italiani realizza anche laboratori di future literacy cioè di alfabetizzazione di futuro, per le scuole e per le aziende. 

La necessità di creare prospettive e modelli predittivi: come farlo?

Esistono a oggi due grandi schieramenti: chi, come i transumanisti, si ispirano alla Singularity University, che vede nell’AI la porta d’uscita dal problema ambientale e chi invece, come Ghisi, ritiene si stia sbagliando metafisica e che questo condizioni i risultati delle buone aspirazioni, cedendo a un materialismo spinto che non tiene conto di quello che Philippe Guillemant chiama la fisica della coscienza. Definita la necessità di creare (dal micro della vita quotidiana, al macro della politica) prospettive, si avvia allora la discussione sul come farlo.

Il confronto è a volte tra una visione cyberpunk (che oggi ha come derivazione il solar punk) e una basata sulla “causalità futura” riprendendo la tesi di Philippe Guillemant. Bruce Sterling, tra le pagine de La forma del futuro, individua nel 2070 l’orizzonte previsto dalla cybercultura per arrivare a un mondo di Bioti (entità al contempo oggetto e persona). Fino al 2030 saremmo ancora in un’epoca di Utente/Gingillo. Come dice Poli c’è grande differenza tra chi lavora con il futuro e uno scrittore, ed è forse proprio la capacità di rinunciare a scrivere il finale. Sul foglio bianco si alternano chiusure e aperture di possibilità secondo un principio di discontinuità: rivedere il nostro ruolo in questo contesto potrebbe forse fermare il timer dell’estinzione. 

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