“L’invidia? L’ho subita, ma l’ho anche provata. Quando ero giovane ero geloso del talento di grandi maestri come Martin Scorsese, Orson Welles e Alfred Hitchcock. Sapevo di essere bravo nel raccontare le storie, ma mi preoccupavo di non avere uno stile come il loro. Temevo di non raggiungere mai il loro livello, anche perché avevano molte più risorse di me, dagli attori più famosi ai mezzi finanziari. Io mi sentivo fuori ‘dal giro’ e che avrei dovuto lavorare molto duro per sfondare. Eppure, non ho mollato, anche quando le insicurezze mi attanagliavano”, confessa Steven Spielberg, parlando della sua carriera e di quello che lo ha portato al successo.
Alla fine trovò una soluzione, grazie al suo ingegno: “Mi dedicai alle grandi avventure, lasciandomi ispirare da registi come David Lean e dai suoi film, Il ponte sul fiume Kwai e, soprattutto, Lawrence d’Arabia, ancora per me uno dei maggiori capolavori di tutti i tempi. Se non riuscite a conformarvi col sistema, cercate la vostra via”. Spielberg, da sempre un innovatore, lanciò l’era della nuova Hollywood trasformandosi nel pioniere del blockbuster contemporaneo.
Adesso, per lui questo momento storico è un altro periodo di riflessione su tutta la sua esistenza, come sul nuovo mondo che si sta sviluppando davanti ai suoi occhi. “Come spesso ho fatto, ho deciso di guardare al passato per pensare a come sarà il futuro…” commenta. E, al recente Toronto Film Festival ha presentato The Fabelmans (in uscita in Italia il 22 dicembre), un film che racconta la sua vita e che si è mostrato già campione d’incassi, vincendo il premio più ambito, il Toronto Audience Award. Nel cast ci sono tra gli altri Michelle Williams, Paul Dano e Seth Rogen.
Spielberg è uno dei registi più grandi al mondo, considerato una dei maggiori maestri del genere cinematografico, eppure conserva un’umiltà e una schiettezza disarmanti. Sorride, quando glielo si fa presente e non teme mai di essere diretto, di mettersi “a nudo”. “Bisogna saper valutare le proprie potenzialità e la propria forza, e focalizzare su quelle. Forse sono proprio queste le armi vincenti che mi spronano a mettermi sempre in gioco, a non mollare mai. In fondo sono convinto sia così che si ottengano i risultati migliori in ogni professione,” confida.
Vincitore di tre premi Oscar, Spielberg ha realizzato film che hanno incassato più di 10 miliardi di dollari in tutto il mondo. Nel 1994 ha co-fondato la casa di produzione DreamWorks, insieme a Jeffrey Katzenberg e David Geffen. E, da allora, la sua produzione è incrementata, portandolo a realizzare tutti i progetti a suo modo. Nel 1980, con i registi Kathleen Kennedy e Frank Marschall, ha co-fondato anche l’Amblin Entertainment, Inc. Inoltre ha instaurato una proficua collaborazione anche con i parchi a tema degli Universal Studios.
Al momento è tra i registi più ricchi al mondo (con guadagni mondiali al box office, stimati a ottobre 2022, attorno a 10.640.004,408 di dollari). Tra i suoi maggiori successi ci sono film originali, e straordinari, come Lo squalo, Jurassic Park, Incontri ravvicinati del Terzo Tipo, E.T., I predatori dell’arca perduta e il seguito Indiana Jones e il tempio maledetto, Il colore viola, Schindler’s List, Minority Report, Catch Me If You Can, Ready Player One, che esplora il mondo della realtà virtuale, e il remake del musical West Side Story.
Ha saputo destreggiarsi, come nessun altro regista al mondo, tra pellicole per famiglie, film d’azione, drammi, e, perfino, commedie, seppur sempre con una certa amara riflessione che lo caratterizza, come una predilezione per i buoni sentimenti, tanto amati dal grande pubblico. Ma quel è il segreto del successo per lui? “Saper stupire sempre con qualcosa di nuovo, inaspettato, straordinario, creare quell’attimo fuggente che spinge i bambini come gli adulti a sognare, a credere che tutto sia possibile” ammette.
Come si realizza un film campione d’incassi?
Penso che tutto si basi sull’empatia, sul sapersi relazione agli altri ed essere in grado di raggiungere il loro cuore. Quando le persone si identificano con le tue emozioni e le provano anche loro, è allora che nasce la magia. Non bisogna temere di essere perfezionisti, come di essere competitivi, per ottenere un buon risultato nella propria carriera.
The Fabelmans è un film molto particolare che rivela anche i suoi segreti… Quando ha deciso che lo doveva fare?
È vero che sono stato spesso molto riservato, ma durante il periodo della pandemia ho riflettuto… Sono convinto che tutti siamo cambiati in qualche modo, come è mutato il modo di lavorare, non solo nell’industria cinematografica, ma in tutti i settori. E, con questo principio ho compreso quanto fosse importante raccontare la mia storia, i miei traumi, le mie difficoltà, oltre che i miei successi che conoscono tutti.
Ma perché proprio adesso?
Ho pensato che fosse un modo per ispirare anche altri nella mia professione e, in genere, nella vita, a non mollare se credono in un sogno. Le numerose morti causate dal corona virus mi hanno fatto pensare che bisognava cogliere il momento, per spingere la gente a continuare a essere positiva… Mi sono reso conto che questa tragedia avrebbe, per sempre, avuto un segno sull’umanità. Anche chi non lo ammetterà mai, è stato traumatizzato da questo periodo. Così ho deciso di raccontare la mia vicenda, ma allo stesso modo quella delle mie tre sorelle, dei miei genitori che, purtroppo non ci sono più,… Non è stato facile, perché tutto era molto personale per me, ma per crescere bisogna anche avere il coraggio di confrontarsi. E, per me, non si finisce mai di imparare. Così, in questo caso, per la prima volta mi sono trovato a scrivere con lo sceneggiatore, Tony Kushner, la trama per Zoom…
Suo padre era un ingegnere e un appassionato di computer, sua madre era una pianista, come decise di divenire regista?
Di certo mio padre mi ha fatto appassionare alla tecnologia, come mia madre ha stimolato la mia creatività. Sono cresciuto tra la scienza e l’arte. Nel film racconto la mia infanzia e la mia adolescenza, il bullismo e l’antisemitismo che subii, ma soprattutto come fossi ossessionato fin da bambino alla cinematografia. A soli sette anni girai il mio primo film… Mi affascinava creare immagini che fossero toccanti, come a cercare ogni tipo di strumento e apparecchiatura per realizzarle… Ma non fu facile…
Quali furono le maggiori difficoltà?
I miei nonni paterni erano ebrei originari dell’Ucraina e si trasferirono in Ohio. I genitori di mia madre erano anche ebrei. Sono cresciuto con le storie dei nostri parenti morti durante l’Olocausto. Nacqui a Cincinnati, anche se crebbi, dopo un breve periodo in New Jersey per il lavoro di mio padre, a Phoenix in Arizona. Non era molto integrato nella scuola, ero spesso l’unico ebreo, e un ragazzino concentrato già sul lavoro, a differenza della maggior parte dei miei coetanei… Ma quello che mi faceva sentire davvero bene era girare in 8 mm. Facevo film con i miei familiari, alcuni amici,… A 13 anni girai un film di guerra con i miei compagni di scuola, che venne premiato… Raccontare storie era la mia passione e la mia missione. Nel frattempo i miei genitori divorziarono, e io finii a Los Angeles con mio padre, mentre le mie tre sorelle a Saratoga, in Florida, con mia madre… Ma, nonostante lo sgomento e il dolore, continuai a girare e a girare pellicole, a sperimentare, fino a che il successo con arrivò con Duel, nel 1971, il primo film che mi diede visibilità…
Si fece forza, quindi, puntando sulla sua grande determinazione e sul duro lavoro.
Mi interessava più lavorare che studiare. Sapevo che volevo essere un regista e ci tenevo a imparare “sul campo”, con l’esperienza diretta. E, poi, sono sempre stato testardo. Anche quando la gente non credeva alle mie idee, io li sapevo convincere e andavo avanti seguendo il mio progetto originario. Anzi, il fatto che nessuno credesse in me, mi dava ancora più coraggio per dimostrare loro il contrario. Alla fine, il lavoro mi serviva come una terapia per rielaborare anche tutti i miei traumi. Ne avevo bisogno come dell’aria che respiravo. Nei miei film mi ritrovai a esplorare il tema del conflitto tra familiari, della mancanza di comunicazione e connessione, mentre sentirmi un “alieno” a scuola mi spronò a esplorare il mondo extraterrestre… Dico sempre di non sentirsi mai male, perché si è diversi: questa particolarità può portare a farsi distinguere. In fondo, quello che è diverso è anche molto speciale.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .