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Arrestato Matteo Messina Denaro: gli affari e i legami nell’imprenditoria del numero uno di Cosa Nostra

La vecchia Cosa Nostra è crollata: il boss Matteo Messina Denaro è stato arrestato questa mattina a Palermo.

Diventato il numero uno di Cosa Nostra in seguito all’arresto prima di Totò Riina e poi di Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro era ricercato dal 1993 per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro. Dal 29 giugno 1994 erano state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali.

L’arresto nella clinica privata

Secondo quanto riferito da fonti interne, Matteo Messina Denaro è stato arrestato a Palermo in un bar nei pressi della clinica privata ‘La Maddalena’, dove si trovava – sotto falso nome – per delle sedute di chemioterapia in seguito a un intervento chirurgico per tumore al colon.

Condannato all’ergastolo dalla Corte D’Assise di Caltanissetta per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Denaro è stato responsabile di altri e ingenti crimini. Uno su tutti: il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo che, dopo 779 giorni di prigionia, venne strangolato e poi sciolto nell’acido.

Chi era Matteo Messina Denaro

Nato il 26 aprile del 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani, è figlio di Francesco Messina Denaro, fratello di Patrizia Messina Denaro, con cui svolgeva l’attività di fattore presso le tenute agricole della famiglia D’Alì Staiti, già proprietari della Banca Sicula di Trapani, che era il più importante istituto bancario privato siciliano, e delle saline di Trapani.

Soprannominato ‘Diabolic’ e ‘U siccu’, Denaro era presente nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità del ministero dell’Interno. Inoltre, già nel 2011, era stato inserito nella lista dei 10 latitanti più ricercati al mondo di Forbes, e in una puntata della serie tv Netflix World’s Most Wanted. Di lui si persero le tracce nell’estate del 1993, quando, andato in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, si rese irreperibile. Sottoponendosi, in seguito, a un intervento di chirurgia plastica al volto per non essere riconoscibile.

Mafia e ‘imprenditoria’

Partendo dal presupposto che riusciva a finanziare la sua latitanza con il gioco d’azzardo, praticato in Sicilia e a Malta, grazie all’aiuto dell’imprenditore di Castelvetrano Carlo Cattaneo, Denaro aveva anche alcuni legami con il Venezuela, dove alcune persone gestivano i suoi interessi, sono diverse le operazioni imprenditoriali e criminali indirizzate a Matteo Messina Denaro.

Ne è un esempio la scoperta, a marzo del 2019, di una loggia massonica a Castelvetrano, che porta all’arresto di Antonio Messina, avvocato radiato dall’albo che teneva i contatti con la criminalità siciliana radicata nel milanese nell’ambito di un traffico di hashish organizzato fra la Spagna, Milano e la Sicilia.

Un altro imprenditore con cui aveva legami era Giuseppe Grigoli, condannato nel 2011 dodici anni di carcere per riciclaggio di denaro sporco. Proprietario dei supermercati Despar nella Sicilia occidentale, Grigoli è stato accusato di essere favoreggiatore e prestanome di Messina Denaro, che investiva denaro sporco nei suoi supermercati. Per avere un idea del giro d’affari, nel settembre 2013 il tribunale di Trapani ha disposto la confisca di società, terreni e beni immobiliari di proprietà di Grigoli dal valore di 700 milioni di euro.

Nel 2010, la Direzione investigativa antimafia di Palermo mise sotto sequestro numerose società e beni immobili dal valore complessivo di 1,5 miliardi di euro, le quali appartenevano all’imprenditore alcamese Vito Nicastri, ritenuto vicino a Messina Denaro: tra il 2002 e il 2006 Nicastri aveva ottenuto il più alto numero di concessioni in Sicilia per costruire parchi eolici e secondo gli inquirenti il suo patrimonio sarebbe frutto del reinvestimento di denaro sporco.

Andando ancora avanti, a marzo 2012 la Dia di Trapani chiese il sequestro del patrimonio, pari a oltre 1,5 miliardi di euro di un altro imprenditore vicino a Messina Denaro: l’imprenditore Carmelo Patti, proprietario della Valtur. Mentre, a dicembre – sempre dello stesso – un’indagine coordinata dalla Dda di Palermo e condotta dai Carabinieri portò all’arresto di sei persone, tra cui l’imprenditore Salvatore Angelo, il quale era accusato di investire il denaro sporco di Messina Denaro nella costruzione di parchi eolici fra Palermo, Trapani, Agrigento e Catania, destinando una percentuale degli affari al latitante.

In seguito, oltre al sequestro di 50 milioni di euro in immobili e quote di società operanti nel settore della vendita di abbigliamento e preziosi intestati all’imprenditore palermitano Mario Niceta – altro presunto prestanome di Denaro – alcuni membri di una cosca vicina al boss sono stati arrestati per aver inviato in Sicilia una somma di denaro guadagnata con l’allestimento di alcuni stand dell’Expo di Milano del 2015. Dimostrando che, ormai, la mafia era più interessata agli affari – anche quelli più importanti per tutto il paese – che alle stragi.

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