Alberto Nagel Mediobanca
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Viaggio dentro Mediobanca, la banca d’affari dei miliardari italiani

Sin dalla sua fondazione, nel 1946, Mediobanca è stata al centro dell’economia italiana. Nell’ultimo decennio ha intrattenuto relazioni d’affari con almeno 10 miliardari italiani legati a società come Ferrari e Moncler. Ora sta celebrando il suo successo nell’attività di gestione patrimoniale.

Nell’ultimo decennio la banca d’affari milanese Mediobanca ha contribuito alla quotazione in Borsa di alcune delle società italiane più prestigiose: dalla Ferrari ai marchi di lusso nel settore della moda Brunello Cucinelli, Ferragamo e Moncler. Lo scorso anno ha assistito le uniche due società italiane che si sono quotate a Milano con una valutazione superiore al miliardo di dollari: il produttore di schede per microprocessori Technoprobe e il produttore di elettrodi ad alte prestazioni Industrie De Nora, in offerte pubbliche che hanno consacrato due nuovi miliardari.

Inoltre, a novembre ha assistito la famiglia miliardaria Benetton e Blackstone nellell’operazione di acquisizione e delisting della holding delle infrastruttura Atlantia per un valore di 56 miliardi di dollari (debito incluso), la più grande operazione di privatizzazione dell’anno. Persino più grande dell’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk per 44 miliardi di dollari.

Complessivamente, Forbes stima che Mediobanca abbia intrattenuto nell’ultimo decennio rapporti di affari con almeno dieci miliardari italiani, occupandosi delle loro Ipo o assistendoli in fusioni e acquisizioni.

I numeri di Mediobanca

Alcune di queste operazioni hanno consentito alla banca di conseguire un utile netto record di 595 milioni di dollari su 1,8 miliardi di dollari di ricavi nell’ultimo semestre del 2022, con un aumento del 6% e del 14%, rispettivamente, rispetto allo stesso periodo del 2021. Un quarto dei ricavi è derivato dalla divisione di gestione patrimoniale della banca, che ha raccolto 3,9 miliardi di dollari in nuovi capitali netti, o nuovi capitali dei clienti. Un’area che è cresciuta grazie ai rapporti di Mediobanca con gli imprenditori che hanno quotato in Borsa le loro società o le hanno vendute a investitori privati.

Con una capitalizzazione di mercato di 9 miliardi di dollari, Mediobanca, fondata nel 1946, è un pesce piccolo rispetto a colossi americani come JPMorgan Chase (che ha una capitalizzazione di mercato di 415 miliardi di dollari) e Goldman Sachs (117 miliardi di dollari), ma, quando si tratta del mercato delle quotazioni, delle fusioni e delle acquisizioni, sta superando i propri limiti. Nel gennaio 2021 è stata tra i consulenti della casa automobilistica francese Psa Group, meglio conosciuta come Peugeot, per la sua fusione da 52 miliardi di dollari con Fiat Chrysler, che ha portato alla creazione del nuovo conglomerato Stellantis. A settembre è stata invece l’advisor esclusivo di Porsche per la sua Ipo da 77 miliardi di dollari alla Borsa di Francoforte, la più grande offerta pubblica della storia europea.

“Mediobanca è un modello unico nel settore dell’investment banking privato”, ha dichiarato Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, nell’ultima conferenza stampa del 9 febbraio. “Realizziamo operazioni di Ipo e m&a e continuiamo a crescere in termini di nuovi capitali netti”.

Azionisti miliardari

Tra gli azionisti di Mediobanca figurano alcune delle persone più ricche d’Italia. Delfin, la holding del defunto magnate degli occhiali Leonardo Del Vecchio, morto nel luglio 2022, detiene il 19,8% della banca, mentre il miliardario del cemento e dell’editoria Francesco Gaetano Caltagirone possiede il 5,6%. Silvio Berlusconi ha detenuto una partecipazione del 2% fino alla sua cessione nel maggio 2021 ed è ancora un investitore indiretto tramite la sua partecipazione del 30,1% nella banca Mediolanum, che detiene a sua volta il 3,4% di Mediobanca. La famiglia miliardaria Doris possiede il 40,4% di Mediolanum.

Questo fenomeno non è sempre stato positivo: tra il 2019 e il 2022 Del Vecchio e Caltagirone hanno gradualmente acquistato ulteriori azioni di Mediobanca e hanno criticato quella che ritenevano una dipendenza della banca in termini di utili dalla sua partecipazione del 13% in Generali, la più grande compagnia assicurativa italiana, in cui Mediobanca, Delfin e Caltagirone detengono quote consistenti. Lo scorso anno i due magnati hanno organizzato una campagna da azionisti attivisti, opponendosi alla proposta di Mediobanca di riconfermare l’amministratore delegato di Generali. Il piano è fallito quando, ad aprile, il 55,9% degli azionisti di Generali ha votato a favore del consiglio uscente, mentre solo il 41,7% ha appoggiato la proposta guidata da Caltagirone.

La fine del caso Generali

Francesco Milleri, presidente di Delfin dopo la morte di Del Vecchio, sembra aver messo fine alla faida il mese scorso. “Delfin rimane un investitore di lungo termine in Mediobanca”, ha dichiarato in un’intervista del 24 febbraio al Corriere della Sera. “I nostri investimenti in Mediobanca e Generali sono stati eccellenti, registrando un aumento nella redditività e dividendi generosi”. Un portavoce di Mediobanca ha dichiarato a Forbes che né Caltagirone né Delfin hanno acquistato ulteriori azioni o rilasciato dichiarazioni su Mediobanca e Generali dopo la riunione del consiglio di amministrazione di Generali dell’aprile 2022.

Tuttavia, l’influenza di costoro è limitata. Più di due terzi degli azionisti di Mediobanca sono investitori retail e istituzionali: Il 16% proviene dagli Stati Uniti, un nuovo mercato di interesse per la banca, che ha concluso un roadshow a fine febbraio. Nel 2021 la banca ha lanciato un’iniziativa di co-investimento con il dipartimento di private equity del gestore patrimoniale BlackRock, offrendo l’accesso agli investimenti in società private ai suoi clienti ad altissimo valore aggiunto, cioè soggetti che dispongono di 30 milioni di dollari o più da investire.

La storia di Mediobanca

Ciò è in netto contrasto con quanto accadeva nei primi anni di Mediobanca. La banca è stata fondata nel 1946, lo stesso anno in cui l’Italia è diventata una repubblica e ha iniziato la sua ripresa dalla seconda guerra mondiale. I fondatori, Enrico Cuccia e Raffaele Mattioli, avevano entrambi lavorato alla Banca Commerciale Italiana di proprietà dello Stato, una succursale della holding italiana di diritto pubblico fondata nel 1933 per sostenere le imprese del Paese nella ripresa dalla Grande Depressione. Il loro obiettivo era contribuire alla ricostruzione dell’economia italiana e fornire finanziamenti alle sue maggiori società, gravate da anni di guerra.

“Nel secondo dopoguerra si avvertì il bisogno di stimolare la ricostruzione e di favorire l’evoluzione del sistema industriale italiano, collegandolo ai mercati finanziari”, ha spiegato Nagel a Forbes. “I fondatori di Mediobanca pensarono a un’azienda che potesse fungere da moderna banca d’affari e d’investimento, con una profonda conoscenza delle esigenze dei settori industriali del Paese e la capacità di finanziarne la crescita con prestiti, guidarli nella raccolta di capitali sul mercato e fornire loro consulenza in fusioni e acquisizioni”.

Le grandi operazioni

Mediobanca è stata quotata in Borsa nel 1956 e quattro anni dopo ha lanciato un programma di prestiti denominato Compass, diventando la prima banca a offrire prestiti personali ai consumatori italiani. Ha inoltre svolto un ruolo centrale nella ripresa economica e nell’epoca d’oro della crescita italiana del dopoguerra: Cuccia e Mediobanca hanno contribuito a finanziare la fusione del 1970 tra il colosso italiano della produzione di pneumatici Pirelli e l’irlandese Dunlop e il salvataggio della Fiat nel 1972. La capacità di Mediobanca di offrire finanziamenti a tassi favorevoli e le sue partecipazioni incrociate in alcuni dei più grandi gruppi industriali italiani hanno assicurato per decenni alla banca una notevole influenza sull’economia italiana.

La situazione è cambiata nel 1982, quando Cuccia si è dimesso dalla carica di amministratore delegato, e nel 1988, quando Mediobanca – che in precedenza era controllata in maggioranza dallo Stato italiano – è stata privatizzata, tramite un accordo che ha visto tre banche nazionali italiane ridurre la loro partecipazione complessiva al 25%. Negli anni ‘90, Mediobanca ha contribuito alla privatizzazione di alcune delle maggiori società a partecipazione statale italiane, tra cui Telecom Italia ed Enel.

L’era Nagel

Un altro punto di svolta è arrivato quando Nagel ha assunto la carica di amministratore delegato, nel 2003, tre anni dopo la morte di Cuccia. “Una delle idee di Nagel era quella di trasformare Mediobanca da un modello di partecipazioni incrociate a una banca specializzata, le cui tre divisioni – corporate e investment banking, wealth management e consumer finance – lavorassero in sinergia tra loro”, ha dichiarato un portavoce di Mediobanca a Forbes.

Mediobanca ha ampliato le proprie attività nel 2004, aprendo uffici a Parigi e poi a Mosca, Francoforte, Madrid, New York e Londra. Nel 2008 ha fatto il suo ingresso nel settore del retail banking digitale con il lancio di CheBanca e nel 2016 ha creato un’unità di private banking per gestire i patrimoni delle famiglie e degli imprenditori più ricchi d’Italia.

Presente e futuro

Tuttavia, il mercato italiano può sostenere Mediobanca solo fino a un certo punto: il numero di operazioni di quotazione è sceso a 32 (-35%) lo scorso anno, dopo il record di 49 registrato nel 2021. La banca prevede inoltre un rallentamento nelle fusioni e acquisizioni per il resto del 2023, rendendo ancora più importante mantenere clienti chiave come Porsche e proseguire l’espansione all’estero.

L’anno scorso è trapelata la notizia che Lamborghini e Prada stessero valutando la possibilità di quotarsi nelle Borse europee (Prada è quotata a Hong Kong). Con i suoi precedenti nei mercati delle auto sportive e dell’alta moda, Mediobanca potrebbe competere con i rivali europei e americani per accaparrarsi una fetta di questi progetti, se mai dovessero realizzarsi.

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