Le sue lettere annuali sono un appuntamento fisso per investitori e dirigenti d’azienda. L’ultima, all’indomani del più grande crac bancario statunitense degli ultimi 15 anni, è molto di più. Larry Fink, l’amministratore delegato di BlackRock, ha pubblicato un lungo messaggio in cui ha fotografato lo stato del sistema finanziario americano dopo il caso della Silicon Valley Bank. Un fallimento che ha già contagiato la Signature Bank e, secondo Fink, potrebbe essere il primo tra tanti.
La lettera di Larry Fink
Fink, che ha un patrimonio di un miliardo di dollari e con la sua società gestisce 8.600 miliardi, teme che il sistema finanziario vada incontro a una “crisi lenta”. L’improvviso aumento dei tassi di interesse sancito dalla Federal Reserve è “il prezzo da pagare per decenni di soldi facili” ed è stato “la prima tessera del domino”. Il crac di Svb ha rappresentato la seconda. “Non sappiamo ancora se le conseguenze dei soldi facili e dei cambiamenti a livello regolatorio avranno ripercussioni su tutto il sistema delle banche regionali, con ulteriori sequestri e chiusure”.
Questa settimana Michael Burry, l’investitore che 15 anni fa aveva pronosticato il crollo del mercato immobiliare statunitense, diventato celebre grazie al film La grande scommessa, aveva paragonato la situazione di oggi a quelle del 2000 e del 2008: “È sempre la stessa storia: gente piena di arroganza e avidità prende rischi stupidi e fallisce”. Fink guarda invece alla cosiddetta crisi dei savings and loan scoppiata durante l’amministrazione Reagan. Un fenomeno che, tra il 1986 e il 1995, portò alla chiusura di oltre 1.000 delle 3.200 casse di risparmio statunitensi.
“Inflazione al 3,5-4% nei prossimi anni”
In un altro passaggio della lettera, Fink ha spiegato che il caso Silicon Valley Bank si aggiunge ad altri fattori che minacciano il sistema finanziario, tra cui le tensioni geopolitiche. “I governi stanno giocando un ruolo sempre più importante nel decidere dove i prodotti possono essere acquistati e dove bisogna destinare i capitali, nel tentativo di mantenere la produzione di componenti critici all’interno dei loro paesi. Ciò significa che i capitali non saranno sempre allocati ai business che forniscono i migliori ritorni”.
Il risultato potrebbe essere “un miglioramento della sicurezza nazionale, con catene di approvvigionamento più resilienti e sicure”. A breve termine, però, l’inflazione potrebbe “persistere e diventare più difficile da addomesticare per le banche centrali”, tanto da restare “vicina al 3,5 o al 4% per i prossimi anni”. Molto al di sopra, quindi, del 2% a cui puntano le banche centrali.
187 miliardi di dollari in fumo
La lettera di Fink è arrivata mentre i mercati finanziari proseguono la caduta degli ultimi giorni. In particolare, tre banche regionali americane come PacWest, Comerica e First Republic hanno perso più dell’8% nelle contrattazioni pre-market. Comerica e First Republic sono tra i sei istituti di credito messi sotto osservazione dall’agenzia di rating Moody’s in attesa di un possibile declassamento, assieme a Western Alliance, Intrust Financial, Umb Financial e Zions.
Prima della leggera ripresa di ieri, le dieci maggiore banche statunitensi avevano perso 187 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato dall’inizio del caso Svb.
Le banche europee
Il quadro è simile sui mercati europei. Alle 15 UniCredit e Intesa Sanpaolo perdevano più del 6%, Bnp Paribas e Deutsche Bank più dell’8%.
Il caso più grave è quello di Credit Suisse, che alla stessa ora perdeva addirittura il 26%. A innescare il crollo è stato l’annuncio della principale azionista, la Saudi National Bank, di non volere ricapitalizzare l’istituto. PwC, revisore dei conti di Cs, ha fatto sapere di avere individuato “debolezze sostanziali” nei suoi controlli sulle comunicazioni finanziarie.
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