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Adam Driver è Enzo Ferrari al cinema: “Era un imprenditore calmo, ma dalle grandi passioni”

È famoso per la sua serietà e la sua professionalità, sempre affidabile e con un’incredibile dedizione al suo lavoro, con un’etica impeccabile. Adam Driver interpreta Enzo Ferrari nel nuovo film Ferrari, presentato al Festival del cinema di New York e diretto dal grande regista Michael Mann, che vanta tra i suoi capolavori Collateral, The Last of the Mohicans, Ali, Public Enemies.

Adam Driver nei ruoli di grandi imprenditori

“Il regista è stato di certo il motivo maggiore per cui ho deciso di accettare questo ruolo. Sapevo che avrebbe realizzato qualcosa di grandioso perché è molto meticoloso nel suo lavoro, fa un’incredibile ricerca, e gira le riprese fino alla perfezione. Ci tenevo molto a collaborare con lui”, confessa.

Ma Adam non è nuovo a interpretare ruoli di grandi imprenditori, perché ha recitato anche Maurizio Gucci in House of Gucci. Nato a San Diego, in California, è cresciuto nel Midwest americano, nell’Indiana. Ammette di avere avuto uno spirito curioso e ribelle da ragazzo e di avere accettato svariati lavori, tra cui il venditore di elettrodomestici e il telemarketer, prima di recitare.

Fece domanda alla prestigiosa Julliard School, ma non venne accettato. In ogni caso questo non gli impedì di sfondare, alternando ruoli in film indipendenti come Paterson, Hungry Hearts e Marriage Story a grandi blockbuster, come la parte di Kylo Ren nella trilogia dei film di Star Wars, la saga di Jurassic Park, nel film 65, o la popolarissima serie tv Girls.

Inoltre, sarà anche nel prossimo film di Francis Ford Coppola, il science fiction Megalopolis. Adam ha un valore commerciale di 16 milioni di dollari nella sua professione d’attore, ma quello che conta per lui è avere un impatto sulla società e lo dimostra anche con la sua attività da filantropo, oltre che per il suo talento.

È molto attivo perfino nel campo pubblicitario, come testimonial per Burberry, per il profumo Hero, per Squarespace, durante il Super Bowl 2023, e altri brand. Abbiamo parlato con lui della sua interpretazione di Enzo Ferrari, che rappresenta in un periodo duro della storia del grande imprenditore italiano.

È l’estate del 1957 e Ferrari sta rischiando di fallire con la sua azienda. I suoi piloti stanno perdendo e rischiando la vita. Tra questi c’è anche Piero Taruffi, il pilota di Formula Uno che vincerà la Mille Miglia del 1957 per la Scuderia Ferrari ed è interpretato dall’attore Patrick Dempsey, noto per la serie tv Grey’s Anatomy. Ferrari ha perso un figlio ed è in crisi con a moglie, impersonata da Penélope Cruz, la quale non sa che il marito ha avuto un altro figlio con l’amante Lina, l’attrice Shailene Woodley. 

Come è stato interpretare Enzo Ferrari?

Un’esperienza molto interessante. Mi piace molto come in superficie fosse una persona molto equilibrata e calma, ma che fosse capace, in realtà, di grandi passioni.

Come ha collaborato con il regista Michael Mann? 

Michael aveva fatto ricerca e pensato a questo film da diversi anni ormai: aveva bene in mente quello che voleva. Ho seguito la sceneggiatura quindi ho cercato di dare maggior fede possibile al mio personaggio, sia nella trasformazione fisica che ho avuto sia in quella personale, perché ogni personaggio che interpreto mi lascia qualcosa.

Ed Enzo era di certo un grande uomo e un incredibile imprenditore, capace di rischiare e di cambiare il mondo. Michael ha da molti anni una grande amicizia con Piero Ferrari, il figlio di Enzo, e si è lasciato consigliare da lui su come raccontare alcuni dei momenti della vita personale di suo padre per curare i dettagli più intimi. 

È vero che sul set le hanno impedito di guidare?

Sì, per una questione di assicurazione e per il fatto che i produttori temevano per la mia sicurezza. Patrick Dempsey ha potuto guidare, ma è un pilota automobilista professionista anche nella vita vera (ha la sua squadra chiamata Dempsey-Proton e ha corso in svariate competizioni tra cui l’iconica 24 Hours of Le Mans, ndr).

Comunque abbiamo fatto diverse prove prima delle riprese, nella pre-produzione, per essere certi di garantire autenticità al film e questo mi ha dato una chiara idea della pericolosità della guida. Inoltre abbiamo visitato la fabbrica a Maranello presso Modena ed è stata un’esperienza incredibile.

Mi ha colpito vedere come la luce sia diversa a Modena rispetto a Los Angeles e altri luoghi. Forse questo ha ispirato Enzo nella scelta dei colori accessi per le sue automobili. E poi Modena e Bologna sono luoghi bellissimi, il calore della gente è meraviglioso. 

Avete lavorato con modelli vintage delle automobili Ferrari, come è stato?

Mi sono reso conto di quanto le cinture di sicurezza siano importanti. Allora i piloti rischiavano moltissimo perché bastava girare nel modo sbagliato per morire. Le automobili allora non avevano cinture di sicurezza: pare fosse meglio essere buttati fuori dal veicolo che rimanere intrappolati. 

Ha recitato il ruolo di due grandi imprenditori italiani: Gucci e Ferrari. Si sente in qualche modo legato all’Italia?

Amo l’Italia e sono sicuramente un grande fan del cibo italiano. In passato ho lavorato anche con il regista italiano Saverio Costanzo e Alba Rohrwacher nel film Hungry Hearts. Di certo sono affascinato dal retaggio culturale e dalla storia italiana.

In quanto ai ruoli di Gucci e Ferrari, per entrambi ho vestito abiti stupendi e guidato bellissime macchine quindi mi ritengo molto fortunato ma per me sono le sfaccettature umane che contano. Per me recitare è un’indagine nella natura umana.

Entrambi gli imprenditori erano soprattutto uomini, con le loro debolezze, insicurezze e fragilità. Esplorare la loro vera natura era quello a cui tenevo maggiormente.

In Ferrari, Michael Mann ha scelto un bravissimo direttore della fotografia, Erik Messerschmidt, che ha contribuito a creare un’atmosfera con la luce simile a certi quadri di Caravaggio per rispecchiare ancora di più quel chiaroscuro presente nell’anima del protagonista. Il film è anche tratto dal libro Enzo Ferrari – The Man and the Machine di Brock Yates, del 1991. 

Lei ha sempre dimostrato una profonda dedizione al suo lavoro. La prima volta non fu accettato nella famosa scuola d’arte Julliard a New York, ma persistette e la seconda volta la presero.

In questa scuola ho imparato a calarmi completamente nei miei personaggi e a restarci fino alla fine, ma venni presi solo dopo il mio servizio militare.

Ci volle un po’ per adattarmi: era un mondo totalmente diverso da quello militare da cui venivo. Ricordo che correvo per ore per andare a lezione e questo sembrava davvero molto strano a tutti soprattutto quando poi avevamo ulteriori lezioni di educazione fisica. Ma per me era puro allenamento e mi ha sempre aiutato a chiarire la mente. 

Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre a New York decise infatti di arruolarsi nell’United States Marine Corps. Ebbe un incidente fisico e tornò alla recitazione solo dopo che fu dimesso dall’esercito.

Volevo continuare a fare qualcosa in cui credevo. Ho sempre considerato la recitazione una missione, proprio come i miei doveri militari. In entrambi i casi non si tratta di un viaggio individuale, ma di un lavoro di team, in cui tutti contribuiscono e devono essere presenti.

Da questo ho sviluppato l’idea che il teatro possa allo stesso modo aiutare a salvare vite, grazie alla sua forza purificatrice e al suo potere di comunicazione. Nella mia esistenza ho appreso quanto la comunicazione sia fondamentale per l’essere umano, per mantenere un equilibrio mentale. I blocchi comunicativi possono portare alla distruzione di un individuo. La recitazione aiuta di certo a sbloccare le proprie emozioni. 

In un gruppo teatrale ha conosciuto anche sua moglie, con cui ha fondato Arts in the Armed Forces, una no profit che porta il teatro nelle forze armate negli Stati Uniti e nel mondo. 

Questa tradizione risale all’Antica Grecia, perché Eschilo e Sofocle erano anche dei combattenti e scrivevano sceneggiature teatrali che mettevano in scena per gli altri soldati, spingendoli a recitare. Allo stesso modo speriamo di aiutare i soldati a superare momenti difficili e a confrontarsi meglio con se stessi e la realtà del mondo. 

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