Articolo tratto dal numero di gennaio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
“This time for Africa”, cantava Shakira nel 2010 in occasione dei Mondiali di calcio in Sudafrica. La prima edizione disputata in Africa aveva fatto sperare nel riscatto di tutto il continente, a partire dal paese di Nelson Mandela. Non è andata così. A quasi 30 anni dalle prime elezioni democratiche del 27 aprile 1994, il Sudafrica si trova in uno dei periodi più complicati della sua storia. Dal 2010 il Pil è cresciuto mediamente dell’1,4% all’anno e l’Ocse stima per il 2023 un aumento dello 0,3%. Il reddito medio dei sudafricani è sceso al livello del 1994 e la disoccupazione, secondo il Fondo Monetario Internazionale, ha raggiunto il 34,7%. La crescita asfittica, unita alla disoccupazione, ha aumentato le diseguaglianze, portando il coefficiente di Gini a 0,63, il più alto al mondo. Conseguenza diretta è l’aumento drammatico della criminalità, con 47 omicidi ogni 100mila abitanti (sei volte maggiore di quello degli Stati Uniti). Secondo un rapporto recente della Banca Mondiale, questa insicurezza costa al Sudafrica quasi il 10% del Pil.
La politica dell’equidistanza
Anche se in difficoltà, il Sudafrica rimane la seconda economia del continente, dopo la Nigeria, ed è un paese molto ricco di materie prime e terre rare. Oltre a essere il primo produttore mondiale di platino e di manganese, detiene le più grandi riserve globali di oro: circa 36mila tonnellate, il 35% del totale di quelle conosciute. La sua centralità nello scacchiere geopolitico mondiale è testimoniata dalle visite, in appena cinque giorni nel gennaio 2023, dell’alto rappresentante Ue Josep Borrell, del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e del segretario del Tesoro statunitense Janet Yellen.
La politica estera di Pretoria dal 1994 a oggi è stata sempre caratterizzata da un’equidistanza tra Stati Uniti e Russia (e ora Cina). Negli ultimi mesi il governo di Cyril Ramaphosa, però, è stato accusato da Usa e Ue di un pericoloso avvicinamento a Putin e alla Cina. Hanno fatto scalpore l’attracco e il presunto rifornimento di armi in una base militare sudafricana del mercantile russo Lady R, nel dicembre 2022, e l’arrivo nel porto di Durban, nel marzo 2023, della nave cinese Yuan Wang 5, ritenuta una nave spia. Borrell, inoltre, ha espresso preoccupazione per l’esercitazione navale congiunta, in occasione del primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, con la marina russa e cinese al largo delle coste sudafricane.
I rapporti con Russia e Cina
I rapporti stretti con la Russia, in realtà, hanno origini antiche. I primi contatti risalgono alla fine dell’Ottocento, quando l’allora repubblica indipendente del Transvaal strinse relazioni diplomatiche con lo zar. Durante la Guerra Fredda, l’Urss ospitò i dissidenti sudafricani che sarebbero diventati, dal 1994 in poi, la classe dirigente dell’Anc (African National Congress). Una certa vicinanza di Pretoria a Mosca è innegabile, come dimostra la mancata condanna della guerra in Ucraina. Dal punto di vista commerciale, però, i rapporti con la Russia non sono così floridi. L’export sudafricano in Russia vale solo lo 0,2% del totale.
Pechino, invece, da 13 anni è il principale partner economico. Secondo Bloomberg, l’import-export con la Cina nel 2022 è stato di oltre 56 miliardi di dollari, i due terzi del commercio con i paesi Brics. Il Sudafrica ha esportato in Cina in particolare materie prime e manufatti e ha importato soprattutto cellulari e dispositivi elettronici. Il governo cinese ha siglato accordi con Pretoria per investimenti miliardari nel settore energetico. Il Sudafrica, infatti, soffre di continui blackout definiti load shedding, perdite di carico. Si tratta di blackout programmati che, nel 2022, hanno raggiunto livelli record di quasi otto ore al giorno. La disastrata compagnia statale Eskom ha un deficit di fornitura elettrica di circa quattromila megawatt, pari a un decimo della capacità installata, dovuto in parte alla pessima gestione societaria, in parte a furti di elettricità a opera dei cittadini. Per riequilibrare domanda e offerta di energia elettrica, perciò, programma ogni giorno interruzioni di corrente in varie zone del paese. Un disservizio che incide pesantemente sia sull’economia, sia sulla sicurezza interna.
Gli investimenti cinesi dovrebbero aiutare il governo almeno ad alleviare la situazione. Pechino ha pianificato di costruire centrali a carbone e nucleari e al contempo di aiutare il paese, dipendente per l’80% da fonti fossili, a una transizione verso le rinnovabili. Il governo sudafricano, in tema energetico, sembra apprezzare più il pragmatismo cinese delle posizioni drastiche dei partner occidentali, che suggeriscono una decarbonizzazione più netta.
Le relazioni tra Sudafrica e Occidente
Pretoria, però, non può permettersi posizioni troppo filocinesi per non irritare Washington. Il Sudafrica dal 2000 fa parte dall’accordo commerciale African Growth and Opportunity (Agoa), che permette ai paesi aderenti di vendere prodotti nel mercato statunitense a dazi ridotti o zero. Un’uscita da questa corsia preferenziale sarebbe un danno pesante, visto che gli Usa sono il secondo partner commerciale e pesano quasi il 9% dell’export. La stessa banca centrale sudafricana ha messo in guardia il governo dal rischio deprezzamento del rand e ha sottolineato come il sistema finanziario sudafricano non sia in grado di funzionare senza effettuare pagamenti in dollari americani. Un avvertimento sull’importanza di evitare sanzioni economiche da parte degli Usa.
Inoltre, poiché l’Ue è il primo mercato di sbocco dell’export sudafricano, l’opposizione è preoccupata per la vicinanza alla Russia che potrebbe precludere quel mercato. Pretoria, quindi, non può rischiare di perdere quasi del tutto l’accesso ai mercati europei e statunitensi e vedersi tagliata fuori dai sistemi finanziari più evoluti, come successo a Mosca. L’impatto sulla già fragile situazione socio-economica sarebbe insostenibile.
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