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3 novembre 2025

Che cosa significa il nuovo allineamento tra India e Cina

Le due potenze si sono riavvicinate al vertice Sco di Tianjin, con la mediazione della Russia, e possono aprire una nuova era multipolare
Che cosa significa il nuovo allineamento tra India e Cina

Cosimo Palleschi
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Cosimo Palleschi

Contenuto tratto dal numero di ottobre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

“Vogliamo costruire un nuovo sistema di governance globale, equo e multilaterale, opposto all’egemonismo occidentale e al pensiero da Guerra Fredda”. Così Xi Jinping si è espresso il 31 agosto al margine del vertice di Tianjin dello Sco (Shanghai Cooperation Organization). A oltre 80 anni da Yalta, dove Stati Uniti, Russia e Regno Unito disegnarono il nuovo ordine globale, Xi, Putin e Modi hanno posto le basi per una nuova era nei loro rapporti, in aperta opposizione al mondo Occidentale. La vera sorpresa è stata la presenza di Modi, visto che l’India, dagli scontri di confine del 2020, aveva quasi del tutto chiuso i rapporti diplomatici con Pechino. I dazi di Trump sull’export indiano al 50% e la vicinanza americana all’odiato Pakistan, però, hanno improvvisamente riavvicinato Modi a Xi. Quest’ultimo ha dichiarato che “la Cina non è una minaccia per l’India” e che i due paesi non dovranno essere più rivali, ma “partner”.

La fine del “non allineamento strategico”

Modi e l’India, per la prima volta da decenni, sembrano voler abbandonare la politica del “non allineamento strategico”, che per anni ha permesso loro di fare da ago della bilancia tra Occidente e Cina. L’India dalla precedente neutralità ha tratto, però, enorme vantaggio anche in termini di crescita economica. Molte multinazionali statunitensi, come Apple, hanno abbandonato la Cina per produrre lì. L’export indiano ha invaso i mercati occidentali e le aziende hanno potuto beneficiare di gas e petrolio a basso costo dalla Russia. L’India è diventata il secondo partner commerciale di Mosca, dopo la Cina. Si calcola che dal 2023 importi due milioni di barili di petrolio russo al giorno e che questo sia passato dal 2% del petrolio totale importato prima dell’invasione dell’Ucraina al 40%. Le importazioni sottocosto hanno fatto risparmiare alle aziende indiane circa 13 miliardi di dollari in due anni. Le accuse sull’acquisto di petrolio russo a basso costo di Trump e del suo collaboratore Navarro, che ha definito l’India “la lavanderia di Putin”, hanno cambiato drasticamente la situazione, avvicinando Nuova Delhi a Pechino.

I dazi americani impatteranno per circa 48 miliardi di dollari sull’export e, secondo le stime di Morgan Stanley e Citigroup, influiranno negativamente sulla crescita del Pil (-0,8%). Non dati catastrofici, per un’economia che cresce tra il 6 e il 7% annuo. Inoltre l’India è, tra i paesi in via di sviluppo, quello meno dipendente dall’export, che pesa per circa il 20% sulla crescita del Pil. Con oltre 1,4 miliardi di abitanti è il paese più popoloso al mondo e ha un mercato interno gigantesco. Entrare con le proprie merci nel mercato indiano è uno dei motivi principali, oltre a quello strategico di allontanarla dagli Usa, per cui Xi ha messo da parte la storica rivalità regionale. Per l’industria e la manifattura cinese, alle prese con i dazi americani, l’ondivaga regolamentazione europea e gli asfittici consumi interni, l’India potrebbe essere un importantissimo mercato di sbocco.

Il triangolo con Mosca

Inoltre, il centro studi Sipri ha calcolato che tra il 2019 e il 2023 l’India è stato il primo importatore di armi al mondo. Di questo ulteriore mercato ha usufruito principalmente la Russia, che negli ultimi 20 anni ha fornito oltre il 60% dei dispositivi militari al governo di Nuova Delhi. Pechino, però, con la distensione dei rapporti, potrebbe diventare anche un rilevante fornitore di armi. Il terzo attore in questo nuovo ordine è la Russia, che, senza gli acquisti di combustibili fossili di Cina e India, non avrebbe potuto continuare la guerra d’invasione in Ucraina così a lungo. Secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air, dal 2023 Cina e India acquistano oltre la metà dei combustibili fossili esportati da Mosca. Il nuovo gasdotto Power of Siberia 2 incrementerà ulteriormente i legami commerciali già consolidati tra Xi e Putin.

Malgrado ciò, la Russia non è riuscita a compensare le forniture di gas da 177 miliardi di metri cubi annui che esportava in Europa prima della guerra. Anche l’aumento delle forniture alla Cina da 38 a 44 miliardi di metri cubi all’anno, tramite il gasdotto Power of Siberia 1, non riuscirà a tamponare tali perdite. Conviene a tutti e tre i paesi, quindi, intensificare i rapporti commerciali. La Russia, senza Cina e India, non avrebbe mercato per i propri combustibili fossili e vedrebbe diminuire drasticamente le entrate, con l’impossibilità di continuare la guerra e sostenere il bilancio statale. L’India dipende da Mosca per il nucleare, le forniture di armi, il petrolio e il gas a basso costo. La Cina necessita con sempre maggiore urgenza di un mercato privato grande e in crescita come quello indiano. Per di più, le servirà un partner forte non solo militarmente, come la Russia, ma anche economicamente, come l’India, per potersi opporre allo strapotere americano.

Il controllo dell’Oceano Indiano

Non basteranno, però, parole e strette di mano per appianare completamente i rapporti tra Cina e India. La vera partita riguarda non il controllo di montagne o valichi, ma quello dell’Oceano Indiano. Da lì passa l’80% del traffico navale mondiale di petrolio e lì si trova il 28% delle riserve di gas globali. Negli ultimi anni la Cina ha investito tanto nel controllo, anche militare, di porti come Gwadar in Pakistan, Hambantota in Sri Lanka e Gibuti. L’India, invece, ha accordi per l’accesso militare con i porti di Duqm in Oman, Sabang in Indonesia e Cam Ranh in Vietnam. Per questo il passaggio da rivali a partner non può avvenire in un summit di due giorni. Inoltre, l’India, schierandosi apertamente con Russia e Cina, rischierebbe un isolamento dal mondo Occidentale che potrebbe essere deleterio per la sua crescita economica, sia per il calo dell’export, sia per quello degli investimenti esteri, a cui né la Cina, né tantomeno la Russia potrebbero sopperire. Xi e soprattutto Putin hanno molto meno da perdere e puntano alla creazione di un fronte alternativo. È presto per dire se davvero a Tianjin si siano poste le basi per un nuovo ordine mondiale, ma di certo le politiche ‘America first’ di Trump stanno creando un solco sempre più profondo tra il Nord e il Sud del mondo.  

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