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L’era del manager casalingo: perché gli uomini fanno più smart working delle donne

Articolo tratto dal numero di maggio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

È mattina presto, una donna sulla trentina fa la doccia, si veste, prepara il caffè. Lui, il marito, resta sotto le coperte e dorme ancora quando lei esce di casa per andare in ufficio. Vivono in California, a Costa Mesa, una comunità agiata di casette basse, palme e spiagge. Lui però non è un Lebowski contemporaneo, che si aggira pigramente in vestaglia, anche se è sposato con una donna in carriera. È vero, la ragazza, sua moglie, lavora sodo e sta scalando le gerarchie di uno studio legale. Ma anche lui è un professionista affermato. Semplicemente si alza più tardi perché può lavorare da casa. È un dirigente di una startup tecnologica con sede nella baia di San Francisco, a più di 500 chilometri di distanza.

A Cambridge, in Massachusetts, c’è una coppia simile: lui è un programmatore informatico, lei sta facendo un dottorato alla facoltà di legge ad Harvard. Un altro caso sempre sulla East Coast americana: lei è un’ostetrica, lui lavora da remoto per una società di scommesse online. E ancora: lei docente in un’università della Ivy League, lui sviluppatore per una società di criptovalute.

L’Economist usa questa carrellata di vite, coppie benestanti con una buona istruzione, per suggerire come negli Stati Uniti stia emergendo una nuova tendenza. Quando le donne escono al mattino, per andare nei loro uffici, ospedali o università, lasciano indietro i loro compagni e mariti. Ma questo, scrive la rivista britannica, non è un ritorno agli anni ‘50 con ruoli di genere invertiti. Gli uomini non sono disoccupati. Lavorano e guadagnano bene. Restano a casa, ma non lo fanno per cucinare, pulire e occuparsi dei bambini. Sono un nuovo prodotto, a volte sottovalutato, della crescita del lavoro remoto: la diffusione del manager maschio casalingo.

La disparità di genere dello smart working

Negli Stati Uniti c’è una differenza di genere nell’accesso allo smart working. Sembra che gli uomini abbiano un vantaggio quando si tratta di lavorare da dove desiderano, stando a una ricerca della società di consulenza McKinsey. Il sondaggio ha rivelato che il 38% degli uomini con un impiego ha la possibilità di lavorare in remoto a tempo pieno, contro il 30% delle donne. Inoltre circa la metà delle donne dice di non poter lavorare affatto in remoto, contro il 39% degli uomini. In Italia e in Francia, secondo uno studio condotto da LinkedIn, ci sono disparità analoghe. Le donne sembrano sfruttare meno le nuove forme di occupazione del dopo pandemia, come lavoro ibrido e lavoro a distanza.

La cosa interessante è capire che cosa ci sia dietro questi numeri. Capita di sentire di coppie che tornano in Italia dall’estero: lei ha ricevuto un’offerta da un quotidiano importante e va tutti i giorni in redazione, lui può lavorare in remoto perché è consulente di uno studio di architetti di Vienna. Il tema centrale forse è proprio questo: uomini e donne continuano a specializzarsi in aree professionali diverse. I lavori nell’informatica e nell’ingegneria, per esempio, sono svolti in maggioranza dagli uomini. Mentre l’insegnamento e le professioni infermieristiche sono ancora dominati dalle donne. Così come nel campo del diritto e della medicina gli uomini potrebbero ancora essere impiegati più delle donne. Eppure qui la situazione sta cambiando, perché i nuovi iscritti nelle facoltà di diritto e medicina sono più spesso donne che uomini. E così nelle nuove coppie è più probabile che sia la donna a diventare medico o avvocato.

Un mondo per uomini

Queste diverse occupazioni hanno anche dovuto adottare approcci diversi al lavoro remoto. Secondo McKinsey, i quattro settori dove è più frequente lo smart working sono informatica e It, marketing, contabilità e finanza, project management. Una minoranza di professionisti della medicina potrebbe lavorare in remoto, ma la stragrande maggioranza deve curare i pazienti di persona. Le industrie con più alto livello di flessibilità nel lavoro remoto sono legate a tecnologia, ingegneria, programmazione informatica, settori aziendali, finanza. Negli Stati Uniti circa la metà delle persone che lavorano in ambito informatico o matematico è impiegata in remoto a tempo pieno, ricorda ancora l’Economist. In questi ambiti potrebbe esserci ancora una prevalenza di uomini, che quindi accedono a forme di lavoro più svincolate dalla presenza fisica in ufficio. Ma evidentemente non c’è solo questo.

Secondo l’indagine del team Economic Graph di LinkedIn, esistono differenze anche tra uomini e donne che svolgono le stesse professioni. Nei settori It e media, il 18,6% degli uomini dichiara (in forma anonima) di lavorare in remoto, le donne invece sono solo il 16,4%. Mentre ha l’obbligo dell’ufficio il 42,1% degli uomini, contro il 48,7% delle donne. Anche la soluzione ibrida è più frequentata dagli uomini (39,3%) rispetto alle donne (circa il 35%). Le altre categorie esaminate sono i servizi professionali, i servizi al consumatore e i servizi finanziari. In tutte, la forbice dello smart working è a favore dei lavoratori maschi. Come mai? Il sospetto è che questi ultimi godano di un trattamento di favore, forse sottobanco.

Maurizio Villa, ceo della società di head hunting Korn Ferry in Italia, spiega – ripreso dal Corriere della Sera – che ormai non ci sono differenze nell’accesso ai diritti e negli accordi contrattuali, specialmente in grandi aziende come UniCredit, Generali, Snam o Microsoft. Anzi, almeno stando ai dati dell’agenzia Eurostat, c’è una maggior incidenza di donne che per legge hanno contratti tali da accordare più tempo al lavoro da casa. I risultati italiani corrispondono a quelli di un’analoga ricerca realizzata in Francia dalla squadra di data analytics di LinkedIn, pubblicata dal quotidiano Les Échos.

Quando le donne possono avvantaggiarsi

Il trattamento diverso tra uomini e donne si spiega anche con il fatto che gli uomini conservano una maggiore forza nelle gerarchie professionali. In Francia, afferma il Corriere, il 66% delle posizioni di responsabilità sono in mano agli uomini, che quindi gestiscono il tempo di lavoro più liberamente. Anche in Italia, secondo uno studio recente della Luiss, solo il 32% dei manager è donna. Questa sperequazione si riflette nell’accesso alle nuove forme di lavoro: la ricerca di LinkedIn segnala un dislivello notevole nei servizi professionali (commercialisti, architetti, avvocati e altre categorie), dove il 43% degli uomini dichiara di essere in regime ibrido, contro solo il 35% delle donne.

Questa sembrerebbe un’altra circostanza in cui le donne vengono penalizzate. Ma la prospettiva potrebbe essere anche ribaltata: in alcuni casi, le donne possono avvantaggiarsi del nuovo status dei loro compagni, i maschi manager casalinghi. È vero che le coppie si adattano in mille modi diversi per far funzionare le loro vite insieme. Se a una donna viene offerta una grossa promozione, però con l’obbligo di trasferirsi, magari è costretta rifiutare se il lavoro del suo compagno è legato a una specifica città. La libertà geografica di uno dei due partner apre le porte all’altro per scalare la gerarchia aziendale.

Ma torniamo alla coppia della California. È stata la donna a scegliere Costa Mesa, il posto giusto per la sua carriera – ed era comodo anche perché i nonni dei loro figli abitano vicino. Lui non ha fatto obiezioni: poteva lavorare a distanza. Non c’è solo il privilegio dello smart working, c’è anche il vantaggio (e la necessità) di presentarsi frequentemente in ufficio. Ma è anche vero, come ha scoperto l’economista premio Nobel Claudia Goldin, che i divari salariali di genere sono più ridotti nei settori in cui il lavoro flessibile è la norma. In questi particolari settori, che in genere richiedono specializzazione e competenze, è molto probabile che le donne finiranno per affermarsi sempre di più.

L’economia della conoscenza

Del resto l’economia della conoscenza è adatta alle donne. L’abbandono scolastico in Italia è quasi del tutto maschile. A livello accademico, sia in Europa che negli Stati Uniti, le giovani donne stanno superando i coetanei maschi. Nei paesi ricchi, il 28% dei ragazzi non riesce a raggiungere il livello minimo di competenza nella lettura – definito secondo gli standard dei test Pisa, che mettono alla prova gli studenti delle scuole superiori. La quota delle ragazze è più bassa del 10%. E le donne fanno meglio anche all’università. Nell’Unione europea la percentuale di uomini di età compresa tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio terziario è aumentata dal 21% al 35% tra il 2002 e il 2020. Per le donne l’aumento è stato più rapido, dal 25% al 46%. In America, il divario è più o meno lo stesso, un 10% in più di donne che consegue la laurea.

A questi dati però vanno aggiunte alcune precisazioni. Le ragazze si laureano di più e a scuola ottengono risultati migliori nella comprensione dei testi. Questo può significare che rispetto ai maschi potrebbero avere un’attitudine migliore allo studio. Ma in alcune discipline la presenza di donne è ancora limitata, e si tratta proprio delle materie che in teoria conducono a impieghi più adatti a lavoro remoto.

Si dice che le ragazze abbiano maggiore affinità e successo nelle materie umanistiche, linguistiche e artistiche, mentre i ragazzi tendono a eccellere nelle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). In realtà ci sono ricerche che dimostrano quanto le donne siano ugualmente brave nelle carriere legate alle discipline Stem. È anche vero, però, che i numeri ancora evidenziano un fortissimo divario di genere. Ad esempio, uno studio del 2021 ha mostrato che il 65% dei lavoratori Stem erano uomini e il 35% donne. E sebbene i tempi stiano cambiando, questa divergenza continua a esistere. In futuro, colmare questo gap aiuterebbe certamente le donne nell’accesso a forme di lavoro ibrido. Nel frattempo può tornare utile il manager maschio casalingo. Il problema è che questi mariti o compagni che restano a casa non sempre sono manager. Dipende dalle loro priorità, ma se vogliono fare carriera il lavoro remoto non è la strategia migliore.

Il prezzo dello smart working

Si è scoperto – da un sondaggio dell’Università di Varsavia condotto su quasi 1.000 manager inglesi – che chi lavora sempre da casa ha l’11% di probabilità in meno di essere promosso rispetto a chi va regolarmente in ufficio. E – sorpresa – gli uomini in smartworking sono decisamente più penalizzati delle donne. Secondo la ricerca, gli uomini avevano il 15% in meno di probabilità di ottenere una promozione se lavoravano da casa, contro il 7% per le donne. Inoltre, le chance di aumento di stipendio per un lavoratore remoto maschio erano del 10% inferiori rispetto ai colleghi in ufficio, mentre per le donne erano minori solo del 7%. “Chi sta a casa è ancora sfavorito nella carriera, malgrado l’ampia diffusione delle smart working. E gli uomini sono più penalizzati delle donne”, ha detto Agnieszka Kasperska, una delle autrici del rapporto, alla British Sociological Association.

Questo trend è ancora più accentuato dove la cultura aziendale è considerata più rigida. In queste aziende gli uomini in remoto avevano il 30% in meno di probabilità di essere promossi e il 19% in meno di ricevere uno stipendio più alto. Le lavoratrici remote, invece, avevano il 15% in meno di probabilità di ricevere una promozione, ma anche il 19% in meno di vedere il loro stipendio aumentare. Che cosa significa tutto questo? Sappiamo che il mondo corporate dopo la pandemia ha voluto riportare i propri dipendenti in ufficio, e in larga parte questo rientro è avvenuto. Quasi tutti i dipendenti hanno cercato di conservare un certo grado di flessibilità. È vero, gli uomini ci sono riusciti più delle donne. Ma hanno pagato un prezzo, in molti casi rinunciando a scatti di stipendio e di carriera. Altro che manager: forse è solo un papà che lavora da casa.   

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