Miprons
Space Economy

Una startup romana vuole far volare i satelliti con un motore ad acqua

Articolo tratto dal numero di maggio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

“Per aspera ad astra” è il motto più amato da chi traffichi in ambienti spaziali. È un mantra comune per chiunque tenti di portare idee nuove in un settore in cui l’affidabilità è una bussola per gli affari. Per questo capita che Miprons, startup italiana con sede a Colleferro, in provincia di Roma, debba lottare per conquistare la fiducia di investitori e istituzioni e accelerare lo sviluppo del suo propulsore a elettrolisi per satelliti, sebbene l’idea piaccia ai più importanti stakeholder internazionali.

Miprons ha firmato un accordo con Thales Alenia Space-Italia circa due anni fa. “Siamo gli unici a sviluppare la propulsione a elettrolisi in Italia, tra i pochi in Europa e nel mondo. Sono in molti a dirsi interessati anche ai nostri i risultati”, racconta Angelo Minotti, amministratore delegato di Miprons. “L’attitudine, però, è quella di rimanere alla finestra”.

Che cosa fa Miprons

Il concetto di base arriva dalla chimica che si impara a scuola: il satellite ha un serbatoio di acqua; con l’energia fornita dai pannelli solari innesca l’elettrolisi per scindere l’acqua in molecole di idrogeno e ossigeno. Queste entrano nella camera di combustione, dove si accendono e vengono espulse dall’ugello. Così si ottiene la spinta per spostare il satellite, tutto – miniaturizzato – dentro a una scatola che può stare sul palmo di una mano. La soluzione Miprons è protetta da cinque brevetti, caratteristica che ha portato all’interesse di Thales Alenia Space, con la quale Miprons sta lavorando per “spazializzare” il sistema e, infine, farlo volare. “Per quanto riguarda i componenti”, continua Minotti, “siamo entrati a Trl 6”, cioè una fase avanzata della technology readiness level (la scala è di nove livelli). “Li stiamo testando in condizioni di vuoto ed estenderemo presto questi test al macrosistema”.

Adesso è venuto il momento di fare il salto: Miprons conta ancora due dipendenti e una quindicina di collaboratori. Per darsi una struttura e iniziare a volare, non solo metaforicamente, si prepara a un aumento di capitale per il 24 maggio, indicativamente tra 1 e 3 milioni di euro. “L’obiettivo massimo sarebbe acquisire una realtà che faccia meccanica di precisione, per velocizzare la realizzazione dei componenti, internalizzare altre competenze e trovare uno spazio più ampio per le attività di sviluppo e test”.

Perché l’acqua

La soluzione che Miprons propone sembra semplice, proprio come l’acqua, e con numerosi vantaggi. Innanzitutto la gestione molto più semplice ed economica, anche per i requisiti di sicurezza per operatori umani, rispetto ai propellenti più usati, che sono spesso tossici; poi la commercializzazione e il costo. “L’acqua”, sottolinea Minotti, “rende semplici le procedure di accettazione e qualifica e, in particolare, le esportazioni. Ha un valore anche geopolitico: i paesi asiatici sono i detentori di oltre il 50% dello xenon e dell’idrazina, i propellenti attualmente più utilizzati. Lo xenon è arrivato a costare anche 40mila euro al chilo”. L’amministratore sottolinea un altro aspetto cruciale, per quanto ovvio: l’acqua è liquida, a differenza dei gas usati per la propulsione non necessita di serbatoi ad alta pressione. Si risparmia in peso e si ottimizza la forma, guadagnando in volume.

È un’idea perfetta per una serie di applicazioni come l’in orbit servicing, cioè rifornire i satelliti di un propellente così a basso costo che, in caso di perdite, non danneggi come altri composti corrosivi. Inoltre, in una prospettiva più a lungo termine, l’acqua è la grande risorsa per l’esplorazione spaziale, sulla Luna e oltre: “È l’unico propellente che è possibile ricavare con facilità, direttamente su un altro pianeta, attraverso i ghiacciai, riciclando l’urina, il sudore. Può permettere un’accelerazione significativa dell’esplorazione umana”, rimarca Minotti.

In questo anno, Miprons è cresciuta, punta al sistema, ma anche alla commercializzazione dei singoli componenti, come la camera di spinta e l’elettrolizzatore. E ora lo spazio è più vicino, grazie all’accordo con il colosso aerospaziale franco-italiano. Motivo per cui Minotti già pensa al primo volo tra pochi anni: “Thales Alenia Space ci sta aiutando nella spazializzazione, la parte che riguarda le normative, le procedure e il processo di integrazione con il satellite. A breve inizieremo l’integrazione con tutto il sistema. Starà a loro decidere se investire nella nostra azienda. È probabile che tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026 voleremo con loro”.

“Le istituzioni italiane sono assenti”

Come rimarca il fondatore, Miprons investe nella ricerca anche finanziando tre dottorati (uno in fluidodinamica cellulare, un’intuizione nata dall’osservazione del comportamento del propellente nei serbatoi), vanta endorsement delle agenzie spaziali europea e italiana, di grandi imprese come Thales o D-Orbit, nonché l’interesse di realtà in Israele e Argentina. Eppure, sostiene Minotti, in Italia fatica a fare il salto definitivo: “Purtroppo la parte istituzionale italiana è molto assente. Abbiamo presentato un progetto da 1 milione e mezzo a Invitalia, decurtato della metà con una riga di motivazione. In Francia Macron finanzia quattro startup, non realtà già mature, con 400 milioni di euro. Con questi numeri chi vincerà la competizione? Stiamo facendo una fatica sovrumana per mantenere questa unicità in Italia”.

L’impressione, suggerisce il manager, è che in Italia ci sia molta più attitudine a investire su prodotti nuovi e non sull’innovazione: “Si preferisce spendere cifre enormi per un prototipo finito, e quindi con valutazioni già elevate, piuttosto che finanziare, con cifre più ridotte, lo sviluppo di un prototipo ancora in fase di perfezionamento, ma con moltiplicativi enormi. L’innovazione è un percorso che ha bisogno di tempo. Certo, comporta rischi importanti, ma ha un ritorno, diretto e indiretto, inimmaginabile”. In estrema sintesi, “per aspera ad astra”.  

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