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Dalla formazione alla digitalizzazione: il New Deal delle competenze secondo Teha Group e Philip Morris Italia

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L’obiettivo è ambizioso: definire gli elementi per un New Deal delle competenze, necessari per trasformare l’Italia in un Paese 5.0. Teha Group e Philip Morris Italia hanno presentato a Cernobbio, durante la 50esima edizione del Forum di The European House – Ambrosetti, la ricerca Italia 5.0: le competenze del futuro per lo sviluppo dell’innovazione nell’epoca dell’intelligenza artificiale in Italia e in Ue.

La premessa dello studio è che, in una società 5.0, la tecnologia non sostituisce l’uomo, ma favorisce lo sviluppo di nuovi modelli di cittadinanza e lavoro, in cui l’individuo è al centro. Hanno partecipato oltre dieci vertici di imprese, delle istituzioni e delle associazioni di categoria, in interviste riservate, e più di 450 imprese da quattro paesi Ue (Italia, Germania, Francia e Spagna). La ricerca, condotta assieme a Coldiretti, è servita a misurare la digitalizzazione e le competenze nei settori agricolo e manifatturiero. Il risultato è un elenco di punti da seguire per permettere al Paese di cogliere i benefici dell’innovazione, della digitalizzazione e dell’integrazione delle tecnologie digitali nelle aziende, che ha accelerato con l’avvento dell’intelligenza artificiale.

Secondo gli autori, l’adozione del paradigma 5.0 è un imperativo, perché i paesi che investono di più in ricerca e sviluppo crescono di più, sono più competitivi ed esiste una forte correlazione tra digitalizzazione delle aziende e capacità di generare innovazione. Sotto questo aspetto, ha sottolineato Valerio De Molli, managing partner e ceo di Teha Group e The European House – Ambrosetti, “è strategico il ruolo delle aziende capofiliera. L’Italia è un paese di pmi, che generano il 48% del valore aggiunto del Paese e impiegano il 57% degli occupati, ma sono più in difficoltà rispetto a digitalizzazione e competenze, per cui è necessario il ruolo di stimolo della grande impresa”.

A dimostrare l’importanza di fare parte di una filiera è il differenziale tra la media delle aziende agricole italiane e le aziende tabacchicole associate a Coldiretti che collaborano con Philip Morris Italia: +56% per la produttività e +24% per la sostenibilità. “La nostra esperienza è emblematica”, ha commentato Marco Hannappel, presidente e ad di Philip Morris Italia. “Grazie alle competenze all’avanguardia della nostra filiera integrata – che oggi coinvolge oltre 41mila persone e più di ottomila imprese – abbiamo costruito negli anni un modello di business invidiato in tutto il mondo, il cui principale driver è sempre stato la capacità di innovare. I dati oggi mostrano i frutti di questo percorso virtuoso e quanto il ruolo di capofiliera sia essenziale, in particolare nel mondo agricolo: grazie agli accordi di programma sottoscritti negli anni da Philip Morris con il ministero dell’Agricoltura e con Coldiretti, gli agricoltori aderenti all’iniziativa mostrano dati sull’innovazione sensibilmente migliori rispetto alla media italiana ed europea”. In particolare, l’89% dichiara di avere realizzato o di avere in corso progetti agritech, rispetto al 46% della media italiana e al 77% della media Ue.

Secondo Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, “la ricerca conferma che il capitale umano è oggi l’elemento chiave della competitività delle imprese e della crescita dell’economia, elemento ulteriormente valorizzato dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale”. L’Italia, ha aggiunto Metta, “è un Paese di eccellenze anche nella ricerca e nell’istruzione”, ma “sconta un ritardo sistemico sulle competenze digitali, sia di base che avanzate”.

Per colmare questo gap, ha detto Massimo Andolina, presidente regione europea di Philip Morris International, “occorre partire dalle esperienze più virtuose e da una collaborazione pubblico-privato di tipo strutturato. In questo momento storico è fondamentale, da una parte, tenere il passo dell’innovazione, guidandola, per mantenere alta la competitività; dall’altra parte garantire il più ampio accesso possibile a percorsi di formazione all’avanguardia, che accompagnino i professionisti lungo il loro intero percorso in azienda”.

Sulla base dei dati raccolti, la ricerca ha elaborato cinque proposte per lanciare il New Deal delle competenze per l’Italia 5.0. Il primo punto è la formazione in ingresso, con il lancio di un Piano Marshall delle competenze per colmare i gap e rendere l’Italia una fucina di talenti. Per centrare gli obiettivi Ue stabiliti nel Digital Compass (80% di adulti con competenze digitali di base) bisognerà accelerare l’alfabetizzazione digitale di 15 milioni di cittadini, aggiungere 137mila laureati Ict, 87mila ingegneri e 140mila iscritti agli Its. Cruciale, in questo senso, sarà l’uso dei fondi del Pnrr.

Oltre alla formazione in ingresso, occorrerà poi quella permanente, con percorsi di reskilling e upskilling. Servirà quindi individuare strumenti normativi per offrire percorsi di miglioramento delle competenze, sostenendo la transizione digitale del mercato del lavoro. Per raggiungere la media Ue di quota di partecipazione a percorsi di formazione e istruzione della popolazione adulta bisognerà formare almeno 2,8 milioni di lavoratori.

Un terzo punto è la digitalizzazione delle pmi, che rappresentano il 98% delle aziende italiane (e il 97% di quelle europee). Bisognerà rendere l’adozione di nuove tecnologie più accessibile, per permettere la digitalizzazione di almeno 126mila aziende e raggiungere il traguardo del Digital Compass (90% di pmi con livello digitale di base).

Occorre inoltre valorizzare il ruolo dei capofiliera come motore per l’innovazione di prodotto e di processo, per la digitalizzazione e per la sostenibilità, promuovendo la diffusione di contratti di filiera, come già avvenuto con successo in Italia. La rilevazione di Teha sulle aziende europee ha riscontrato infatti che per il 44,9% dei rispondenti in Italia e per il 40,4% negli altri paesi europei il capofiliera favorisce la formazione continua e lo sviluppo di competenze digitali.

Il quinto nodo è la collaborazione pubblico-privato, perché serviranno quadri regolatori efficaci, stabili, in grado di promuovere l’innovazione di prodotto e di processo e creare un ecosistema tra istituzioni, università e aziende. Sotto questo aspetto, visto il quadro unionale in cui agisce l’Italia, per recuperare competitività rispetto ad altri continenti è fondamentale che queste condizioni vengano garantite e promosse a partire dal legislatore europeo.

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