Nella migliore delle ipotesi non c’è alcun piano, ma una nebulosa di possibilità ancora sul tavolo. Nella peggiore, Donald Trump sta davvero passando dalla parte di Putin. Vorrebbe chiudere in fretta la guerra in Ucraina, credendo così di distogliere il presidente russo dall’abbraccio con Xi Jinping, un’amicizia che senza dubbio avvantaggia la Cina. La politica anti-cinese è una delle chiavi per orientarsi. Donald Trump punta ai minerali e le terre rare della Groenlandia per ridurre la dipendenza dalla Cina. E vale lo stesso per le risorse presenti nel sottosuolo ucraino. Scott Bessent, segretario al Tesoro americano, è stato spedito a Kiev per estorcere un accordo che Volodymyr Zelensky, però, si è rifiutato di firmare.
La proposta americana era brutale, in perfetto stile Trump: metalli ucraini come risarcimento per tutti gli aiuti già consegnati. Pare che a Zelensky sia stata data “un’ora” per accettare, secondo fonti a conoscenza della trattativa. La discussione poi è proseguita alla conferenza di Monaco, dove gli americani hanno chiesto ancora che l’Ucraina impegnasse “500 miliardi di euro” di risorse naturali, sempre a fronte di assistenza passata. L’idea di Kiev, invece, è dare accesso ai propri metalli in cambio di garanzie di sicurezza e nuovi aiuti americani. Il negoziato continua.
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Le risorse
In ballo ci sono abbastanza risorse da far gola a chiunque. Minerali rari e strategici come litio, titanio e terre rare, che sono fondamentali per le industrie di punta, dalla difesa, all’intelligenza artificiale fino alle tecnologie verdi, tra cui batterie e macchine elettriche. Secondo il Financial Times, il valore stimato di tutte queste risorse potrebbe superare 11mila miliardi di dollari. Il consenso degli esperti, tuttavia, è che la maggior parte di questi giacimenti non è mai stata esplorata né sviluppata. E senza dati precisi sulla qualità delle riserve, non sarà semplice convincere gli investitori a mettere soldi nelle miniere. L’altro problema è che circa il 20% dei giacimenti oggi si trova sotto occupazione russa.
L’Ucraina sembrerebbe ricca di berillio, grafite, afnio, germanio, gallio, usati nei semiconduttori, nelle batterie, nei reattori e altre apparecchiature tecnologiche. Ma l’amministrazione Trump pare specialmente interessata ai depositi di litio e titanio. Del primo l’Ucraina possiede circa il 10% delle riserve mondiali, tuttavia non ha ancora cominciato a estrarlo. Dei quattro depositi ancora sotto controllo ucraino, il più interessante si trova nella provincia di Donetsk, a circa 5 km dall’attuale linea del fronte. Un quinto giacimento sorge a Berdiansk, nell’oblast di Zaporizhia, sotto occupazione di Mosca. Ma la Russia, secondo fonti dell’Economist, potrebbe aver offerto al team di Trump l’accesso a quelle risorse.
L’economista di Putin
La possibilità di fare business è un’altra delle variabili per capire il negoziato. Anche i russi cercano di stuzzicare Trump con la promessa di futuri lauti guadagni. Non a caso, nel team di negoziatori Putin ha inserito Kirill Dmitriev, economista e manager di un fondo sovrano russo da 10 miliardi di euro. Kirill ha studiato a Stanford e ad Harvard, lavorando poi a Goldman Sachs e McKinsey. Pare abbia discusso con il team americano di progetti di energia nell’Artico. Ma soprattutto ha portato questo messaggio: ritirandosi dal mercato russo a causa dell’invasione dell’Ucraina, le società statunitensi avrebbero perso “montagne di soldi”.
Dmitriev ha mostrato al New York Times un documento secondo cui le perdite totale delle aziende americane ammonterebbero a 324 miliardi di dollari. Se si firmasse la pace, queste aziende torneranno a macinare affari. Il rischio è una pace alle condizioni di Putin.
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