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Cultura

Perché la restituzione delle opere può cambiare il mercato dell’arte

Articolo di Andrea Rurale, Lecturer del Dipartimento di Marketing presso l’Università Bocconi e Direttore del Master in Arts Management and Administration presso l’SDA Bocconi

Negli ultimi anni si è assistito a un numero crescente di restituzioni di opere d’arte a nazioni che ne rivendicano la legittima proprietà. Ogni caso di repatriation è accompagnato da proclami politici e messaggi di diplomazia culturale, ma il fenomeno affonda le sue radici nella storia. Uno dei primi grandi processi di restituzione forzata avvenne dopo la sconfitta di Napoleone, quando il Congresso di Vienna (1815) impose il ritorno di molte opere saccheggiate da tutta Europa e portate al Louvre (all’epoca Muséum central des arts), restituendole a paesi come Italia, Germania e Paesi Bassi.

Durante il colonialismo europeo, musei occidentali acquisirono manufatti e opere d’arte sottratti da Africa, Asia e Medio Oriente. Tra i casi più noti, il saccheggio di Benin City (1897) portò alla dispersione dei celebri Bronzi del Benin, oggi al centro di richieste di restituzione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il saccheggio nazista di centinaia di migliaia di opere d’arte – molte di proprietà di famiglie ebree – spinse le forze alleate ad avviare un grande programma di restituzione, raccontato anche nel film Monuments Men (2014).

Oggi la pressione per il ritorno delle opere contese è sempre più forte, con richieste ufficiali da parte di Grecia, Nigeria ed Egitto. Alcuni musei hanno già avviato restituzioni volontarie, come il Museo di Berlino e il Quai Branly di Parigi, mentre istituzioni come il British Museum e il Louvre sono al centro di pressioni per restituire opere come i Marmi del Partenone e la Stele di Rosetta.

Le norme

Non esiste una normativa internazionale vincolante sulla restituzione dei beni culturali, ma solo convenzioni parziali. La Convenzione dell’Aia del 1954 tutela i beni culturali solo in caso di conflitto armato, mentre la Convenzione Unesco del 1970 vieta l’importazione e l’esportazione illecita ma non è retroattiva. La Convenzione Unidroit del 1995 rafforza la protezione dei beni rubati, ma è stata adottata da pochi paesi. L’assenza di una normativa univoca lascia quindi il tema alla diplomazia culturale, rendendo i processi di restituzione lunghi e spesso incerti. Le restituzioni possono avvenire in tre modi principali.

La restituzione forzata avviene per via giudiziaria, quando un tribunale stabilisce che un’opera deve essere restituita, come nel caso delle opere trafugate e recuperate grazie alle operazioni del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Alcuni musei, invece, scelgono la restituzione volontaria senza obblighi legali, spesso per motivi etici o diplomatici, come accaduto di recente con i Bronzi del Benin restituiti dai Paesi Bassi alla Nigeria. Infine, esiste la possibilità di un rimpatrio con accordo di prestito, in cui un’opera viene restituita ma può essere esposta temporaneamente nel paese che la possedeva, una soluzione che facilita la collaborazione tra istituzioni.

Se da un lato la restituzione è una vittoria sul piano etico, dall’altro influisce sul valore delle opere. Il contesto in cui un’opera è collocata può modificarne sia il valore economico che quello culturale. Quando un’opera viene restituita, si rafforza il principio che collezionisti e istituzioni non dovrebbero acquistare beni di provenienza dubbia, riducendo la domanda per opere con provenienza incerta e abbassandone il valore economico.

Il trasferimento da un grande museo come il British Museum o il Louvre a un’istituzione locale può diminuirne la visibilità e l’influenza culturale. Inoltre, non tutti i paesi di origine hanno le strutture adeguate alla conservazione e la valorizzazione delle opere, con possibili rischi per la loro fruizione.

Il mercato dell’arte

La restituzione delle opere incide anche sul mercato dell’arte, introducendo nuove sfide per collezionisti e investitori. La crescente pressione per la restituzione di opere contese porta a una rivalutazione etica delle collezioni, modificando la percezione del loro valore economico. Il rischio legale legato al possesso di opere dalla provenienza contestata rende più difficile la loro vendita o esposizione, con conseguenze dirette sulla commerciabilità. Di conseguenza, case d’aste e gallerie hanno intensificato la due diligence, verificando con maggiore rigore la provenienza e la legittimità delle opere per proteggere acquirenti e operatori da rischi legali e reputazionali.

Se da un lato questa maggiore trasparenza aumenta la fiducia nel mercato, dall’altro potrebbe ridurre la circolazione di alcuni beni culturali, limitando le opportunità di investimento. La possibilità che opere di dubbia provenienza vengano restituite sta inoltre spingendo collezionisti e fondi di investimento a rivedere le proprie strategie di acquisizione, privilegiando asset con una provenienza chiara e documentata, un elemento ormai determinante per la valorizzazione a lungo termine di un’opera d’arte.

Il fenomeno della repatriation è destinato a crescere, con implicazioni che vanno oltre la sfera etica, influenzando la regolamentazione, il mercato dell’arte e le strategie di investimento. Se da un lato le restituzioni contribuiscono a riparare ingiustizie storiche, dall’altro introducono nuove dinamiche economiche e culturali, ridisegnando il futuro delle collezioni e del valore delle opere d’arte.

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